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A che cosa serve il Giardino dei Giusti di Halabja

di Joshua Evangelista

Pochissimi in Italia (qualcuno in più nel resto d’Europa) sanno cosa sia stato l’Anfal. Anche dentro quella nicchia attenta ai diritti umani e alla prevenzione di crimini contro l’umanità, solo poche persone sono consapevoli delle vicende di centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini che furono giustiziati durante il tentativo sistematico di sterminare la popolazione curda in Iraq alla fine degli anni '80.

Anfal era il nome in codice usato dai baathisti per descrivere la campagna militare di sterminio e saccheggio comandata da Ali Hassan al-Majid, il capo dei servizi segreti iracheni tristemente soprannominato “Ali il chimico”. Stravolgendo il senso della corania “suratal-anfal”, la campagna ha preso di mira anche i villaggi delle minoranze: cristiani, yazidi e non solo.

Ma per i curdi Anfal è molto di più. Racconta un sentimento di odio iniziato molti decenni prima e che ha avuto come punti focali l'arabizzazione dei villaggi intorno a Kirkuk nel 1963, la deportazione delle tribù feyli negli anni ’80, quindi l’omicidio di 8000 uomini nel 1983 e infine i massacri tramite armi chimiche del 1988. Ciò che accadde nel 1988 è leggermente più noto ma è il frutto di anni di massacri, con centinaia di migliaia di innocenti morti e 4500 villaggi rasi al suolo.

Quello che successe il 16 marzo 1988 ad Halabja, uno dei centri culturali più importanti del Medio Oriente, è la rappresentazione plastica di decenni di violenze.

È importante capire questo contesto di distruzione per avere un’idea della portata dell’inaugurazione del Giardino dei Giusti di Halabja, nel luogo dove è avvenuto, probabilmente, il più grande massacro condotto attraverso armi chimiche nella storia dell’uomo, riconosciuto come genocidio dai parlamenti di Svezia, Norvegia, Regno Unito e Corea del Sud. Halabja è una città ricostruita sopra le fosse comuni: dei cartelli spiegano al visitatore che qui e lì sono sotterrati 150, 50 o 400 corpi.

Il Giardino di Halabja è stato inaugurato il 18 ottobre 2022 dopo un lavoro approfondito di concertazione e studio che è durato quasi tre anni e che ha coinvolto associazioni internazionali e locali, istituzioni curde e attivisti di più paesi.

L’associazione milanese di cooperazione internazionale Dare.ngo, che da anni lavora con le organizzazioni locali per creare consapevolezza in occidente di cosa è stato il massacro di Halabja, ha messo in contatto Gariwo con NWE, un’associazione di Halabja composta principalmente da donne che cerca di disegnare un futuro per la città fatto di diritti, tutela ambientale, turismo responsabile.

C’era un’area dismessa, nei pressi del Governatorato di Halabja, che sarebbe potuta diventare un Giardino dei Giusti. Come quelli di Milano, Varsavia e delle altre 200 città che in tutto il mondo avevano scelto di perseguire questo tipo di memoria. Un progetto decisamente utopistico, a partire dalle premesse: oggi Halabja è desertica. Nella città dei melograni più buoni d’Iraq non piove quasi più e non esistono spazi verdi. Di conseguenza non ci sono luoghi aggregativi per i giovani, non esiste un'agorà.

Insieme all’associazione ambientalista tedesca Wadi, NWE è parte di Green Halabja, un progetto ambiziosissimo che mira a far tornare Halabja di nuovo verde e a creare una nuova consapevolezza ambientale nell’area. Per capire la portata del progetto, vale la pena spendere qualche parola su NWE e sul suo animatore, Qayssar Ahmed.

Qayssar Ahmed è sopravvissuto al genocidio del 16 marzo 1988 solo perché fortunosamente la sua famiglia ha imboccato l’unica strada che non era controllata dalle forze di Baghdad. Giornalista investigativo, insieme alla moglie Hero ha fondato la radio di comunità Dangi NWE, forse la prima emittente indipendente da partiti politici e fazioni religiose della regione. Per la sua attività di giornalista ha ricevuto costantemente minacce di morte. Nonostante questo, continua a formare giornalisti indipendenti che abbiano una preparazione particolare al contrasto delle fake news.

Nel 2015, in mezzo all’esodo di massa di persone in fuga dall’Isis, ha dato la radio in mano a donne rifugiate dalla Siria e dall’Iraq affinché facessero programmi dedicati alle donne dislocate nei campi profughi. Questo progetto ha vinto il premio internazionale dedicato al Giusto Raif Badawi. NWE è anche un’associazione che si occupa di diritti delle donne e contrasto alle mutilazioni genitali femminili e di campagne a favore dell’abbandono della plastica e per la promozione di una cultura ecologica nella regione, la cui agricoltura non si è mai veramente ripresa dopo l’attacco chimico.

