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A Varsavia si combatte ancora la battaglia della memoria. I narcisi della contromanifestazione

di Francesco M. Cataluccio

Varsavia. Cielo plumbeo e una marea di gialle giunchiglie, che fioriscono proprio in questi giorni, hanno fatto da cornice, nella centrale piazza degli Eroi del Ghetto, alla commemorazione dell’ottantesimo anniversario della rivolta di un gruppo di coraggiosi ebrei, che tennero testa alle truppe tedesche dal 19 aprile al 10 maggio 1943. A mezzogiorno in tutta la città risuonano le sirene. Poi è iniziata la commemorazione ufficiale alla presenza del presidente polacco Andrzej Duda, dei presidenti di Germania, Frank-Walter Steinmeier, e Israele, Isaac Herzog, autorità civili e religiose. Il discorso di Duda rispecchia quelli che negli ultimi mesi, con maggiore decisione rispetto al passato, sono i temi di mai sopita “Battaglia della memoria”. I nazionalisti polacchi vogliono che la tragedia della Shoah non “oscuri” milioni di vittime polacche durante la Seconda guerra mondiale. Come ha affermato alcune settimane fa il ministro dell’Istruzione, si vorrebbe che le migliaia di giovani che ogni anno visitano i campi di sterminio, fossero condotti anche nei luoghi più significativi del martirio dei polacchi. Tutto ciò si accompagna a una forte opposizione (anche con sanzioni penali) a qualsiasi accenno ad alcune complicità (per ragioni economiche o per odio antisemita) che ci furono da parte di polacchi nell’uccisione di ebrei (polacchi). Così si insiste sul fatto che i rivoltosi non potevano essere aiutati più di così, dall’esterno delle mura del Ghetto, dove (in Piazza Krasinskich) c’era addirittura una giostra che continuò a funzionare con le persone che acchiappavano i brandelli di cenere delle case che bruciavano, e la gente disperata si buttava dalle finestre mentre i cecchini tedeschi facevano a gara a chi ne ammazzava di più mentre precipitavano. Questi fatti non si ricordano, ma si preferisce sottolineare il fatto che su un tetto, accanto alla bandiera del Bund (il partito della sinistra sionista al quale apparteneva la maggioranza dei rivoltosi), fu issata anche la bandiera polacca.

Per questo motivo, molti polacchi preferiscono stare fuori dalle transenne, controllate da molti poliziotti, che circondano il grande Monumento, di Nathan Rapaport, posto sul luogo dove si iniziò a sparare contro i tedeschi e di fronte al Museo della storia degli ebrei polacchi (Polin), il cui direttore, Dariusz Stola, si dimise nel 2020 per contrasti con il governo di Mateusz Morawiecki, che lo accusava di aver politicizzato il museo dando risalto all’antisemitismo dei polacchi.

La contromanifestrazione, che ha visto la partecipazione di molti oppositori, tra i quali Adam Michnik, quest’anno è stata particolarmente affollata. I partecipanti si sono riuniti davanti al monumento alla memoria di Szmul Zygielbojm (1895-1943), il politico socialista ebreo polacco e membro del governo polacco in esilio che si tolse la vita nel maggio 1943 a Londra, in segno di protesta contro l’inazione degli Alleati di fronte all’annientamento tedesco degli ebrei europei e soprattutto per la sconfitta della rivolta del ghetto di Varsavia. E’ stato letto un brano della sua ultima lettera: “Non posso tacere e non posso continuare a vivere mentre il resto degli ebrei polacchi, di cui sono rappresentante, viene ucciso”. Poi in corteo sono andati a deporre mazzi di giunchiglie nei vari luoghi dove sono stati uccisi gli ebrei. La famosa attrice Maja Komorowska ha letto delle poesie nel luogo, in via Mila 18, dove c’era il bunker nel quale, pochi giorni dopo il suicidio di Zygielbojm, si uccise per non finire in mano ai tedeschi anche Mordechaj Anielewicz (1919-1943), il comandante dell’Organizzazione ebraica di combattimento (Zob). Fu allora che Marek Edelman prese la testa della rivolta assieme a un gruppo di giovani compagni, come raccontò, nel 1945, nel suo memoriale “Il ghetto di Varsavia lotta” (a c. di W. Goldkorn, Giuntina 2012). E continuò a lottare anche dopo la guerra, contro l’antisemitismo, il totalitarismo comunista, in difesa della Serajevo assediata, che paragonò alla situazione del ghetto di Varsavia.

Edelman, l’eroe amaramente modesto della rivolta del ghetto, introdusse la tradizione di portare le giunchiglie sulle lapidi dei suoi compagni (“Non mi è stato dato di cadere come loro, assieme a loro. Ma appartengo a loro e allo loro tombe”) ed evitare le cerimonie ufficiali. Ha insegnato che la memoria ha un senso non per contemplare le vecchie ferite, ma perché aiuti a scegliere oggi tra il bene e il male. E ad agire.

(Pubblicato su "il Foglio", 19 aprile 2023)

Francesco M. Cataluccio

Analisi di Francesco M. Cataluccio, Responsabile editoriale della Fondazione Gariwo

21 aprile 2023

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