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Auschwitz: come la Polonia sta riscrivendo la narrazione dell'Olocausto

di Ofer Aderet

Angela Merkel in visita ad Auschwitz

Angela Merkel in visita ad Auschwitz

Pubblichiamo di seguito la traduzione dell'articolo di Ofer Aderet uscito su Haaretz, sulla narrazione dell'Olocausto in Polonia.

I funzionari polacchi fanno di tutto per sottolineare le sofferenze patite dai loro connazionali nella Seconda guerra mondiale, mentre minimizzano la discussione sulla Shoah e sull'aiuto che i polacchi hanno dato ai nazisti. Il governo israeliano sta ignorando questa tendenza, ma potrebbe presto essere costretto ad affrontare variazioni nella memoria collettiva della Guerra.

I registri dei visitatori dei musei non suscitano quasi mai alcuna curiosità particolare. "Interessante", "grazie" o "consigliato" sono alcuni dei termini che spesso ricorrono in essi, in una forma o nell'altra. Nei luoghi della memoria, certamente negli ex campi di sterminio, i visitatori sono anche inclini a lasciare commenti come "non dimenticheremo mai" o "non perdoneremo mai”.

Ma all’inizio di questo mese è apparsa un'insolita scritta nel registro dei visitatori sul sito del campo di Auschwitz-Birkenau in Polonia: "In riconoscimento di tutte le vittime del terrore e dell'occupazione tedesca durante la Seconda guerra mondiale. In ringraziamento a tutti coloro che hanno a cuore la verità e il ricordo della seconda apocalisse. Chi è passivo contro il male, è come se vi avesse preso parte. Chi è passivo di fronte alle menzogne della storia e al riconoscimento della verità, è come se avesse preso parte alla sua scrittura. Ci occuperemo della verità e della bontà, per tutti noi oggi e per il bene delle generazioni future e delle vittime di quei crimini”. Firmato: Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki.

A prima vista, non è chiaro come questo breve testo, piuttosto filosofico - che tratta di verità, menzogna, memoria e oblio - sia collegato a un sito che commemora le vittime della guerra. Un lettore casuale potrebbe chiedersi quale verità Morawiecki abbia in mente e contro quali bugie stia mettendo in guardia. Una rilettura solleva ulteriori domande. Non c'era posto per una sola parola sulle persone che costituivano il 90% delle vittime del campo? Dove sono scomparsi i milioni di ebrei che vi sono stati uccisi - su un totale di 1,1 milioni di vittime?

Le persone esperte di politica interna in Polonia probabilmente non sono state sorprese dai commenti di Morawiecki, che il 6 dicembre ha accompagnato la cancelliera tedesca Angela Merkel durante la sua prima, storica visita al sito da quando ha assunto l'incarico 14 anni fa (solo due cancellieri in precedenza avevano visitato Auschwitz). Ha scelto le sue parole con cura, coerentemente con l'ideologia abbracciata dal governo nazionale di destra che dirige, da poco eletto per il secondo mandato consecutivo.

La "politica della memoria" della Seconda guerra mondiale, che il governo polacco sta promuovendo con notevole successo attualmente, sottolinea le vittime polacche della guerra e l'eroismo dei Giusti tra le Nazioni che hanno rischiato la vita per salvare gli ebrei nel Paese. Allo stesso modo, parla anche di altri polacchi che hanno cercato di combattere i nazisti e hanno pagato con la vita. La Polonia sta quindi lavorando per rimediare a quello che molti polacchi considerano, giustamente, un torto storico prolungato. La Germania, che ha fomentato la guerra e ha perpetrato l'Olocausto, è oggi percepita a livello internazionale come un Paese illuminato, e la sua capitale, Berlino, è una meta turistica molto popolare. Al contrario, la Polonia, sul cui suolo i tedeschi hanno portato avanti la "Soluzione Finale", è considerata "il più grande cimitero ebraico del mondo", e i suoi cittadini sono ampiamente accusati di aver collaborato con i nazisti.

