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I narcos mi vogliono morto

di Alejandro Solalinde e Lucia Capuzzi Emi 2017

Giocato sul duplice registro della narrazione autobiografica e della cronaca giornalistica, questo testo è un'efficace testimonianza della situazione in cui si trova una vastissima area geografica del continente centroamericano, dal Messico al Guatemala, dal Salvador al Nicaragua ad altri paesi ancora. La miseria generalizzata offre, alle bande criminali dedite ai traffici illegali, l'occasione per imporre i loro ricatti alle popolazioni locali. Il metodo seguito si può riassumere nell'eloquente frase: "plata (soldi) o plomo (piombo)". Come dire: o con noi (complici e vittime consenzienti) o contro di noi (morti). Con questa intimazione i narcotrafficanti offrono, a loro modo, alle persone in stato di miseria l'unica opportunità di sopravvivenza possibile. Molti cedono, ma molti altri preferiscono fuggire. È questa fuga che alimenta il fenomeno migratorio dai Paesi del centro America verso gli Stati Uniti, in un crescendo inarrestabile, che ricorda il flusso di disperati che quotidianamente dalle coste del Medio Oriente e del nord Africa attraversano il Mediterraneo per cercare rifugio in Europa.

Padre Solalinde, ormai settantenne, ha intercettato questo fenomeno da circa dieci anni, quando ormai ha già percorso buona parte della sua carriera di sacerdote. Il suo è descritto come un cammino verso un cristianesimo più autentico di quello abbracciato agli inizi del percorso sacerdotale. Un cristianesimo che si sostanzia di un sempre più marcato interesse per i problemi del presente, e che allo stesso tempo prende le distanze da una formazione teologica scolasticamente rigorosa, ma avvertita sempre più come potenziale causa di chiusura verso il mondo. Nelle sue parole si avverte, pur nella semplicità dell'argomentazione, un tono che potremmo definire quasi profetico.

Il libro procede sul doppio binario della memoria di padre Alejandro e della narrazione degli eventi ad opera di Lucia Capuzzi. Questa duplice prospettiva si rivela efficace in quanto mette il lettore in condizione sia di conoscere i fatti nella loro fredda oggettività, sia di comprenderne il senso a partire dalle motivazioni interiori esposte, quasi a forma di meditazione spirituale, da padre Solalinde.

Le scelte da lui compiute risultano quasi "ovvie", rivelandosi strettamente connesse al potenziamento della sua fede e a quella che potremmo definire una seconda vocazione.

Esordisce nel suo sacerdozio come prete "borghese", comodamente inserito nel suo ambiente e per nulla refrattario a godere di una certa agiatezza che rende gradevole la vita. Dopo un viaggio a Roma, però, avverte il disagio di mantenere uno stile di vita che non sente più in sintonia col Vangelo. È il 1979 l'anno che sancisce la svolta decisiva nella sua vita. Quell'anno compie insieme a un gruppo di giovani una missione di volontariato in America Centrale. In Salvador ha modo di conoscere monsignor Romero e di apprezzarne l'esempio profetico in una realtà fatta di violenze e sopraffazioni continue. Proseguendo nel suo viaggio prende coscienza dell'estrema povertà che affligge paesi come El Salvador, Guatemala, Honduras e Nicaragua. "Il soggiorno centroamericano fece bene sia a me sia ai ragazzi: eri costretto a interrogarti." riflette don Alejandro "Come essere cristiani in mezzo a tanta sofferenza? E come essere cristiani se non in mezzo a tanta sofferenza?"

Di qui la maturazione di una decisione che lo porterà a occuparsi a tempo pieno dei diseredati della terra. Per Solalinde essi si identificano nelle migliaia di donne, uomini, bambini che cercano di attraversare il Messico nel tentativo di sfuggire al loro destino di morte nei rispettivi paesi. È ad essi che egli offre la sua assistenza, ricorrendo ad una serie di attività di accoglienza e cercando di sottrarli alla minaccia dei gruppi criminali, che hanno trovato nel fenomeno migratorio un'ottima occasione per fare profitti illeciti. Questi profitti vanno dal commercio di organi alla prostituzione, dal sequestro di persona finalizzato alla richiesta di riscatto, alla riduzione in schiavitù, fino all'uso dei bambini come corrieri della droga.

