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Polonia, una legge per la restituzione dei beni sottratti dai nazisti

si apre uno spiraglio nonostante molte restrizioni

Monumento in memoria degli internati nel campo nazista di Plaszow

Monumento in memoria degli internati nel campo nazista di Plaszow (Beata Zawrzel/NurPhoto, via Getty Images)

La Polonia sta valutando una nuova legislazione sulle restituzioni ai legittimi proprietari dei beni sottratti dai nazisti. Tuttavia, anche se dovesse passare, molti sopravvissuti rimarrebbero probabilmente esclusi dal provvedimento, pensato per limitare con cura i casi in cui la restituzione è ammessa. Per esempio si richiederebbe di dimostrare che le vittime della Shoah possedevano la cittadinanza polacca all'epoca dei crimini. 

Si tratta quindi di un debole spiraglio, in un Paese guidato da  un governo di estrema destra, che non ha esitato a prevedere il carcere per chi menzioni le responsabilità dei polacchi nella Shoah. Eppure è una misura importante, perché attualmente ogni sopravvissuto o erede deve provvedere da sé, conferendo mandato a un legale, senza che esista un quadro o una procedura standard per richiedere la restituzione del maltolto. 

Il New York Times racconta la storia di Miriam Tasini e sua sorella Alisa Sorkin. Le due donne erano molto piccole nel 1940, quando furono caricate su carri bestiame e portate in un gulag in Siberia, dove i sovietici deportarono un milione di polacchi, tra cui 200 mila ebrei. I loro genitori ebbero soltanto il permesso di portare ciò che potevano tenere con sé, alcune monete d'oro cucite sotto i bottoni delle maglie invernali delle loro figlie, che più tardi scambiarono con del cibo.
La famiglia aveva lasciato la maggior parte dei propri averi quando, dopo lo scoppio della guerra in Polonia, decise di fuggire a est dalla città natale Cracovia: allora la famiglia perse la grande casa che possedeva sulla Vistola e una redditizia panetteria, prima confiscate dai nazisti e quindi nazionalizzate dal governo comunista dopo il conflitto. 
Le due sorelle, che oggi vivono negli USA, cercano di ottenere giustizia dal 1989, quando cadde il comunismo in Polonia. 

Da allora i governi polacchi che si sono succeduti hanno tentato 20 volte di far passare una legislazione sulle restituzioni, ma hanno sempre fallito, in gran parte per il diffuso timore dei costi che avrebbe una simile operazione. Infatti in Polonia i beni confiscati dai nazisti e dai comunisti a molte famiglie di ebrei e dissidenti valgono diversi miliardi di dollari.

Il governo polacco di recente ha subito pressioni in merito anche da Donald Trump, che ha sollecitato l'approvazione di una legge "urgente". C'è anche un trattato, in vigore tra Polonia e USA dal 1960, per il quale la Polonia ha corrisposto agli Stati Uniti 40 milioni di dollari per sistemare tutte le domande pendenti di cittadini americani per le proprietà confiscate e nazionalizzate in Polonia.

La legislazione che vige oggi richiede a coloro che domandano la restituzione di beni confiscati di dimostrare che loro o i loro congiunti (talvolta di un grado lontano di parentela) fossero cittadini polacchi al tempo della confisca, e inoltre ammette solo domande di coniugi, figli e nipoti (figli dei figli, non figli dei fratelli).

Il nonno di Tasini e Sorkin non aveva tutti i documenti in regola, perché aveva dovuto passare gran parte del tempo nascosto in una miniera di sale per sfuggire ai nazisti, invece di badare alla sua casa e alla sua impresa. Per molte altre famiglie, per 40 anni l'ostacolo principale è stata la mentalità collettivista, che non suggeriva ci fosse un senso nel reclamare le restituzioni di beni privati. Finora sono state risarcite solo 4.500 famiglie. "Con i sopravvissuti che continuano a morire", sostengono i difensori dei diritti umani in Polonia interpellati dal giornale americano, "ci troviamo davanti a una finestra molto stretta per poter agire per ottenere le restituzioni".

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