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Antisemitismo: il giorno della vergogna in Germania

di Simone Zoppellaro

DA STOCCARDA – Una serie di attacchi antisemiti senza precedenti, avvenuti in concomitanza con il riesplodere del conflitto israelo-palestinese, stanno provocando sdegno e paura in Germania. Sabato, in occasione della commemorazione del “Nakba Day”, un mare di odio ha invaso le strade e le piazze tedesche, oltre naturalmente al web, con una serie di atti e slogan che hanno provocato reazioni durissime da parte della politica, ma anche la presa di distanza di numerosi leader della comunità musulmana. Poco a che fare, in origine, con una protesta legittima e in parte pacifica, che è presto però degenerata – a causa di cospicue minoranze di violenti – in un repertorio di stereotipi gridati e odio, di stampo insieme antico e nuovo, che ha fatto gelare il sangue di tutti noi. In gioco, non solo la sicurezza della comunità ebraica tedesca, che ha fatto appello al governo sentendosi giustamente minacciata, ma la stessa cultura della convivenza, che sembra entrata in un cortocircuito.

A Berlino gli agenti di polizia che hanno tenuto testa alla folla di violenti sono stati insultati e attaccati, colpiti con sassi, accendini, bottiglie, ma anche con grosse pietre divelte dalle strade. Gli slogan intonati, qui come in altre città, andavano da un attacco a base di insulti diretto agli ebrei e a Israele (“assassina di bambini”, come scandiva la folla, riprendendo un noto adagio antisemita) a paragoni repellenti, atti a ritrarre gli uni e gli altri come i nuovi nazisti. I filmati diffusi sul web ci danno un’idea del repertorio, diretto – a suon di minacce e grida – anche più alle piccole manifestazioni di solidarietà a Israele. In larga parte, gli autori provenivano da un background migratorio ed erano di giovanissima età. Per anni, come ricorda lo psicologo di origine palestinese Ahmed Mansour, costretto a vivere sotto costante minaccia per il suo impegno, l'antisemitismo di matrice musulmana è stato tollerato in Germania, concentrandosi invece sulla scena – certo da non trascurare, anche nel contesto attuale – dell’estrema destra.

Sempre nella protesta berlinese, una giornalista israeliana, Antonia Yamin, è stata vittima di un lancio di petardi contro di lei, “colpevole” di aver parlato in ebraico ai microfoni della sua emittente. Non era la prima volta, ricorda l’inviata della TV Kan, che ha dichiarato: “Non è facile essere reporter israeliani per le strade d’Europa in questo momento”. In questo clima infuocato, il web si è rivelato un vaso di Pandora da cui fuoriusciva di tutto: dagli inneggiamenti deliranti a Hitler, “colpevole di non aver finito il suo lavoro” (frase ricorrente, ricordava Thomas Bernhard, nell’Austria del dopoguerra), agli appelli a colpire e cancellare gli ebrei e Israele dalla faccia della terra.

Il settimanale Der Spiegel riporta un’analisi interna delle autorità, secondo la quale si temono attacchi con bombe Molotov alle istituzioni ebraiche se il conflitto in Medio Oriente continuasse a intensificarsi. A gettare benzina sul fuoco, anche Erdogan, che ha lodato le proteste, parlando di “Israele, stato terrorista che ha passato tutti i limiti”. “Coloro che rimangono in silenzio o sostengono apertamente lo spargimento di sangue di Israele”, ha aggiunto il dittatore turco, “dovrebbero sapere che un giorno sarà il loro turno”. Tante, non a caso, le bandiere turche che sventolavano a Berlino e in altre piazze tedesche.

