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Da Auschwitz alla Costituzione Italiana e alla Carta di Nizza. Memoria del passato e progetto per il futuro

di Giovanni Maria Flick

Pubblichiamo di seguito la riflessione di Giovanni Maria Flick, Presidente emerito della Corte costituzionale, uscita sulla Rivista Associazione Italiana dei Costituzionalisti AIC. 

1. Il legame tra Italia ed Europa

Di fronte alla crisi – prima finanziaria; poi economica, politica e sociale; ora anche sanitaria, pandemica e di sopravvivenza – che investe pesantemente l’Italia e l’Europa, molti discettano sull’invecchiamento della Costituzione italiana, come dimostrano i tentativi (alcuni riusciti) di cambiarla in tutta o in parte. Altri prospettano vie d’uscita dalla moneta unica e dall’Unione europea e la rinascita del sovranismo, come dimostrano le tentazioni di Visegrad e il travagliato percorso della Brexit. Di fronte a ciò vale la pena di guardare al cammino degli oltre settantacinque anni trascorsi dalla fine della guerra sotto un profilo forse troppo trascurato, rispetto a quelli della sovranità nazionale, della moneta, dell’economia e del mercato. Questi ultimi ci preoccupano molto ancora oggi, nel contesto della pandemia, ma non troveranno adeguata soluzione senza una prospettiva di più ampio respiro e di più lungo periodo.

Il profilo al quale mi riferisco è stato ed è rappresentato dall’impegno di porre al centro della convivenza europea e nazionale i diritti fondamentali e la loro tutela: in Italia attraverso la Costituzione del 1948; in Europa prima attraverso la Convenzione europea dei diritti dell’uomo nel 1950 e poi attraverso la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000, richiamata dal Trattato di Lisbona nel 2007.

Oggi la pandemia ci costringe in Europa come in Italia – con la sua diffusione, drammaticità e urgenza che non conoscono confini – a guardare, prima ancora dei diritti fondamentali, la loro premessa: la vita, la salute di ciascuno e la sanità di tutti, che sono condizioni preliminari di quei diritti e della loro effettività.

L’impegno italiano per e nell’Europa era già ben presente nelle visioni di Cavour, di Garibaldi e di Mazzini. È stato coltivato con generosità e passione sia dai padri italiani dell’Europa (come Alcide De Gasperi, Gaetano Martino e Altiero Spinelli) sia dai loro successori (fra cui Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano, Romano Prodi, Mario Monti, Mario Draghi).

Quell’impegno è da sempre presente nelle radici cristiane e culturali dell’Italia e dell’Europa, al di là delle loro proclamazioni ufficiali e del rischio che possano divenire strumento di divisione più che di unione.

È un impegno che mira a collegare senza soluzione di continuità l’Italia di ieri, di oggi e di domani all’Europa; un collegamento reso possibile dalla nostra Costituzione “presbite” del 1948. Essa – con la formulazione dell’art. 11 e poi dell’art. 117 (nella modifica del 2001) – ci ha consentito (a differenza di altri paesi membri) di far nostro l’ordinamento comunitario e poi dell’Unione, senza bisogno di modifiche costituzionali.

Un “terzo Risorgimento” per l’Italia insomma, dopo quelli dell’unificazione e della Costituzione. In esso dobbiamo guardare concretamente non più e non soltanto ai diritti particolari del cittadino, ma ai diritti universali dell’uomo: la dignità, la solidarietà, l’eguaglianza e la libertà, in cui si sviluppa la Carta europea dei diritti fondamentali, che si legano alla dignità e alla laicità in cui si riassume la nostra Costituzione. Il passaggio da una comunità dell’appartenenza – che può risolversi nell’esclusione o addirittura nell’espulsione del “diverso” – ad una comunità della partecipazione (che mira all’inclusione) si afferma ulteriormente e concretamente in una prospettiva sovranazionale e globale.

