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Come dissuadere un terrorista

Le parole della vita nel libro di Yasmina Kadra

Quali sono gli argomenti che possono essere usati in una battaglia culturale contro i terroristi di matrice islamica? Come togliere loro quell’influenza sulla zona grigia nel mondo musulmano che, pur condannandoli, poi li giustifica, sostenendo che tra di loro ci può anche essere una aspirazione alla giustizia?
Come affrontare un problema molto serio come quello dei “martiri”, che poiché decidono di rinunciare alla propria vita, godono poi di un rispetto “morale”, come se agissero in nome di un grande spirito di sacrificio?

Tante volte mi sono chiesto quale tipo di discussione potrebbe accadere tra un terrorista pronto al massacro e un suo amico che cerca di dissuaderlo.
Vorrei tanto potere spiare un incontro di questo tipo per comprendere se esiste una molla che possa fare recedere un fanatico islamista dal suo progetto.

Questa estate mi è capitato di leggere L’attentato di Yasmina Kadra, un libro straordinario del 2004, ripubblicato in Italia dalla casa editrice Sellerio, con un’ottima traduzione di Marina Di Leo. Il caso ha voluto che, per suggerimento del mio amico e scrittore Francesco Cataluccio, leggessi questo testo proprio al mio ritorno da Tunisi, dove avevo appena inaugurato il primo Giardino dei Giusti in un Paese arabo, dedicato in particolare a quei giusti mussulmani che avevano avuto il coraggio di resistere - alcuni anche a costo della propria vita - alla follia omicida dell’Isis. Nel cortile dell’ambasciata italiana avevamo infatti piantato degli alberi per Hamadi ben Abdesslem, la guida tunisina che aveva salvato gli italiani, per Khaled al-Asaad, l’archeologo che cercò invano di difendere Palmira, e per Faraaz Hussein, il giovane che nel ristorante di Dacca preferì morire, piuttosto che accettare la selezione imposta da terroristi. Allora mi era sembrato di avere fatto un bel discorso, dove avevo cercato di spiegare i principi morali che dovrebbero ispirare la lotta al terrorismo. Avevo cercato di immedesimarmi nei personaggi che avevano compiuto queste azioni eroiche. Per certi versi, nella retorica dell’intervento, avevo presentato la scelta tra il Bene e il Male come una operazione semplice, alla portata di tutti. Quando però ho finito di leggere il libro ho rivisto tutte queste storie in modo diverso. Yasmina Kadra mi ha immerso nella complessità dello scontro culturale che lacera il mondo arabo. Fino all’ultima pagina non si è in grado di capire se le ragioni del terrorista sono più forti di colui che non accetta i suoi metodi. Per vincere quella battaglia bisogna dunque accettare la solitudine ed elaborare un pensiero alto, perché la zona grigia della società che lo scrittore algerino racconta pende dalla parte dei terroristi.

Yasmina Kadra è un intellettuale coraggioso perché affronta il tema della critica al terrorismo nel Paese dove per un arabo qualsiasi azione contro gli occupanti non può essere oggetto di discussione. Tutto è lecito. Da Gaza, al Cairo, a Riad, a Tunisi, ogni azione di un terrorista palestinese viene festeggiata come un atto eroico. Maggiore è il numero dei morti, maggiore è la fama del terrorista, anche per chi nel suo paese si rifiuterebbe di percorrere questa strada. Israele è il demonio. Ci possono essere dei distinguo sulla tattica, ma i “martiri” del terrorismo sono considerati i più alti esempi morali in tanta parte dell’opinione pubblica araba.

La storia è scritta con il ritmo di un giallo. Amin Jaafari, arabo israeliano, è un chirurgo di Tel Aviv di grande successo, perfettamente integrato. La sua missione è salvare la vita di tutti, perché non fa distinzione tra gli esseri umani. Accade però l’imprevisto. Un attentato vicino all’ospedale uccide decine di ragazzi e tra i corpi martoriati c’è anche la sua bella moglie con cui aveva vissuto splendidamente. Sua moglie Sihem però non è una vittima come le altre perché è lei l’attentatrice. Comincia così il più terribile degli incubi. Amin non riesce a trovare una spiegazione al gesto di sua moglie, mentre si trova isolato nell’ambiente medico in cui aveva vissuto e sospettato di essere un possibile complice di sua moglie. Quando finalmente riesce a dimostrare alla polizia la sua innocenza, dopo avere visto vandalizzata la sua casa dai vicini, Jaafari comincia nei territori arabi una indagine personale per scoprire chi ha convinto sua moglie a quel folle gesto. Perché Sihem non gli ha mai detto niente, in che cosa lui ha sbagliato, come mai non si è mai accorto di vivere per tanti anni con una terrorista che ha deciso di distruggere la felicità della sua famiglia? Sono le domande che lo tormentano e lo portano a incontrare prima i familiari di sua moglie e poi i dirigenti politici dei gruppi della rivolta palestinese. Per loro è lei l’eroina, mentre lui è un traditore che ha preferito la bella vita a Tel Aviv con i nemici sionisti. Lo umiliano, lo picchiano, lo torturano, affinché anche lui conosca sulla sua pelle il peso della sofferenza palestinese. “Solo se anche tu soffrirai, potrai capire il dolore che patiamo per opera dei sionisti”.
Uno dei capi gli spiega che sua moglie non gli apparteneva, perché lei aveva scelto la causa e la causa era più importante della sua vita e del suo matrimonio. Di fronte alla sofferenza dei palestinesi Sihem, morendo come martire nell’attentato, aveva fatto un gesto magnifico, perché aveva saputo difendere la sua dignità e quella di un popolo intero. A tutti i palestinesi aveva fatto così un grande dono, uccidendo i ragazzi e sacrificandosi, perché quello spettacolo era l’unica gioia di cui potevano godere sulla loro terra sequestrata. “O la decenza o la morte, o la libertà o la tomba, o la libertà o il cimitero”, gli dice il capo terrorista. Ciò che conta è l’onore che si preserva con la propria morte.

Ma Jaafari, che ha perso il lavoro e rifiuta il suo vecchio ambiente che lo ha abbandonato, resiste. Non perché riesce a convincere i suoi interlocutori, ma per una forza interiore.
Per l’ex chirurgo di Tel Aviv c’è un solo modo di vivere: rispettare la vita di tutti, considerare che quello che abbiamo ci è dato in prestito e lo dobbiamo un giorno restituire. Non abbiamo il diritto di rubare la vita degli altri. Al sacrificio del “martire”, che uccide il maggior numero di “nemici”, egli pensa ad un altro sacrificio molto impegnativo, quello per la cura di tutti gli esseri umani. Non c’è il paradiso in cielo, ma soltanto la vita fragile di tutti, che ognuno ha il compito di preservare. È questo l’unico paradiso possibile che ogni giorno dobbiamo innaffiare, come se fosse il nostro giardino di casa. Anche se lui non ci è riuscito, è l’amore per la vita e per le persone, l’unica molla che potrebbe un giorno cambiare la testa dei terroristi.

Yasmina Kadra mi ha così fatto scoprire l’argomento più importante per sconfiggere l’ideologia della morte. Ora posso immaginare cosa potrebbe dire un amico ad un terrorista per fargli cambiare strada. “Tu hai scelto di uccidere, io di salvare. Quello che per te è un nemico, per me è un paziente da curare.”

Ognuno di noi potrebbe pronunciare queste parole.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

9 settembre 2016

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