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10 maggio 2012: Il concetto di Giusto diventa patrimonio di tutta l’umanità

di Anna Maria Samuelli


Le storie dei Giusti sono “il fiato del mondo”.

Con 388 firme, il 10 maggio del 2012, il Parlamento di Strasburgo accoglieva l’appello di Gariwo per l’istituzione della Giornata Europea dei Giusti, celebrazione che si tiene ogni anno il 6 marzo, anniversario della morte di Moshe Bejski, il giudice del bene dello Yad Vashem.

Il Parlamento Europeo rispondeva alla sua vocazione originaria, allo spirito dei padri fondatori definito recentemente dai suoi esponenti di spicco Charles Michel, David Sassoli e Ursula von der Leyen, in occasione dei settant’anni dal discorso di Robert Schuman,”creativo, audace, pragmatico”.

I parlamentari europei approvando la Dichiarazione scritta proposta da Gariwo n.3/2012 si sono impegnati in un percorso di riflessione e scelta in merito alla prevenzione dei genocidi e dei crimini contro l’umanità. Superando barriere ideologiche e precomprensioni hanno conquistato un livello etico condiviso facendo cadere i muri eretti tra le memorie. Un impegno straordinario quello di Gabriele Nissim e dei suoi collaboratori e sostenitori per raggiungere questo risultato. E’ vero che i miracoli, come osservava Hans Jonas, li compiono gli uomini, ma in questo caso non è irrilevante il fatto che si trattasse di riconoscere il valore dei Giusti nella storia dell’umanità. Miracolo che si è ripetuto con l’approvazione della legge n.212 del 20 dicembre 2017 con la quale il Parlamento italiano ha riconosciuto la ricorrenza del 6 marzo solennità civile, da onorare in tutte le scuole d’Italia.

Gariwo, nata dal raccordo tra le memorie della Shoah e del genocidio armeno, ha nella sua vocazione originaria l’obiettivo di raccogliere e diffondere le storie dei Giusti dell’Umanità, storie vive e operanti anche nel nostro presente, storie che uniscono perché rivelatrici del valore della responsabilità e della scelta in esse sotteso.

Come non cogliere, osservava Anna Foa, le corrispondenze, le similitudini, le conformità di intenti, l’intimo rapporto che collega tra loro quanti hanno saputo agire salvando vite umane o in difesa della verità e della dignità umana? Pensiamo allo status dei paesi europei all’indomani della fine della seconda guerra mondiale. Senza l’idea forte dei padri fondatori dell’Europa come si sarebbero potuti superare i nazionalismi e realizzare un allargamento e un consolidamento delle istituzioni democratiche capaci di sopravvivere alle sfide della dimensione globale in cui oggi siamo immersi? Ci sono momenti nella storia in cui il futuro delle persone e il futuro del mondo è nelle nostre mani. Accade anche oggi.

La pandemia che coinvolge in maniera più o meno violenta tutte le nazioni e i continenti, ci mette ancora una volta, come ha osservato Gabriele Nissim, di fronte a scelte che possono cambiare le sorti dell’intero pianeta.

L’orgia mediatica che ci avvolge quotidianamente e ci carica di bollettini, dati, numeri, e di contraffazioni o demolizioni accanite di ogni operato istituzionale, quasi che la responsabilità del nostro futuro spetti sempre o ancora una volta a qualcuno che non siamo noi, va superata con l’assunzione di responsabilità a livello personale. Non è la molteplicità di voci nella politica, nella società civile, nella comunità biomedica a costituire un problema, ma la mancanza in esse di misura, di riflessività, di stimoli a un pensiero lungimirante che sia di sostegno alle scelte di comportamento nella nostra nuova e impegnativa modalità di relazioni sociali e di impostazione di vita personale. In questi tempi troviamo densità morale e capacità di scegliere le parole in poche figure, forse solo in papa Francesco. Certo la debolezza del livello intellettuale in Italia è tema antico e ricorrente. Ce lo ricorda l’editoriale nel sito di Gariwo del filosofo Amedeo Vigorelli che ci ha fatto dono del discorso su La funzione della cultura tenuto da Piero Martinetti il 19 settembre 1926 a Castellamonte, su invito della Associazione Universitaria Canavesana. La grande attualità della denuncia di Piero Martinetti, filosofo che non ha firmato l’adesione al fascismo, onorato al Giardino di Monte Stella il 6 marzo 2020, è ricavabile da un passaggio cruciale riportato dal prof. Vigorelli: L’Italia ha tutte le apparenze di un paese altamente civile. Ma la civiltà di un paese non si misura dalle apparenze, dal numero delle automobili che corrono o dal lusso delle donne. Ma noi dobbiamo piuttosto chiederci: a che livello sono le scuole, le Università, le biblioteche? Qual è in Italia la fortuna del libro? A che livello è la coltura media della sua borghesia? Quante persone, così dette colte, del vostro ambiente, voi conoscete che siano capaci di riconoscere le stile di una chiesa, che abbiano letto Leopardi, Goethe, Anatole France, che sappiano con qualche precisione che cosa è il profetismo ebraico? Quante sono le persone colte di vostra conoscenza capaci anche solamente di distinguere, con una certa sicurezza, i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento? (https://it.gariwo.net/editoriali/la-lezione-pedagogica-di-piero-martinetti-cura-di-se-religione-della-coscienza-culto-della-memoria-dei-giusti-22147.html). Era il 1926.