"Gli ebrei hanno perdonato la Germania perché hanno ricevuto denaro dai tedeschi, e hanno reindirizzato la loro rabbia verso i polacchi, che a loro volta hanno sofferto per la brutalità dei tedeschi" - questa è l'essenza della rivendicazione che molti polacchi hanno espresso. Tuttavia, per sua stessa natura, la rielaborazione della memoria collettiva del mondo per renderlo più indulgente verso i polacchi comporta l'oblio di altri capitoli della tragica storia delle relazioni polacco-ebraiche. In parte si tratta di episodi oscuri che non si adattano alla narrazione del vittimismo e dell'eroismo - in particolare il ruolo svolto dai polacchi nella persecuzione degli ebrei prima, durante e dopo l'Olocausto. Questi fenomeni, ben documentati in studi innovativi, condotti principalmente da ricercatori polacchi, sono messi da parte dalla leadership polacca come atti di elementi marginali, che esistono in ogni popolo, ebraico compreso. Così, quasi a voler aggiungere al danno la beffa, si fa una presunta analogia tra, ad esempio, un membro della polizia ebraica che ha trascinato gli ebrei sul luogo dei trasporti - sotto la minaccia di omicidio da parte dei tedeschi e in un disperato e inutile sforzo di salvare se stesso e i suoi cari - e un polacco che ha informato o addirittura ucciso il suo vicino ebreo in cambio di un pagamento o, in alcuni casi, senza alcun compenso. La portata di questi fenomeni all'interno delle società ebraiche e polacche dell'epoca, i loro contesti e il loro significato, non sono oggi oggetto di discussione.

Dibattito tagliente

Il mese prossimo ricorrerà il 75° anniversario della liberazione di Auschwitz-Birkenau. Il 27 gennaio gli occhi del mondo saranno puntati sul luogo del memoriale, dove si terrà una cerimonia alla presenza dei leader di molti Paesi. Molto probabilmente si potranno anche scorgere cenni del grande dramma degli ultimi anni per quanto riguarda la memoria dell'Olocausto e il modo in cui viene commemorato.

Se qualcuno in Israele o nella diaspora pensa che il sito commemorativo di Auschwitz debba essere dedicato principalmente alla memoria degli ebrei, l'attuale dialogo polacco potrebbe spingerlo alla riflessione. Le principali vittime di Auschwitz hanno perso il loro "titolo" e sono ora menzionate solo come parte di una lista, di solito guidata dai polacchi, di altre vittime del campo, nonostante le significative differenze nelle circostanze del loro assassinio.

Va sottolineato che mentre la Germania nazista agiva per annientare gli ebrei - uomini, donne e bambini, nell'ambito di un piano sistematico - schiavizzava e uccideva in gran numero anche polacchi non ebrei (pur se non sistematicamente), percependoli come inferiori sia dal punto di vista razziale che culturale e privandoli di qualsiasi diritto a un'esistenza politica. La differenza fondamentale tra l'assassinio degli ebrei e quello dei polacchi non sta solo nella totalità dello sforzo, ma nella priorità e nella preferenza data all'assassinio degli ebrei. L'annientamento degli ebrei era un obiettivo centrale del regime nazista, e non era - come nel caso dei polacchi - solo un mezzo per terrorizzare la popolazione o per sfruttarla.

In un certo senso, le attuali trasformazioni nella memoria dell'Olocausto sono la continuazione di un dibattito continuo dagli anni Sessanta, quando Israele cercava di partecipare alla commemorazione degli ebrei attraverso un padiglione che avrebbe dovuto essere costruito nel campo. La Polonia, allora sotto il dominio comunista, si rifiutò, sostenendo che Israele non fosse il rappresentante del popolo ebraico. Nel maggio 1963, l'ambasciatore di Israele in Polonia, Avigdor Dagan, incontrò a Varsavia il direttore generale del Ministero degli Esteri polacco. "Il museo di Auschwitz mostrerà la tragedia di tutti i cittadini polacchi che furono incarcerati e assassinati dai nazisti", ha dichiarato il funzionario polacco. A cui Dagan ha risposto: "Non c'è un solo ebreo al mondo che capirà perché allo Stato di Israele, di cui le migliaia di vittime di Oswiecim [Auschwitz, in polacco] sognavano, e dove vive il maggior numero di coloro che sono rimasti in vita, sia stato impedito di commemorare le vittime ebree".