Tre anni dopo i primi incontri online, NWE, Dare.ngo e Gariwo hanno inaugurato il Giardino dei Giusti, alla presenza dei cittadini di Halabja e di tv locali e internazionali, come Voice of America. Gli attivisti hanno piantato alberi, alcuni contadini hanno iniziato a coltivare piselli, melograni e patate. Ma, soprattutto, ci sono targhe che ricordano Giusti che, durante altri genocidi, hanno salvato vite umane o si sono battuti per difendere la dignità delle persone: Gino Bartali, Irena Sendler, Denis Mukwege, Raphael Lemkin, Moshe Bejski, Hammo Shero, Wangari Muta Maathai e Alganesh Fessaha.

Qualcuno potrebbe chiedersi: dove sono i Giusti locali? La risposta a questa domanda è probabilmente la parte più interessante dell’intero progetto.

Il principale problema incontrato dall’associazione NWE nella ricerca di Giusti locali è che l’Iraq non ha mai fatto i conti con il genocidio dell’Anfal. Non esiste una Norimberga irachena: i cittadini di Halabja non hanno mai ricevuto una compensazione da Baghdad per i terribili fatti dell’88. E la regione autonoma curda continua a vivere in un’eterna stagione di instabilità: le guerre tra le fazioni al potere, infervorate dalle potenze estere che non mollano la presa sulle risorse del territorio, e una corruzione endemica influiscono pesantemente sulla possibilità di chiudere definitivamente l’età dell’Anfal.

Oltretutto ad Halabja le persone fanno ancora i conti con malattie respiratorie, malformazioni fisiche e altre patologie riconducibili agli effetti dell’attacco chimico. Per tanti anni l’acqua di Halabja è stata contaminata. La città è stata ricostruita alla buona dopo che per tre anni tutti i sopravvissuti l’avevano abbandonata cercando rifugio nel vicino Iran o in Europa.

Del resto la memoria non può essere rappresentata solo dal Museo del genocidio: una cattedrale nel deserto più sentita dai visitatori stranieri che dai locali, in cui l’esposizione del cappio che soffocò Saddam Hussein in diretta televisiva trasmette il messaggio illusorio che basta uccidere il dittatore per restituire giustizia alle vittime. Durante una cerimonia in ricordo delle vittime, il 16 marzo 2006, un migliaio di residenti di Halabja insorse presso il sito per protestare contro quello che veniva percepito come lo sfruttamento della memoria della tragedia da parte del potere. Fu appiccato un fuoco contro il monumento, uno dei dimostranti venne ucciso dalla polizia e decine di persone furono ferite. Fare memoria ad Halabja deve quindi tenere conto della sofferenza della popolazione, che non si è esaurita il 16 marzo del 1988.

Chi sono i Giusti in questo contesto? Nominare Giusto un generale peshmerga che combatté gli attacchi di Baghdad  invece di un altro vuol dire schierarsi politicamente o dare un senso sbagliato a tutta l'operazione. Del resto delle famiglie arabe che nascosero i curdi in fuga si sa colpevolmente troppo poco. Così come di quelle iraniane che coordinarono l’accoglienza dei profughi.

Si è deciso di dedicare il Giardino di Halabja a coloro che salvarono vite umane durante l’attacco chimico come auspicio per creare una commissione di studiosi locali che riesca a restituire alla comunità i nomi dei Giusti dell’Anfal.

In quest’ottica va vista l’importantissima conferenza che si è tenuta al dipartimento di Geografia dell’Università di Halabja in cui Gariwo, rappresentata il loco dal sottoscritto e dal presidente Nissim in collegamento da Milano, ha dialogato con giuristi e studiosi del genocidio per tracciare la via verso lo studio dei Giusti e un lavoro profondo di prevenzione di nuovi genocidi. Del resto gli effetti dei cambiamenti climatici qui sono tangibili più che altrove e la possibilità di nuovi massacri legati all’accesso alle risorse è decisamente concreta.

L’Università di Halabja avrà un ruolo centrale per il Giardino. Ma non solo. Gariwo sta lavorando con la Kurdish Genocide Writers Union, l’associazione degli scrittori che si occupano del genocidio curdo, affinché la memoria dei Giusti possa essere condivisa in tutto il territorio attraverso l’introduzione della Giornata dei Giusti (sulla scia di quella europea) e la costituzione di una commissione di esperti locali che possa restituire dignità a ogni singola storia di salvataggio che ha avuto luogo nella regione durante l’Anfal.

Il lavoro dei prossimi anni avrà un triplo obiettivo: far conoscere l’Anfal in Occidente, promuovere il concetto di Giusti universali in Iraq attraverso le università e le scuole e creare un network virtuoso tra tutte le realtà locali interessate a lavorare a un nuovo modo di fare memoria, che non può prescindere dalla comparazione dei genocidi e dal contrasto dei cambiamenti climatici.

Il faro di questo progetto è la Convenzione nata dal lavoro di Raphael Lemkin, figura centrale per gli studiosi locali del genocidio così come per Gariwo.

La strada è ancora lunghissima, ma il Giardino dei Giusti di Halabja segna l’inizio di una nuova stagione di impegno nella prevenzione dei genocidi.

Joshua Evangelista

Analisi di Joshua Evangelista, Responsabile comunicazione Gariwo

2 novembre 2022

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