Don Alejandro non aspetta che i migranti vadano a cercarlo, è lui che va a cercare loro. Si stabilisce nell'area della cittadina di Ixtepec, perché nei suoi pressi sosta la "Bestia", un treno utilizzato clandestinamente dai migranti nel loro viaggio da sud verso gli Stati Uniti. Qui molti di loro fanno sosta in attesa di prendere un altro treno il giorno successivo. Ed è qui che il gesuita porta generi di prima necessità e altri aiuti.

Nel 2007 costruisce un centro di accoglienza (Albergue) proprio nei pressi della stazione, in modo da offrire assistenza tempestiva e soprattutto anticipare i tentativi di sequestro messi in atto dall'organizzazione criminale Los Zetas, che ha riconvertito in buona parte il proprio buiseness dal contrabbando della droga in traffico di esseri umani. Anche se attualmente Los Zetas è stato soppiantato da un altro cartello di criminali, il cartello del Golfo, che impone a coloro che vogliono attraversare il Messico da sud a nord un pedaggio di oltre 1500 dollari a persona, ma non attua sequestri o assassinii occulti, l'emergenza umanitaria è più grave che mai.

Padre Solalinde ci racconta attraverso quali vicende egli è di fatto diventato un ostacolo molto ingombrante sulla strada, non solo delle attività illecite delle bande criminali, ma anche della corruzione di parte delle istituzioni statali e della connivenza fra queste ultime e le prime. Gli attacchi da lui ricevuti, sia sotto forma di minacce di morte sia sotto la forma più subdola attuata dal potere politico della calunnia e della delegittimazione, non sono serviti a farlo desistere dalla sua attività. Utilizzando con accortezza la risorsa dei mezzi di comunicazione egli è riuscito a porre in piena luce la questione dei sequestri e degli omicidi perpetrati continuamente nella più completa disattenzione, che spesso è vera e propria connivenza, delle autorità di polizia e delle amministrazioni locali. Ha cercato di togliere il velo della segretezza sotto il quale vengono nascoste queste attività criminali e di rendere di pubblico dominio gli episodi di cui viene a conoscenza tramite i suoi collaboratori. Questo ha fatto sì che, nella zona di Ixtepec, i sequestri siano quasi cessati, ma non ha purtroppo potuto impedire che venissero individuate dai sequestratori altre località spostate più a nord dove i sequestri si sono moltiplicati a dismisura sotto gli occhi compiacenti degli amministratori locali.

Sempre più frequente è in Messico la scoperta di fosse comuni in luoghi isolati dove con ogni evidenza finiscono le vittime dei sequestri non considerate più fonte di reddito per i criminali. Da questo punto di vista l'attività di Solalinde finisce anche con lo sfociare, sul piano giudiziario, nella richiesta di individuazione e della condanna dei colpevoli di tali delitti.

Egli confessa, senza falsa modestia, che gli fa piacere essere diventato una figura di riferimento per gruppi e associazioni che si battono per la difesa dei diritti umani anche sul piano internazionale. La sua candidatura al Premio Nobel per la pace lo riempie di commozione perché rappresenta un importante sostegno ai "fratelli in cammino", la comunità che in mezzo a mille difficoltà si adopera con lui nel soccorso ai migranti. D'altra parte il suo prestigio sul piano internazionale rende meno facile ai narcos sbarazzarsi di lui e, soprattutto, mette al centro dell'attenzione il problema, divenuto epocale, dell'emigrazione nel mondo.

Oggi Alejandro Solalinde vive sotto scorta e continua nel suo impegno di difensore dei diritti umani, forte della solidarietà ricevuta, ma forte soprattutto della sua fede, che lo conferma ogni giorno nella necessità irrinunciabile delle sue scelte di vita. Se gli chiedete se non ha paura di essere ucciso, la sua risposta è quella che, in forma più o meno analoga, danno tutti i Giusti: non dobbiamo e non possiamo farci paralizzare dalla paura, "possiamo e dobbiamo avere il coraggio di rischiare un po' del nostro benessere - e perché no, anche la nostra vita - per restare umani... o ci salviamo tutti o tutti verremo travolti. È una scommessa forte. Ma ne sono sempre più convinto: ne vale la pena".

Salvatore Pennisi, Commissione educazione Gariwo

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