Il fatto più grave è, senza dubbio, che la piccola comunità ebraica tedesca, composta oggi nella stragrande maggioranza – dati alla mano, circa il 90% – da persone proventi dall’ex Unione Sovietica, si trovi al centro di attacchi e manifestazioni che non hanno esitato a dirigersi e a colpire anche le loro sinagoghe. Così a Gelsenkirchen, dove mercoledì oltre un centinaio di persone, cogliendo impreparate le forze dell’ordine, hanno urlato insulti terribili davanti al luogo di culto, gettando nel terrore la comunità locale. Non sono mancati atti di vandalismo contro memoriali della Shoah, come a Düsseldorf, mentre profanazioni contro sinagoghe si sono avute anche a Münster, dove una bandiera israeliana è stata data alle fiamme di fronte al tempio; in altre, come a Bonn, è avvenuto un lancio di pietre contro le vetrate. Il tutto mentre i crimini antisemiti, con un’accelerazione ulteriore dovuta al Covid e allo sdoganamento dell’odio compiuto dalla nuova destra, sono in costante aumento da anni.

La realtà è che convivono, in Germania come in Italia, un antisemitismo di destra, uno di sinistra e uno dovuto a un certo tipo di background migratorio. Il primo e il terzo si intersecano benissimo in gruppi come i Lupi Grigi, che secondo i dati governativi rappresentano il più grande gruppo di estrema destra sul suolo tedesco. Turchi, appunto. Ma da non trascurare è anche il legame fra il secondo e il terzo tipo: nel grande imbarazzo della sinistra tedesca, le piazze inferocite di sabato (e non solo) risultavano legate soprattutto a quest’ultimo intreccio.

È ora di violare un tabù che, in Germania come in Italia, è rimasto ai margini del discorso politico della sinistra per decenni: quello che esista, forte e radicato, un antisemitismo anche da questa parte, non soltanto nella destra. Un presupposto acritico e autoassolutorio che ha fondamenti storici recenti anche nella rimozione, da parte comunista, dell’antisemitismo sovietico e dei suoi crimini. Lo spirito da crociata puritana che anima tanti di noi in questo ambiente, che è poi quello in cui sono cresciuto, in cui si dà per assunto che noi siamo “i buoni” (per citare un romanzo-capolavoro di Rastello) quando non mancano – e lo sappiamo tutti – ombre sinistre che attraversano tutto il Novecento europeo: basti rileggere Giorgio Bassani, a tal proposito, e quello che scriveva sull’antisemitismo comunista già nell’immediato dopoguerra.

Da non sottovalutare, comunque, è il contributo della nuova destra a un clima pessimo dove l’antisemitismo, sempre minoritario fra nativi e migranti in Germania, trova però una nuova legittimazione nel discorso politico e culturale anche e soprattutto grazie al web, che è un canale fondamentale – piaccia o meno – per l’educazione e l’acculturazione di molti giovani. Un’analisi degli slogan antisemiti di sabato non può che rimandare, da un lato, alle proteste per il Covid, dove l’antisemitismo si è fatto prassi, da un altro a antiche e nuove teorie cospirative che, condivise in infinite varianti su internet, si ispirano al “grande complotto ebraico” e ai Protocolli dei Savi di Sion.

Ora, anche a prescindere dai sentimenti (orrore puro) che – al pari di tanti tedeschi – ho provato e provo per quanto avvenuto in questi giorni, liberarsi una volta per tutte da terminologie vetero – stato o entità sionista, ad esempio –, da accostamenti improbabili con l’Olocausto – vedi le fasce con la stella di David usate nelle manifestazioni tedesche contro il lockdown, o le magliette e gli striscioni sulla Shoah di sabato – e da un'accettazione, anche a sinistra (da persone attentissime, in altri casi, al politically correct), di discorsi antisemiti che nulla hanno a che fare con il conflitto in corso, sarebbe un ottimo modo per contribuire alla pace, non solo nostra, ma anche di israeliani e palestinesi.

Non solo, dopo questo giorno della vergogna – che lascerà tracce indelebili per anni in Germania – questo è un imperativo morale per chiunque, a prescindere dalle fede politica, creda in una cultura della convivenza.

Simone Zoppellaro

Analisi di Simone Zoppellaro, giornalista

17 maggio 2021

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