I polacchi prevalsero: solo 15 anni dopo, nel 1978, fu inaugurato nel sito il "padiglione ebraico".

Oggi, con l'avvicinarsi del 2020, anche il simbolo più forte della Soluzione Finale dei tedeschi viene sfruttato ai fini dello sforzo polacco "di correggere la narrazione storica" così come viene percepita in Polonia. L'omissione degli ebrei dalle osservazioni del premier polacco nel registro dei visitatori di Auschwitz non è casuale. È coerente con un orientamento che ha diverse dimensioni. La tendenza principale è quella di minimizzare la condizione di vittima degli ebrei e di sottolineare invece quello dei polacchi. Nel dibattito polacco nessun riconoscimento è infatti dato al piano di annientamento del popolo ebraico. È considerato solo un errore in più in una serie di torti commessi dal regime nazista, con il risultato che in pratica viene sminuita ogni differenza tra le vittime ebree e polacche.

Di conseguenza, nel Paese è consuetudine parlare di sei milioni di vittime polacche dei nazisti. Si tratta di tre milioni di ebrei polacchi (circa la metà dei sei milioni di ebrei morti nell'Olocausto) e di un numero simile di polacchi vittime di pulizia etnica - anche se ci sono alcune differenze fondamentali tra i due gruppi. Allo stesso tempo si sostiene che, poiché i due gruppi sono stati uccisi in egual numero per mano dei nazisti, è inconcepibile che uno di questi gruppi sia stato complice - in un modo o nell'altro - dei loro crimini. Questa affermazione è accompagnata da una distorsione e falsificazione dei dati, e a volte da una mancanza di proporzioni e da paragoni tendenziosi e a-storici.

Morawiecki non ha ignorato completamente le vittime ebree di Auschwitz; le ha menzionate nel suo discorso. Ma lo ha fatto in un contesto più ampio, citando le vittime del campo una dopo l'altra: "Ebrei, polacchi, prigionieri di guerra sovietici, zingari". Il primo ministro polacco conosce bene i numeri, rispetto ad Auschwitz: circa un milione di ebrei assassinati, circa 150.000 polacchi, circa 16.000 russi e circa 23.000 rom e sinti. È questa la "verità" a cui si riferiva?

Allo stesso tempo, per enfatizzare le vittime polacche, in un'altra parte del discorso Morawiecki ha menzionato il risarcimento che la Polonia chiede alla Germania per i danni di guerra, e ne ha fatto riferimento come ad una "giustizia" che il suo governo si adopererà per ottenere. Finora la Germania ha respinto la richiesta, sostenendo di aver già risolto la questione in passato.

Il tema del risarcimento per le vittime di guerra, da un'altra prospettiva, è attualmente diventato un pretesto per innumerevoli espressioni di antisemitismo in Polonia. Il punto focale è il tentativo degli Stati Uniti di risolvere la delicata questione del risarcimento dei beni di proprietà ebraica saccheggiati durante l'Olocausto. L'estrema destra polacca vede ciò come un "complotto ebraico" e sostiene che la Polonia non debba risarcire gli ebrei per le proprietà che i nazisti hanno loro rubato, poi nazionalizzate dal regime comunista. Al contrario, le organizzazioni ebraiche lo considerano come una giustizia non corrisposta, notando che la Polonia è l'unico Paese che non ha promulgato una legislazione sulla questione delle proprietà che gli ebrei hanno lasciato nel Paese.

“Piccoli banditi polacchi”

Il messaggio del primo ministro nel registro dei visitatori non è l'unica espressione della nuova campagna polacca per cambiare il racconto del vittimismo. Ancora più importante è stata la decisione che alla cerimonia svoltasi alla presenza dei leader di Germania e Polonia, l'unico relatore tra le vittime del campo sarebbe stato un polacco non ebreo. Quest'ultimo, un ex prigioniero di Auschwitz di nome Bogdan Bartnikovsky, ha raccontato che nell'agosto 1944, in seguito alla fallita rivolta di Varsavia da parte dei polacchi che costò la vita a circa 250.000 cittadini, fu portato nel campo con un gruppo di donne e bambini della capitale polacca. Ha raccontato che "piccoli banditi polacchi" era il termine dispregiativo che utilizzavano i tedeschi per loro. Bartnikovsky ha poi raccontato che i detenuti non si lavavano per giorni perché i tedeschi negavano loro il sapone e gli asciugamani, e che erano costretti a rifugiarsi nei sotterranei del campo durante gli attacchi aerei alleati. Ha dedicato la maggior parte del suo discorso alla difficoltà di spogliarsi davanti alle donne quando aveva 12 anni.

