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Anna Politkovskaya, questa "sconosciuta"

In Russia in pochi la ricordano

Il 7 ottobre 2006 Anna Politkovskaya veniva uccisa da un killer ignoto nell’androne del palazzo dove abitava a Mosca. Sei anni dopo – sei anni di indagini, processi, verdetti annullati, inchieste giornalistiche, mandati d’arresto internazionali, dichiarazioni di parlamenti di mezzo mondo e mobilitazioni dell’opinione pubblica in diversi Paesi – non si sa ancora chi ha ucciso la giornalista, né chi sia stato il mandante di quell’omicidio. I quattro spari nell’ascensore del numero 8 di via Lesnaya hanno avuto un’eco molto più forte in Europa e nel resto del mondo, mentre in Russia il sesto anniversario dell’omicidio è stato segnato più modestamente dall’autorizzazione, da parte del comune di Mosca, di installare sulla sede della redazione della Novaya Gazeta una lapide in memoria di Anna. Ramzan Kadyrov – l’uomo di cui la giornalista aveva denunciato i crimini e che in molti avevano sospettato di essere il suo nemico più potente – continua a regnare indisturbato sulla Cecenia, non più in guerra ufficialmente, ma ancora dilaniata da una guerriglia strisciante, diventata guerra civile.


Il nome di Politkovskaya in patria rimane largamente sconosciuto. In Europa la sua sorte, e quella dei suoi colleghi, è una delle prime domande che vengono rivolte a chi parla di Russia. Sembrava quasi che avesse ragione Vladimir Putin che, nel commentare la sua morte senza nemmeno esprimere il minimo di cordoglio richiesto dall’educazione, diceva che era “una sconosciuta”, in un mondo dove i lettori e gli spettatori sembravano accontentarsi della propaganda governativa. Ma anche con l’esplosione, nel dicembre scorso, della protesta politica, e di un attivismo civico inatteso dopo anni di apatia, il volto, il suo nome e il messaggio di Politkovskaya non sono apparsi. Nelle piazze russe che si sono ribellate ai brogli elettorali, alla corruzione e allo strapotere del Cremlino c’erano altre icone, altri eroi, altri martiri, dall’oligarca-detenuto Mikhail Khodorkovsky ai giornalisti censurati come Leonid Parfionov. C’era la Novaya Gazeta, tra i media più attivi e onnipresenti nel raccontare la protesta, e tra i bersagli più colpiti dalle pressioni del governo. Ma non c’erano né Anna, né la tragedia della Cecenia e del Caucaso, rimossa in maniera quasi psicoanalitica dall’agenda politica russa, sia del governo che dell’opposizione. 


Anna Politkovskaya ha svolto il suo lavoro negli anni più bui della Russia post-comunista, combattendo contro l’indifferenza, il razzismo che da fenomeno di sottocultura di periferia diventava quasi una retorica ufficiale, la violenza e il conflitto come strumento di politica, mentre una dopo l’altra le voci del dissenso venivano fatte tacere o si tacitavano. Continuava a chiedersi, e a chiedere ai russi, quasi con disperazione, perché non si ribellavano, non protestavano, non parlavano. E oggi, quando sono tornati a farlo, quando giovani giornalisti non vogliono più piegarsi a compromessi, e ragazzi che non hanno mai visto una manifestazione di protesta scendono in piazze rifiutando la paura, accade anche grazie a quei pochi che, come Anna Politkovskaya, avevano accettato di essere minoranza, derisa e minacciata. I nuovi oppositori russi, giovani, ironici, pragmatici, possono certe volte apparire molto lontani dalla passione e dalla rabbia di Politkovskaya, un’idealista che come molti della sua generazione aveva dovuto vivere sulla sua pelle la morte dell’utopia. Ma la loro rivendicazione di libertà, il loro rifiuto di uno zar che decide le loro vite, è stata resa possibile anche dal coraggio e dal sacrificio di Anna.

Anna Zafesova

Analisi di Anna Zafesova, giornalista, analista e USSR watcher

5 ottobre 2012

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