2. Quale sovranità italiana ed europea?

L’arroccamento dell’Europa e dei suoi stati membri in una inaccettabile “fortezza del benessere” – oggi resa ancora più fragile ed espugnabile dalla pandemia e dalle sue conseguenze sull’economia e sulla società – sarebbe un ulteriore passo verso la fine dell’Europa, ben più di quanto si possa temere dalla crisi economica e finanziaria che ha preceduto la pandemia e si è potenziata con essa. Quello europeo è un impegno senza soluzione di continuità: il passaggio dalla cittadinanza nazionale a quella europea, dai valori del patriottismo costituzionale del secondo Risorgimento a quelli del patriottismo europeo.

La memoria di quell’impegno è importante per il nostro presente e per il nostro futuro, soprattutto oggi. Ad essa dovremmo guardare con fiducia soprattutto oggi, perché l’Europa ha sempre saputo trovare nelle crisi la forza per proseguire e rinnovare lo slancio del cammino unitario. E non possiamo perdere di vista quanto avviene sulla porta della casa comune; penso al terremoto geopolitico sull’altra sponda del Mediterraneo e agli ulteriori problemi di immigrazione che ne derivano.

L’unità europea da raggiungere non è meno importante dell’unità italiana e costituzionale da conservare. Rappresentano entrambe la nuova frontiera dell’eguaglianza, delle diversità positive, della solidarietà, della dignità, della laicità, con cui siamo chiamati a confrontarci oggi. Sono condizioni essenziali in un mondo globale, segnato dalla pandemia; dalle migrazioni di massa; dal terrorismo globale e glocale; dalle patologie dell’economia e del mercato; dal progresso ma anche dalle insidie della tecnologia e dell’informazione; dai problemi dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile; dal confronto fra città-megalopoli e la foresta. È un mondo nel quale possiamo e dobbiamo essere ancora capaci di conservare una memoria del passato e di proporre con essa una testimonianza per il presente, che ci aiuti a coltivare un progetto per il futuro.

Certo, un problema di sovranità esiste; ma non è quello di una sovranità perduta dagli stati nazionali perchè conferita all’Europa. È quello della sovranità ceduta dagli stati nazionali e dall’Europa a chi opera nei mercati e con il metodo della forza, al di fuori dei meccanismi della legittimazione democratica e della responsabilità. Una sovranità in pratica perduta dalla politica e dalle istituzioni, nazionali e sovranazionali, timorose di completare un cammino necessario e ineludibile (ad esempio eliminando la regola dell’Unione Europea di decidere all’unanimità). Nella realtà globale di una economia e di una finanza troppo poco regolate (non già il contrario come molti ritengono), paesi e istituzioni agiscono come fossero privati sui mercati.

Oggi la lezione drammatica della pandemia sembra proporre con fatica – a causa delle molteplici resistenze ideologiche, politiche ed economiche a livello comunitario (penso all’alleanza di Visegrad) e a livello nazionale (penso ai contrasti “ideologici” e politici sul MES) – i primi frutti, con la discussione e l’elaborazione di piani comuni di intervento. In essi si affaccia finalmente e concretamente la solidarietà europea (il recovery plan, il MEF e il MES) rappresentata fino ad ora soltanto da dichiarazioni di principio; non è una svolta da poco. Tuttavia restano tuttora insoluti molti problemi come quelli dell’ambiente, del clima e delle migrazioni.

3. La dignità ieri, oggi e domani

La riflessione sulla nascita di una effettiva solidarietà europea si lega strettamente a quella sul significato della solidarietà e degli altri principi fondamentali e del loro legame con la dignità. Su essi si apre, si regge e si sviluppa la Costituzione italiana.

La pari dignità sociale nell’articolo 3 della Costituzione italiana salda fra loro l’eguaglianza formale (di fronte alla legge) e la parità sostanziale; riassume i princìpi contenuti nella “tavola di valori” della nostra convivenza; manifesta il legame inscindibile fra quei princìpi.

La dignità – al di la dei tanti significati che può assumere; alcuni dei quali, non privi di astrattezza e ambiguità – è un ponte per superare contraddizioni, lacune, difficoltà della condizione umana. Tutti conosciamo l’importanza dei ponti, destinati ad unire anziché a dividere, a differenza dei muri (come quello di Berlino, durato un trentennio); conosciamo le conseguenze drammatiche del loro crollo (penso a Genova e al Ponte Morandi nel 2018). La dignità esprime tensione ideale e grandi potenzialità; ha la capacità di riconoscere le esperienze del passato, senza deludere le aspettative del presente e del futuro.