È diritto dei polacchi, anzi è un loro dovere, menzionare le sofferenze del loro popolo e renderle note al mondo. I polacchi hanno ragione quando dicono che molte persone non sono a conoscenza del prezzo elevato che l'occupazione nazista ha comportato per il loro Paese. Come parte della concezione razzista dei tedeschi sulla Polonia, i suoi leader - clero, politici, accademici e intellettuali - sono stati perseguitati e uccisi in massa. Inoltre, milioni di polacchi (per lo più giovani) furono rinchiusi in campi di concentramento e sottomessi in condizioni difficili. Molti altri furono giustiziati nel quadro del tentativo dei tedeschi di terrorizzare il Paese occupato.
Eppure la domanda rimane: È necessario per correggere un torto causarne un altro? Perché la voce dei detenuti polacchi di Auschwitz sia ascoltata, è necessario mettere a tacere quella degli ebrei - che rappresentano la maggioranza assoluta degli assassinati nel campo? Non c'era spazio per far parlare anche un ebreo sopravvissuto all’Olocausto, durante la visita senza precedenti della Merkel ad Auschwitz-Birkenau?

Il presidente polacco Andrjez Duda non ha partecipato all'evento, ma ha inviato un messaggio da leggere durante la cerimonia. "È qui che sono stati assassinati gli ebrei, così come i polacchi, i rom, i sinti e i prigionieri di guerra sovietici", ha dichiarato, ribadendo la lista senza menzionare i numeri relativi alle comunità o il loro significato. Anche lui, come il primo ministro, ha parlato della "verità" come di un valore che i polacchi devono difendere. "La cura dei locali dell'ex campo fa parte della... missione di coltivare e diffondere la verità sulla Shoah", ha detto.

Ma ci si deve chiedere se la verità debba comprendere anche la menzogna. Non è possibile parlare di una verità più complessa? Inoltre, se questa è la "verità", la voce delle vittime ebree è una menzogna?

La cancelliera Merkel non ha menzionato l'esclusione degli ebrei dai discorsi dei relatori che l'hanno preceduta alla cerimonia. Ma quando è arrivato il suo turno, ha dimostrato che è possibile parlare della sofferenza dei polacchi senza cancellare il fatto che la maggior parte delle vittime del campo furono ebrei. La Merkel ha dichiarato esplicitamente che Auschwitz "rappresenta i milioni di ebrei europei che sono stati assassinati", e che "almeno 1,1 milioni di persone, per la maggior parte ebrei", sono state assassinate nel campo.

Tuttavia, ciò che è più importante per i polacchi è che la Merkel ha sottolineato le vittime non ebree. "In questo sito, ricordiamo in particolare le numerose vittime polacche, tra cui i prigionieri politici, per le quali fu originariamente costruito il campo di concentramento di Auschwitz", ha dichiarato. Come ci si aspettava da lei, e come hanno fatto anche gli ex cancellieri, ha espresso "vergogna" per i crimini dei tedeschi, sostenendo che la Germania avrebbe donato altri 60 milioni di euro (pari a una precedente donazione già effettuata da Berlino) per aiutare a preservare il sito.

Nelle sue osservazioni ha anche sostenuto la lotta polacca, fondamentalmente giusta, contro coloro che definiscono Auschwitz un "campo polacco". "Oswiecim è in Polonia, ma nell'ottobre 1939 Auschwitz fu annessa al Reich tedesco. Auschwitz era un campo di sterminio tedesco, gestito dai tedeschi", ha detto, aggiungendo che "è importante identificare chiaramente i colpevoli". "Noi tedeschi lo dobbiamo alle vittime, e a noi stessi... Questa responsabilità è parte integrante della nostra identità nazionale".

