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Assassinio di massa colposo e terrorismo dissuasivo di Stato

di Stefano Levi Della Torre

Le migrazioni, spinte dalle guerre, dai cambiamenti climatici, dal divario delle opportunità tra regioni del mondo, sono un fenomeno gigantesco che non può che crescere, perché i fattori che le muovono non vanno decrescendo, ma anzi intensificandosi. La fine del compromesso bipolare globale negli anni '90 e la fine dell’illusione precipitosa di un mondo unipolare sotto l’egemonia delle potenze vincitrici della “guerra fredda” (Stati Uniti in primis, con l'Europa al loro seguito), hanno aperto un periodo di sconvolgimenti che non ha ancora trovato un temporaneo equilibrio, costellando il pianeta di conflitti e di guerre. In Occidente, che va perdendo una centralità nel mondo che perdura da secoli, la realtà e la sensazione di perdita favoriscono la destra, che si pone come resistenza e difesa conservatrice o reazionaria a questa tangibile e diffusa sensazione di declino: l’Occidente, un tempo invasore del mondo, ora si sente invaso. Le immigrazioni crescenti sono una rappresentazione antropomorfa di questa inversione di tendenza.

Non c’è una strategia politica dell’immigrazione, anche perché la destra avanza, guadagnando consensi grazie alla propria rinuncia a tentare di risolvere questo problema enorme, che suscita le paure popolari di cui essa si nutre; e la sinistra e l’UE, per paura della destra, tentano di contenerla, concorrendo coi suoi stessi criteri di resistenza, respingimento e condiscendenza tecnico–finanziaria a regimi autoritari (Turchia, Tunisia, Libia…) perché facciano barriera e gestiscano in proprio le atrocità inerenti.

Le migrazioni sono costellate di tragedie e di morte. Scriveva La Rochefoucauld che siamo sempre capaci di sopportare il male altrui. Ma questa sopportazione non esime da colpa. A che cosa assistiamo, dall’alibi della nostra impotenza? Non solo al paradosso più esibito e grottesco, quello della persecuzione para-giuridica di chi tenta di salvare gente in mare o nei deserti o nei boschi o nei lager, ma anche a qualcosa che sfugge a un nome, eppure deve esser nominato: quando vediamo che si lasciano affondare barche affollate di migranti e si maschera il lasciarlo accadere, come fosse prodotto solamente da confusione e goffaggine, quando si respingono nel deserto migranti non per ucciderli, ma perché muoiano per conto loro e per loro responsabilità, e vediamo che tutto ciò, moltiplicandosi negli anni, si è fatto sistema, a che fattispecie e nome dobbiamo assegnarlo? È assassinio di massa colposo (ipocritamente “colposo”). 

E quando Stati, governi, forze politiche e UE non possono non sapere che la notizia di queste morti di massa sono diffuse, pare quasi (in realtà non pare, è certo) che queste morti vengano usate per terrorizzare e dissuadere i migranti dal migrare. E come possiamo nominare questo cortocircuito tra il lasciar morire e la diffusione inevitabile della sua notizia? Io lo chiamerei terrorismo dissuasivo di Stato.

Questi crimini sistematici mostrano quanto travalichino la semplice “omissione di soccorso”. Le prossime generazioni avranno da domandarsi non solo come abbia potuto la nostra generazione non intervenire con più responsabilità sul clima, ma anche come abbia potuto rendersi connivente, per consenso o per indifferenza, con i crimini di massa sopracitati. Dopo la Seconda guerra mondiale e la Shoà, il giurista Raphael Lemkin si impegnò con tutte le sue forze per fare ammettere il crimine di genocidio come fattispecie del diritto internazionale, al fine di riconoscerne il passato e prevenirne il ripetersi, Ora, su questo altro argomento, mi domando se non sia il caso di impegnarsi affinché l’assassinio colposo di massa e i suoi annessi vengano riconosciuti nel diritto internazionale come crimini.

(Pubblicato su "Il Fatto Quotidiano" - 28 luglio 2023) 

Stefano Levi Della Torre

Analisi di Stefano Levi Della Torre, architetto, pittore e saggista

5 ottobre 2023

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