Veniamo da un passato nel quale il riconoscimento e la tutela dei diritti umani erano affidati agli Stati nazionali. Eppure le violazioni di quei diritti sono state reiterate, macroscopiche e devastanti, fino a culminare nella seconda guerra mondiale: le armi di distruzione di massa; il coinvolgimento generalizzato dei civili; la shoah.

Per questo da quel “crogiolo ardente” (come lo definì uno dei padri costituenti italiani, Giuseppe Dossetti) nacquero il riconoscimento della persona sulla scena internazionale, la tutela giudiziaria sovranazionale dei diritti umani, l’ingerenza umanitaria. Soprattutto, nacque l’esigenza di affermare esplicitamente la dignità della persona, nelle dichiarazioni sovranazionali e nelle costituzioni nazionali.

Viviamo un presente nel quale l’aggressione alla dignità umana – sotto forme nuove, ma sempre uguali – è incombente. Basta guardare alla crisi globale, ai suoi effetti sui livelli individuali e collettivi di povertà e sul diritto-dovere al lavoro, premessa della dignità secondo la nostra Costituzione. Basta guardare ai crescenti assalti all’Europa, “fortezza del benessere”, da parte di una immigrazione di massa in fuga dalla fame, dalla sete, dalla guerra, dalla violenza, dalla pandemia.

Nel Mediterraneo – al di là dei discorsi sulle forme e sui limiti in cui si esercita il diritto degli Stati al respingimento e alla tutela della propria sicurezza – la tradizione europea di accoglienza e sensibilità per i diritti umani rischia di naufragare con i migranti, con le loro speranze e con la loro dignità. Il Mediterraneo ha raccolto l’eredità del cimitero nato sulla spianata del campo di sterminio di Auschwitz, ove anche l’Europa ha rischiato di morire per odio o per indifferenza.

Stiamo dimenticando la nostra storia, italiana ed europea. Anche ad essa si riferisce la Bibbia quando proclama per ben trentasei volte lo Shemà, la legge d’amore verso lo straniero: “Non molestare lo straniero; non fare del male allo straniero, lasciagli un angolo del tuo campo, egli lo spigolerà...tu amerai lo straniero come te stesso poiché tu sei stato straniero in terra d’Egitto”.

Andiamo verso un futuro di insidie per la dignità, non meno preoccupanti di quelle tradizionali e sempre presenti, come il razzismo e l’intolleranza. Penso agli abusi della rete, della gestione delle informazioni sensibili e dei big data; agli eccessi che possono derivare dal progresso della tecnologia scientifica; alla possibilità e al timore di altre pandemie forse più drammatiche di quella che oggi soffriamo. Il terrorismo globale – massima espressione del di- sprezzo per i diritti umani – minaccia di essere sempre più coinvolgente e fanatico; ma, in nome della sicurezza e del contrasto al terrorismo, anche la soglia di rispetto dei diritti fondamentali della persona si abbassa sempre più. D’altronde si moltiplicano cause e pretesti per il terrorismo.

Leggere il passato, il presente e il futuro attraverso le lenti della dignità, regala margini di speranza. Permette di cogliere la perenne attualità del suo nucleo fondamentale; impone di riflettere sulla moltiplicazione degli ambiti in cui ne viene richiamato il rispetto; consente di trarre dalla lezione della storia indicazioni per affrontare le nuove istanze. La dignità contiene l’essenza della condizione umana, la sua immutabilità; ma altresì il suo realizzarsi in una continua evoluzione, il doversi confrontare con sempre nuove possibilità di offesa ed esigenze di tutela.