Queste osservazioni sono state particolarmente significative per i polacchi, che negli ultimi anni si sono sforzati molto per dire al mondo che i tedeschi - e non i polacchi - hanno perpetrato l'Olocausto, e hanno costruito e gestito Auschwitz. Anche il personale del museo del campo partecipa a questo impegno, quasi quotidianamente. Per esempio, dopo la cerimonia, un importante media internazionale aveva descritto Auschwitz come un "campo polacco" ed ha subito ricevuto un tweet di risposta dal museo che chiedeva di correggere l'errore.

Questo sforzo potrebbe essere lodevole, poiché ogni correzione di un errore storico è ben accolta. Ma sembra che le risorse che la Polonia stia dedicando alla lotta riguardante l'utilizzo del termine "campo polacco" non siano paragonabili a quelle impiegate per correggere altre distorsioni storiche - su fatti che però non sono necessariamente lusinghieri per i polacchi. Così, ad esempio, non c'è stata alcuna campagna polacca per la strage perpetrata nella città di Jedwabne nel 1941, dove i polacchi hanno ucciso centinaia di loro vicini ebrei prima dell'arrivo dei tedeschi. Se ciò che interessa all'establishment polacco è solo la verità, perché non si confronta direttamente anche con i negazionisti di quell'omicidio di massa?

“Chiedo perdono”

La cerimonia in onore della visita di Angela Merkel ad Auschwitz non è l'inizio, ma piuttosto la prosecuzione di un processo. Il 1° settembre, nell'ottantesimo anniversario dello scoppio della Seconda guerra mondiale, alti rappresentanti provenienti dalla Germania, dagli Stati Uniti e da altri Paesi (ma non da Israele) sono stati invitati a una serie di cerimonie e di eventi commemorativi tenutisi in Polonia. In tutti questi eventi l'accento è stato posto principalmente sulle sofferenze dei polacchi.

La Polonia ha raggiunto un importante risultato diplomatico quando il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier ha chiesto perdono alle vittime polacche della guerra. "Mi inchino davanti alle vittime dell'attacco a Wielun", ha dichiarato Steinmeier in un discorso pronunciato in tedesco e in polacco nella prima città bombardata dalla Luftwaffe, otto decenni prima. "Mi inchino davanti alle vittime polacche della tirannia tedesca. E chiedo il vostro perdono". Quella cerimonia ha permesso alla Polonia di portare all’attenzione globale fatti che non sono noti al grande pubblico e che non sono menzionati, per esempio, nei libri di testo israeliani. Infatti, 1.200 abitanti di Wielun furono uccisi nell'attacco tedesco.

Steinmeier ha aggiunto che i nazisti avevano intenzione di distruggere "la Polonia, la sua cultura, le sue città e la sua gente - tutti gli esseri viventi dovevano essere annientati". In un discorso tenuto quel giorno a Varsavia, ha dichiarato: "Non dimenticheremo le sofferenze delle famiglie polacche e non dimenticheremo il coraggio della loro resistenza".

Anche gli Stati Uniti hanno contribuito alla manifestazione di solidarietà alle vittime polacche. "C'è un coraggio e una forza profonda nel carattere polacco che nessuno potrebbe distruggere", ha dichiarato il vicepresidente Mike Pence a Varsavia, aggiungendo: "La Polonia è la patria degli eroi".

Ma è tutt'altro che certo che questa sia la terminologia corretta - non è sicuramente l'unica terminologia - da usare per descrivere la condotta della Polonia e dei polacchi nella Seconda guerra mondiale. Molti storici di spicco non approverebbero infatti il termine "eroi" nel contesto polacco. E comunque, un'intera nazione può essere definita "eroica"?

Un anno fa il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas ha invitato il mondo a conoscere meglio le sofferenze polacche durante la guerra. "Gli indicibili crimini che i tedeschi hanno commesso contro e in Polonia durante la guerra sono, a tutt'oggi, una fonte di vergogna per noi", ha detto Maas, aggiungendo: "Dobbiamo ammettere che anche ora, in Germania, non prestiamo abbastanza attenzione ai crimini contro i polacchi".