Oggi avvertiamo un crescendo della dimensione dell’apparire, una aridità che circola nei media e nei dibattiti televisivi insieme al dilagare della speculazione politica che rivelano insensibilità, mancanza di riferimenti etici, e soprattutto la rinuncia a pensare e a capire prima di emettere giudizi e condanne.

Per questo sono convinta che la realtà di Gariwo, nata dal riconoscimento del valore delle storie dei giusti, possa anche in questa dimensione di “confinamento” e di “paura liquida”, avere la funzione di aprire nuovi orizzonti e mostrare che la ricerca dei giusti e la creazione dei Giardini, è veramente paragonabile al lavoro del pescatore di perle. Nella palude mediatica dove tutti diventano star, la discrezione e l’agire silenzioso dei giusti contro stereotipi, conformismi, leggi che impongono discriminazioni e che avviano la disumanizzazione del diverso, costituiscono un serbatoio di nuove idee, di nuovi strumenti, di nuove energie.

Ricordo che lo stesso anno dell’approvazione della Giornata Europea dei Giusti, usciva un libro di Francesco M. Cataluccio, L’ ambaradan delle quisquiglie. Mi aveva colpita la conclusione a cui era giunto nella pagina finale: “ Da molti anni mi sembra di aver capito che aveva ragione la nonna: raccontare è vivere. L’umanità è sempre sopravvissuta perché ha raccontato: le storie sono il fiato del mondo”.

Parole che rafforzano e danno significato al suggerimento, meglio, all’esortazione che rivolgiamo a insegnanti e studenti in questo periodo di confinamento e di attività didattica a distanza: accostate la storia attraverso la memoria del bene, cercate, ricostruite, narrate le storie dei giusti.

Raccontare è davvero vivere. Le storie di vita diventano esperienza empatica e azione. Incontrare i Giusti genera nuovi pensieri e nuovi sentimenti. “L’empatia”, ha osservato Laura Boella,” è l’esperienza che mette di fronte all’esistenza dell’altro nella sua unicità e differenza… produce movimenti imprevisti e diversificati verso nuovi pensieri e desideri…”.

I Giusti incarnano l’essenza stessa della responsabilità e dal loro agire ricaviamo la spinta a metterci in ascolto della vita, a realizzare l’etica dell’attenzione che ci porta a ricavare dall’esperienza quel momento in cui la parola diventa azione (in armeno antico, “parola” è pan, che significa anche “cosa”, “realtà”), e noi possiamo scegliere di costruire la nostra storia con un grado di libertà e di responsabilità maggiore.

I lavori del concorso “Adotta un Giusto” che giungono ogni anno sempre più numerosi a Gariwo, rivelano la creatività e la partecipazione emotiva e cognitiva degli studenti stimolata dall’ascolto, dalla ricerca, e dalla scoperta del valore della memoria del bene. Narrazioni e incontri con chi ha dato la vita, rischiato la libertà o reagito al male con coraggio e lungimiranza, con chi è stato capace di prevedere e anticipare il bene, producono riflessione, comprensione, autonomia di pensiero e desiderio di condividere e sottoporre allo sguardo di altri ciò che si è creato in modo libero e spontaneo. Per questo siamo grati agli insegnanti che guidano gli studenti in questa scelta.

I Giardini dei Giusti, luoghi della narrazione, ritorneranno ad accoglierci.

Per ora, diciamo con Enzo Bianchi, che il racconto è un dono. Usiamolo nel contesto in cui ci è dato di stare in questi giorni, portiamolo con noi nei primi insicuri passi fuori casa. “L’uomo è un essere narrante”, scrive Enzo Bianchi, “quando narra fa memoria, rivive e fa rivivere eventi, apre la strada al futuro”. Il racconto ci avvicina la vita dell’altro, la rivela fino a diventare parte di noi, voce interiore. Le storie ci uniscono e sono “il fiato del mondo”.

Annamaria Samuelli

Analisi di Annamaria Samuelli, Responsabile Commissione educazione e cofondatrice di Gariwo

14 maggio 2020

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