4. Dignità, eguaglianza e solidarietà nella Costituzione italiana...

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) ci ricorda che «tutti gli esseri umani nascono eguali in dignità e diritti»; come tali hanno diritto e dovere al rispetto reciproco. Con l’uguaglianza coesistono le differenze oggettive e ineliminabili di cui ciascuno è portatore. Quelle differenze contribuiscono a formare l’identità di ciascuno di noi; sono fonte di arricchimento e di stimolo. Esprimono il pluralismo e il personalismo: valori fondanti della democrazia non meno importanti dell’eguaglianza, affermati dalla nostra Costituzione con pari vigore.

La dignità è un valore ultimo, oggettivo, al vertice della scala dei valori, irrinunciabile e non comprimibile; esprime la condizione umana e diviene il nucleo essenziale dell’eguaglianza e della non discriminazione. La dignità è un attributo naturale e intrinseco di tutte le persone (anche dei “diversi” per razza, religione, genere, condizioni sociali, etc.). Si riflette in tutte le sfaccettature della vita come valore da tutelare in sé o nelle sue specifiche proiezioni nei più diversi settori.

L’apparente contraddizione tra eguaglianza e diversità si risolve nell’affermazione e nel riconoscimento reciproco della pari dignità, come è scritto nell’articolo 3 della nostra Costituzione. Le differenze non possono rappresentare ostacoli insuperabili, nè giustificare condizioni di inferiorità, sopraffazione, discriminazione. Gli ostacoli vanno affrontati e rimossi dalla Repubblica, cioè da tutti noi, non solo dalle istituzioni (come ricorda l’articolo 118 ultimo comma della Costituzione, a proposito della sussidiarietà orizzontale), per consentire la libertà e l’eguaglianza di ciascuno (non solo dei cittadini ma delle persone) e il pieno sviluppo della persona umana; per realizzare la pari dignità sociale.

In tal modo la dignità fa giustizia della pretesa - troppo frequente - di utilizzarla come pretesto per imporre modelli dominanti, comportamenti e conformismi generalizzati; per non rispettare il diritto di ciascuno alla diversità, al dissenso e in ultima analisi alla sua identità e libertà. Sempre che, beninteso, la libertà si esprima nel rispetto dell’altrui dignità e dei “valori condivisi” (quelli affermati dalla Costituzione), che sono presidio della civile convivenza (forse oggi di sopravvivenza).

La stretta connessione fra gli articoli 2 e 3 della Costituzione evidenzia un ulteriore aspetto della pari dignità. Essa è un ponte (non un muro) fra i diritti inviolabili e i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. L’azione di contrasto agli ostacoli che impediscono la concretezza e l’effettività della pari dignità sociale si realizza solo mobilitando il valore costituzionale della solidarietà. Quest’ultimo è un valore altrettanto essenziale secondo la nostra Costituzione, la quale attribuisce fondamentale risalto alle “formazioni sociali” ove si svolge la personalità dell’uomo e della donna.

Assieme alla reciprocità fra diritti e doveri ed a sua premessa, la solidarietà esprime il bisogno di coesione nella comunità, che trova soddisfazione nell’apporto reciproco, nella socialità, nella solidarietà. Consente di realizzare effettivamente la pari dignità sociale.

Un profilo particolarmente importante della solidarietà ai tempi della pandemia è espresso dall’articolo 32 della Costituzione, che sottolinea il diritto fondamentale del singolo alla salute, ma altresì l’interesse della collettività ad essa. È la premessa per affrontare la discussione ricorrente su tematiche come quella della obbligatorietà o meno della vaccinazione nell’interesse generale, che oggi rischia di perdersi in una polemica pseudo- scientifica o politica; o come quella della discussione sui limiti all’intervento pubblico e/o di terzi nella attuazione delle scelte personalissime di fine vita. Sono entrambe tematiche affrontate recentemente dalla Corte costituzionale: la prima in una prospettiva innovativa che solleva qualche perplessità; la seconda con misura e coerenza nel solco della tradizione.

5. (segue) ... e nella Carta di Nizza

Anche nel preambolo della Carta di Nizza si riconosce il fondamento dell’Unione Europea nei “valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell’eguaglianza e della solidarietà”. La Carta di Nizza si apre (nel titolo I, all’articolo 1) con il riferimento alla dignità umana inviolabile, che deve essere rispettata e tutelata.

