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Alfredo Sarano e diversi altri Giusti

di Francesco M. Cataluccio

La storia del coraggioso Alfredo Sarano vede coinvolti diversi altri Giusti: un frate francescano, alcuni contadini e persino un giovane ufficiale tedesco. Quello che sappiamo di tutta la vicenda è soprattutto grazie a un diario che Sarano scrisse e donò, prima di morire, alle figlie. Questo scritto, rimasto sconosciuto per decenni, è stato pubblicato nel 2017, col titolo Siamo vivi siamo qui. Il diario inedito di Alfredo Sarano e della famiglia scampati alla Shoah, (San Paolo edizioni) e la prefazione di Liliana Segre, grazie all’impegno del giornalista Roberto Mazzoli che ha rintracciato in Israele le figlie di Alfredo e il suo diario.
Egli era rimasto incuriosito da un libretto, scritto da padre Sante Raffaelli, dove si raccontava di un giovane ufficiale tedesco che avendo scoperto, nel 1944, che alcuni rifugiati, nel Convento del Beato Sante a Mombaroccio, erano ebrei non li denunciò né li fece deportare. Alfredo Sarano era nato ad Aydin in Turchia nel 1906, figlio di due ebrei sefarditi, Mosè e Allegra. Nel 1911 la famiglia, di nazionalità italiana, fu costretta a rifugiarsi a Napoli a causa della guerra con la Turchia e l’anno successivo si stabilirono a Rodi. Nel 1926 Alfredo si trasferì a Milano per studiare all’Università Bocconi. Dopo la laurea, nel 1931, iniziò a lavorare come impiegato nella Comunità ebraica con l’incarico di redigere un elenco dettagliato e aggiornato degli ebrei che vivevano nel capoluogo lombardo (un numero che andava crescendo poiché in città giungevano moltissimi ebrei in fuga dalla Germania nazista e dagli stati nazionalisti e autoritari del Centro Europa).
Nel 1938, con la promulgazione delle leggi razziali, la Direzione generale per la demografia e razza (Demorazza) inizia a censire gli ebrei residenti in Italia e alle comunità ebraiche viene imposto di fornire l’elenco degli appartenenti. Sarano, intuendo il pericolo di collaborare a quel censimento, lucidamente ne rallenterà il lavoro arrivando persino a boicottarlo. Sempre in quell’anno Alfredo si sposa con Diana Hadjes, anche lei originaria di Aydin (Turchia). La coppia avrà tre figlie: Matilde, Vittoria e Miriam. La figlia Vittoria (che vive a Tel Aviv), ricorda: “Papà era un uomo di grande rettitudine e onestà, molto modesto, umile, anche timido. Aveva un cuore limpido, era un giusto: fece tutto il possibile non solo per mettere in salvo la propria famiglia, ma anche per proteggere gli ebrei. Fu lui, infatti, a nascondere i registri con l’elenco dettagliato degli ebrei di Milano, dei quali si sentiva responsabile. Noi non ne sapevamo nulla”.
Nell’estate del 1943 la famiglia Sarano si rifugia nelle Marche. Rimasto a Milano, Sarano riesce a nascondere gli elenchi degli ebrei da lui stesso redatti (oltre 14.000 persone), salvando così moltissime persone dai rastrellamenti, e poi raggiunge la famiglia a Pesaro, che è appena stata occupata dai tedeschi. Come racconta la figlia Matilde: “Appena mio padre arrivò da Milano, con suo fratello Arturo, prese un biroccio con un asino e ci caricò sopra quel poco che avevamo: poi ci mettemmo in viaggio verso Mombaroccio. Su quelle colline mio padre riuscì a prendere in affitto presso il Passo del Beato Sante una casa di campagna molto malandata, che era in realtà una stalla, da un contadino di nome Gino Ciaffoni, il quale scoprì che eravamo ebrei: anche un altro contadino di nome Dante Perazzini e padre francescano Sante Raffaelli, del Convento del Beato Sante, sapevano che eravamo ebrei: non lo rivelarono mai”. Nella primavera del 1944 a Mombaroccio iniziò il passaggio delle truppe tedesche in ritirata: 150 paracadutisti tedeschi provenienti da Montecassino si fermano in paese e si acquartierano nei pressi del Convento dove padre Sante Raffaelli ha accolto e dato protezione a ebrei, disertori e partigiani nascosti nei dintorni.
L’ufficiale della Wehrmacht, Erich Eder, aveva allora soltanto 21 anni ed era un fervente cattolico. Scoprì che i Sarano, e altri rifugiati, erano ebrei ma decide di non arrestarli né di farli deportare. A padre Raffaelli confidò: “Non abbiamo notificato a nessuno la presenza degli ebrei quando ne siamo venuti a conoscenza. Per noi sono rifugiati come gli altri in questo convento”. Alla fine di agosto, prima di fuggire dai sotterranei del Convento, dove i tedeschi assieme ai profughi cercavano di ripararsi dai pesanti bombardamenti anglo-americani, Erich Eder chiese a padre Sante di impartirgli la benedizione perché non sapeva se sarebbe uscito vivo. Ricorda Alfredo Sarano: “Per un momento tutti dimenticammo la tragica situazione nella quale ci trovavamo e ci commuovemmo alla vista di quel militare che, da credente, invocava, per mezzo del sacerdote, la salvezza divina”.
La mattina del 27 agosto arrivarono i soldati canadesi: i rifugiati ebrei erano ormai salvi.
Alfredo si arruolò nella Brigata Ebraica. Prima della fine della guerra, come direttore dell'Ufficio Palestinese di Roma, aiutò oltre 600 immigrati a raggiungere il nascente Stato di Israele.
Dopo la Liberazione la famiglia Sarano tornò a Milano e ad Alfredo viene affidata la carica di Segretario della Comunità ebraica. Nel 1969 si trasferì con tutta la famiglia in Israele dove morì, nel 1990. Padre Sante Raffaelli, per trent’anni, fu poi Commissario di Terrasanta per le Marche e, prima di morire nel 1989, si recò anche a visitare la famiglia Sarano in Israele. Nel dopoguerra Erich Eder tornò varie volte al Convento del Beato Sante, al quale si sentiva molto legato. È morto nel 1998.

Le figlie di Alfredo, che continuano a vivere in Israele, sono venute in Italia, a Mombaroccio, per rivedere le famiglie Ciaffano e Perazzini che durante la guerra avevano dato loro protezione. E, nel 2016, hanno incontrato per la prima volta i figli di Erich Eder durante una cerimonia svoltasi nel teatro comunale di Mombaroccio.

Francesco M. Cataluccio

Analisi di Francesco M. Cataluccio, Responsabile editoriale della Fondazione Gariwo

20 ottobre 2022

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