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La strada del coraggio

di Ali e Andres McConnon edizioni 66thand2nd, 2013

Il titolo - soprattutto nella traduzione italiana - e la seconda di copertina risultano un po’ fuorvianti rispetto ai reali contenuti del libro. Infatti, lo presentano come il racconto dettagliato dell’attività clandestina svolta da Gino Bartali a favore degli Ebrei durante il biennio 1943-44, quando faceva la spola in bicicletta tra l’Umbria e la Toscana trasportando documenti d’identità contraffatti e nascondeva una famiglia ebrea in una cantina.

In realtà, l’opera è molto più ampia e poliedrica: è la biografia dei primi quarant’anni di vita di Gino Bartali; è una storia del ciclismo, dagli albori della disciplina sportiva fino agli anni ’50, con interessanti dettagli tecnici, descrizione delle varie competizioni e evoluzione dei metodi di allenamento; è una storia dell’Italia, del ventennio fascista, della Seconda Guerra Mondiale, dei primi anni della Repubblica e l’inizio della Guerra Fredda. E all’interno di tutte queste vicende si inserisce l’eroico contributo di Bartali, che ha messo ripetutamente a rischio la vita propria e quella della sua famiglia per partecipare alla rete di soccorso agli Ebrei e agli antifascisti, gestita dal cardinale Elia Dalla Costa.

Il fatto che tutte le vicende, principalmente italiane, siano narrate da due autori nordamericani, uno giornalista e l’altro storico, contribuisce a dare una dimensione reale e obiettiva agli eventi, decisamente super partes, mentre lo stile di scrittura americano rende la lettura molto agevole e scorrevole, anche se il tono risulta alcune volte eccessivamente semplicistico e altre un po’ troppo enfatico.

Nel complesso quindi, l’opera si può considerare sia un’epopea del ciclismo e di uno dei suoi maggiori rappresentanti italiani in chiave storica, sia una storia dell’Italia tra le due guerre mondiali e l’immediato dopoguerra in chiave ciclistica. L’attività antifascista di Bartali, che occupa un paio di capitoli del libro, risulta un po’ marginale, quasi un dettaglio: solo nell’epilogo viene evidenziata e approfondita, e viene alla luce anche il motivo per cui questo atto di coraggio di un eroe dello sport sia sempre passato sotto silenzio: perché, come dichiarava Bartali “Se sei bravo nello sport le medaglie te le attaccano sulle maglie e poi splenderanno in qualche museo. Quelle guadagnate nel fare il bene si attaccano sull’anima e splenderanno altrove”.

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