Nel quadro della dignità, la Carta colloca il diritto alla vita, quello all’integrità fisica e psichica della persona, la proibizione delle torture e delle pene inumane e degradanti, la proibizione della schiavitù e del lavoro forzato. Queste specificazioni hanno una profonda concretezza ed attualità, se solo si pensa al dilagare della pena di morte in certi paesi; alle deformazioni nello sfruttamento dell’informazione; alle renditions di sospetti terroristi; al revival della tortura; allo sfruttamento del lavoro minorile e della immigrazione clandestina.

Inoltre la Carta di Nizza si occupa specificamente ed ampiamente dei vari aspetti della solidarietà nel titolo IV, dopo quelli dedicati rispettivamente alla dignità, alla libertà ed all’eguaglianza e prima di quello dedicato alla giustizia. La solidarietà è richiamata con riferimento, fra l’altro, alle condizioni e ai diritti del lavoro; alla vita familiare; alla sicurezza e assistenza sociale; alla protezione della salute; alla tutela dell’ambiente.

È una prospettiva, questa, che è strettamente connessa a quella proposta dalla Costituzione italiana: con i riferimenti espliciti ed impliciti di quest’ultima alla dignità; con il suo raccordo inscindibile fra dignità, eguaglianza, libertà, solidarietà e sussidiarietà; con le affermazioni in tema di giustizia che trovano riscontro nello spazio europeo di “legalità, sicurezza e giustizia” e nei suoi riflessi sulla disastrosa situazione della giustizia italiana.

Per la Carta di Nizza (con il suo percorso da emancipazione solo politica a normativa vincolante per gli stati membri, nell’arco di un settennato) e per la Costituzione italiana l’immagine del ponte assume un rilievo essenziale per definire la dignità. I successi europei e italiani del passato – nei primi anni di unità – si saldano con le sfide del presente e del futuro che ci attende.

Per entrambi, successi e sfide, il punto di riferimento essenziale è rappresentato dal richiamo a quei valori, aspirazioni ed ideali: la pace, la centralità della persona e la dignità umana, la democrazia e lo stato di diritto, i diritti fondamentali, la giustizia e la solidarietà. Essi hanno consentito almeno in parte di inverare un’Europa, che per troppi secoli è stata solo una speranza e un’idea (anche se per costruire l’Europa non basta l’Enciclopedia del diritto); hanno integrato la Costituzione italiana.

6. Unità nella diversità: una “pedagogia della memoria

Non solo un ponte fra il passato, il presente e il futuro, ma anche un ponte fra la diversità e l’unità. Anche sotto questo aspetto è evidente lo stretto legame fra l’Europa e la dignità umana che costituisce il DNA di essa al pari di quello dell’Italia, alla luce delle radici – classiche, cristiane e religiose, illuminate – della sua storia e della sua cultura. L’Europa deve essere unità per non diventare irrilevante; per “contare qualcosa” nelle grandi sfide politiche ed economiche del mondo attuale; per diffondere il suo modello di sviluppo sostanziale e sostenibile, rivolto ad un ruolo di mediazione tra scienza e natura, tra valori e interessi, tra persona e profitto.

L’unità tuttavia non può significare una assimilazione forzata, una cancellazione delle diversità, un mancato rispetto delle identità nazionali e locali, delle loro peculiarità, della loro dignità, sacrificando la ricchezza del pluralismo; sempre che, ovviamente, il rispetto delle diversità non sia solo apparente e non si risolva, in realtà, in discriminazione. Per contro, il rispetto della diversità e il diritto ad essa non possono neppure tradursi in un disinteresse o peggio, a livello europeo e nazionale, per i valori fondamentali comuni: primi fra tutti quelli della centralità della persona, della sua dignità, dei suoi diritti inviolabili.

