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Assassini in nome del paradiso

di Gabriele Nissim

Per comprendere come tanti giovani musulmani possano essere attratti dalle sirene dell’Isis e diventare disponibili a compiere i più atroci delitti, vale la pena di rileggere un passo del Milione, dove Marco Polo racconta la vicenda del Veglio della Montagna che in nome del paradiso trasformava i suoi fedelissimi in assassini.

Il viaggiatore veneziano aveva chiamato con questo soprannome il persiano al-Hasan ibn as-Sabbah, il maestro fondatore della setta eretica musulmana degli ismailiyyah (ismailiti), il quale nel 1107 aveva conquistato la fortezza di Alamut, facendola diventare la roccaforte del suo potere.

Marco Polo racconta come in quel luogo protetto dalle montagne il maestro avesse creato un vero e proprio paradiso terrestre con cibo in abbondanza e divertimenti come quelli promessi da Maometto, dove i giovani da lui selezionati potevano assaporare tutti i piaceri della vita e incontrare tante fanciulle compiacenti.

Non c’era dunque bisogno di una vita nell’aldilà per trovare la felicità. Il maestro aveva pensato a tutto. C’era però un grave inconveniente.

Quando il Veglio della Montagna aveva bisogno di un giovane per le sue trame politiche, lo addormentava con oppio o hashish e lo faceva trasportare fuori da quel luogo delle meraviglie.
Così il malcapitato, quando si risvegliava, si sentiva come il più infelice degli uomini. Pensava di avere perso irrimediabilmente quel privilegio che gli era capitato. A quel punto appariva il maestro che gli proponeva di diventare un assassino, se voleva ritrovare la porta del paradiso.

Ciò che stupiva Marco Polo era come, di fronte a quella proposta, gli adepti della setta con entusiasmo si apprestavano a compiere le peggiori atrocità.

“E quando lo Veglio vuole fare uccidere neuno uomo, egli lo prende e dice: "Va' fa' cotale cosa; e questo ti fo perche' ti voglio fare tornare al paradiso". E li assesini vanno e fannolo molto volontieri. E in questa maniera non campa niuno uomo dinanzi al Veglio de la Montagna.”

La promessa del paradiso è ciò che accomuna i carnefici integralisti, che hanno così la forza di trasformare le loro reclute in assassini.

Ciò che però distingue l’Isis da altri movimenti come Hamas e Al Qaida, che assicuravano il paradiso in cielo a coloro che erano disposti ad immolarsi in un attentato, è invece la promessa di un paradiso immediato ai combattenti che decidono di abbracciare la loro causa.

Ai cosiddetti “foreign fighters” che reclutano in Europa e tra i tanti Stati arabi in fallimento offrono il miraggio del potere e della gloria, accompagnato dalla possibilità di vivere in abbondanza con tante fanciulle consenzienti.
Ecco perché centinaia di donne “infedeli” sono state rapite dall’Isis e ridotte in schiavitù, come preda per i combattenti.


Se vogliamo vincere la guerra contro l’Isis, dobbiamo smascherare questa idea assurda di paradiso che sembra ricordare quella del Veglio della Montagna.
Ai giovani musulmani dobbiamo dimostrare che l’unico paradiso possibile su questa Terra è quello di un mondo plurale, tollerante, dove si abbia il gusto dell’integrazione del diverso, dell’amicizia e del dialogo con l’altro.

Può sembrare che questa strana idea di paradiso sia nata solo da una folle interpretazione della religione musulmana. Non è così. I peggiori totalitarismi in Europa hanno creato migliaia di assassini in nome del paradiso. I volonterosi carnefici di Hitler, come i fanatici di Stalin, si erano trasformati in carnefici con l’idea di costruire un mondo al di fuori della realtà.

Allora, come scriveva il grande storico George Mosse, i grandi leader fascisti e comunisti organizzavano grandi feste di piazza, parate oceaniche, adunate popolari, per incitare le masse a essere disponibili a sacrificare la loro umanità, in nome di un futuro radioso.

Quelle feste erano l’anticipazione del paradiso. Così migliaia di uomini erano disponibili a tutto.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

22 settembre 2015

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