L'ambasciatore della Polonia in Germania, Andrjez Przylebski, ha sostenuto in quell'occasione che i tedeschi limitavano il discorso sulla Seconda guerra mondiale esclusivamente all'Olocausto degli ebrei europei, al punto che le vittime polacche erano "completamente dimenticate o minimizzate". Ha aggiunto che la Germania tratta l'argomento "come se Hitler si occupasse principalmente o esclusivamente dell'omicidio degli ebrei europei". L'impegno polacco ha ottenuto successi anche coinvolgendo Israele. Uno dei suoi maggiori successi è avvenuto nel marzo 2018, quando ad Auschwitz si è tenuta una singolare cerimonia commemorativa con la partecipazione di studenti delle scuole superiori israeliane e polacche. Le persone commemorate non erano soltanto vittime ebree del campo, ma anche i membri delle famiglie di alcuni studenti israeliani. Sono stati letti anche i nomi dei polacchi assassinati durante la guerra, tra cui i parenti degli studenti polacchi.

L'ambasciata polacca in Israele, che ha contribuito all'organizzazione dell'evento, ha poi espresso grande soddisfazione. "Gli studenti israeliani sono rimasti colpiti dal fatto che la Seconda guerra mondiale sia stata un evento globale con molte vittime, in cui sono state uccise molte persone di diversi paesi, tra cui milioni di vittime polacche", ha dichiarato più tardi Katarzyna Rybka-Iwanska, un alto funzionario dell'ambasciata.

Il confronto tra la strage degli ebrei nell'Olocausto e quella dei polacchi nella Seconda guerra mondiale non fa che sottolineare quanto la persecuzione sia stata disuguale. Non perché il sangue ebraico valga meno o più di quello polacco. L'omicidio è omicidio, sia che la vittima sia ebrea, polacca o di qualsiasi altro gruppo. La differenza deriva dalle diverse motivazioni ideologiche che hanno portato agli atti di omicidio e al modo in cui sono stati commessi. La popolazione ebraica, a differenza di quella polacca, è stata condannata all'annientamento totale e assoluto. Intere comunità sono state trasportate nei luoghi di stermino e cancellate.

Non è un caso che l'entità e la natura delle perdite siano state diverse in ogni gruppo: circa il 10 per cento dei non ebrei residenti in Polonia contro il 90 per cento circa degli ebrei. Alla complessità della sofferenza degli ebrei si aggiunge il fatto che in tutta Europa, per ragioni diverse, individui e società intere si sono mobilitati per aiutare la Germania nazista nella caccia agli ebrei. La Polonia ha combattuto valorosamente contro l'occupante nazista, ma parti della società polacca hanno aiutato in un aspetto molto particolare dell'occupazione: la persecuzione degli ebrei. A questo proposito le parole di Elie Wiesel continuano a risuonare: "Non tutte le vittime erano ebree, ma tutti gli ebrei erano vittime".

Israele sta ignorando l'attuale tendenza, in Polonia e altrove, per quanto riguarda la narrazione sulle vittime. Già nel prossimo futuro potrebbe ritrovarsi impotente e senza parole di fronte ai cambiamenti che si stanno verificando, proprio sotto il suo naso, nella cultura mondiale della memoria nei confronti delle vittime della Seconda guerra mondiale.

Ne è stata la prova l'anno scorso il dibattito senza precedenti tra il primo ministro Benjamin Netanyahu e gli storici senior dello Yad Vashem, l'Istituto della Memoria dell'Olocausto di Gerusalemme, sulla dichiarazione congiunta che aveva firmato con la sua controparte polacca. Il documento afferma che molti polacchi hanno partecipato al salvataggio degli ebrei mentre "alcune persone - indipendentemente dalla loro origine, religione o visione del mondo - hanno in quel momento rivelato il loro lato più oscuro". Yad Vashem ha accusato i due leader di alterare e distorcere la storia e di violare la memoria dell'Olocausto. Sulla scia delle critiche, Netanyahu aveva promesso che avrebbe fatto attenzione ai commenti, ma in seguito l'argomento è scomparso dall'agenda pubblica. O almeno per il momento.

Ofer Aderet, corrispondente Haaretz

Analisi di

9 gennaio 2020

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