Una Europa di minoranze, nella quale nessuna di queste possa sopraffare le altre. Una “pedagogia” del passato, ma anche del presente e del futuro dell’Europa e dell’Italia, nella quale è fondamentale il ricordo della Shoah. Dopo aver visto Auschwitz e la spianata di Birkenau, è difficile parlare e ragionare di diritti umani. Si sente – anche ora, a distanza di settanta- cinque anni – il bisogno di quel silenzio descritto dal Nobel Elie Wiesel (internato e sopravvissuto) in La notte, e da Primo Levi (il detenuto 174.517) nella testimonianza di Se questo è un uomo.

È un bisogno di silenzio che si può cercare di superare – vincendo il pudore dei senti- menti di ciascuno di noi, di fronte a ciò che abbiamo saputo ed evocato ad Auschwitz – ricorrendo alla testimonianza di un cittadino polacco, poi anche cittadino italiano e del mondo: Giovanni Paolo II.

In visita al campo di sterminio, poco dopo l’ascesa al pontificato, di fronte alle lapidi incise nelle diciannove lingue delle vittime – emblematiche anch’esse di un’unità europea che Auschwitz esprime – Giovanni Paolo II si chiedeva con paura dove si trovano le frontiere dell’odio, le frontiere della distruzione dell’uomo, le frontiere della crudeltà”. E aggiungeva che “questa grande chiamata di Oswiecim, il grido dell’uomo qui martoriato deve portare frutto per l’Europa (e anche per il mondo), bisogna trarre tutte le giuste conseguenze dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo ... ed assicurare i diritti delle nazioni all’esistenza, alla libertà, all’indipendenza, alla propria cultura e all’onesto sviluppo”.

7. Memoria nella Costituzione: la Resistenza

Abbiamo iniziato a scoprire la “pedagogia della memoria” dalle vittime dei campi di sterminio. Abbiamo proseguito con le foibe, le vittime del terrorismo, del femminicidio: una sequenza continua di giornate della memoria che tuttavia rischiano di non valorizzare ciò che realmente si sta ricordando. Rischiamo di rifugiarci nel passato, per il timore del futuro; di abituarci ad un ricordo burocratico e all’indifferenza, quando non addirittura al negazionismo.

Ricordare la storia non ha una funzione esclusivamente nostalgica o celebrativa. La storia è lo strumento che ci consente di capire le radici della nostra società: prima fra tutte l’adozione della Costituzione repubblicana. La nostra Costituzione nasce dalla Resistenza che può e deve oggi essere considerata – anche grazie all’opera di Ciampi e Napolitano – patrimonio culturale e storico di tutte le parti politiche.

Si è cominciato a mettere a fuoco che la Resistenza è un “bene comune” – nonostante la lotta fratricida – i cui protagonisti sono i 600.000 militari che rifiutarono di firmare per la Repubblica sociale, finendo così nei campi di lavoro; sono gli appartenenti alla divisione Acqui, i cui membri furono fucilati nell’isola di Cefalonia; è la schiera degli uomini e delle donne che combatterono per la libertà o che aiutarono a rischio della propria vita chi combatteva per la libertà. Fu una resistenza difficile, perché – a differenza di altri paesi europei, nei quali il problema era quello di combatter contro il nazista invasore – in Italia vi fu una vera e propria guerra civile.

Si combatté tra italiani, alcuni dei quali si erano schierati con i nazisti; altri si erano voltati dall’altra parte; altri avevano aiutato i renitenti alla leva, gli ebrei che erano riusciti a scappare alle retate, i partigiani feriti e quelli in difficoltà. Si combatté contro il fascismo, oltre che contro il nazista invasore.

Spesso, tuttavia, voci anche importanti fraintendono il corso della storia, travisando le ragioni per cui i fatti dovrebbero essere ricordati, con inevitabili ripercussioni sulla memoria collettiva. È difficile un approccio corretto alla memoria collettiva, perché dovrebbe puntare a una memoria condivisa, che esprima l’identità di una comunità, di un popolo. Scrive Primo Levi che la memoria collettiva ha una funzione di prevenzione perché – proprio in quanto condivisa – dovrebbe ricordarci quel “mai più” proclamato dopo il processo di Norimberga ai capi nazisti.

Invece, abbiamo detto tanti “mai più”; ma, dopo di essi, abbiamo compiuto o conosciuto altrettanti (se non più) eccidi, arrivando di volta in volta ad una nuova proclamazione dei diritti dell’uomo.

Continuiamo a ricordare evocando un passato che cerchiamo di rendere condiviso, manipolandolo però attraverso le “trappole della memoria”, per costruire una memoria condivisa. Le false memorie per fare finta o per far credere ai nostri figli e nipoti che abbiamo un passato meritevole di essere ricordato o quanto meno pacificato.

Noi ricordiamo il giorno dell’apertura dei cancelli di Auschwitz. Sarebbe forse più giusto ricordare il giorno in cui quei cancelli vennero chiusi. O il giorno in cui in Italia costruimmo le nostre tante premesse per collaborare a riempire il campo di sterminio di Auschwitz. Ricordando Auschwitz ci siamo dimenticati della Risiera di san Saba a Trieste, del campo di smistamenti di Fossoli da cui partivano i carri piombati degli ebrei per i campi di sterminio. Parliamo del 27 gennaio, giorno dell’apertura dei cancelli di Auschwitz, ma non del 16 ottobre, il giorno in cui i membri della comunità ebraica romana vennero prelevati, con l’agevolazione del censimento degli ebrei fatto nel 1938 e del loro confinamento all’interno del ghetto. Un ghetto intellettuale, oltre che materiale, chiuso con le infami leggi razziste del 1938 che fra l’altro cacciarono dalle scuole professori ed alunni ebrei.

8. Dalla memoria del passato al progetto per il futuro

L’articolo 9 della Costituzione afferma nel primo comma che «la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica»; nel secondo comma che essa «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione» (laddove le letture più recenti e ormai consolidate intendono il termine “paesaggio” riferibile, più ampiamente, al concetto di “ambiente”).

La ratio di tali affermazioni è il legame fra il passato e il futuro: un legame riconoscibile grazie a una cultura accessibile a tutti, non elitaria. Senza passato e senza futuro né l’uomo, né il gruppo, né la collettività sono in grado di vivere. Non c’è niente di più preoccupante che vivere soltanto nel presente, non raccogliere la ricchezza degli stimoli del passato e non derivare da questi stimoli la progettualità per il futuro proprio e dei propri figli. Vivere soltanto nel presente significa eliminare per la persona e per la società due condizioni essenziali – il tempo e lo spazio – della loro identità.

Ciò consente di cogliere l’importanza della memoria e quindi la necessità di un discorso giuridico, altrettanto importante, volto alla difesa di essa. O meglio alla difesa di quegli oggetti, di quei concetti, di quei simboli che la memoria evoca: prevedere una reazione anche penale verso chi irride alla Shoah.

Il negazionismo non è semplicemente una manifestazione di un’idea che va combattuta a livello storico. È una forma di disprezzo o completamento di quel discorso che è iniziato col censimento degli ebrei ed è proseguito coi ghetti, con l’eliminazione delle libertà e dei diritti, con la negazione dell’eguaglianza per la “razza ebraica”, per giungere al suo sterminio. È l’anticamera dell’intolleranza, della discriminazione, della violenza e dell’odio.

Oltretutto la razza e la sua superiorità o inferiorità sono concetti inesistenti e superati dagli studi sulla genetica. Aveva ragione Einstein quando, entrando negli Stati Uniti d’America per fuggire alla persecuzione razziale in Germania, compilò la Green Card scrivendo “umana” nella casella dedicata alla razza. Ci siamo arrivati tardi ma ci siamo arrivati finalmente, pagando un prezzo assai elevato.

Al di là dei rilievi giuridici, la memoria – sia nell’ottica generale della società, sia nell’ottica specifica di ciascuno di noi – assume un valore fondamentale. La sua privazione finisce per approdare nell’Alzheimer (una malattia troppo diffusa e difficile da curare fra le persone anziane); nel buio dove non so chi sono, non so da dove vengo e non so dove vado: una situazione che è il primo e fondamentale ostacolo alla nostra convivenza.

Giovanni Maria Flick, Presidente emerito della Corte costituzionale

Analisi di

15 marzo 2021

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