Gariwo
QR-code
https://it.gariwo.net/magazine/editoriali/denis-mukwege-e-la-forza-delle-donne-25368.html
Gariwo Magazine

Denis Mukwege e la forza delle donne

di Martina Landi

Cosa significa lottare per i diritti delle donne?
Oggi ci immaginiamo immediatamente le donne iraniane e la loro protesta dopo l’uccisione di Mahsa Amini. Purtroppo, tuttavia, ci sono nel mondo tante donne che subiscono abusi, che vengono vendute come schiave, che non possono andare a scuola, che non possono leggere, guidare, lavorare, sotto lo sguardo indifferente della comunità internazionale.
Vite di serie B, secondo Denis Mukwege, il chirurgo congolese Premio Nobel per la pace, tornato a Milano dopo tre anni - quando nel 2019 era stato al Giardino dei Giusti del Monte Stella - per l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Bocconi, fortemente voluto dai genitori di Luca Attanasio. Mukwege parla di un “umanitarismo a geometria variabile”, che come aveva compreso anche Luca Attanasio non solo non può durare, ma ha anche l’effetto di minare la credibilità della diplomazia internazionale.
Mukwege dedica il suo discorso proprio all’Ambasciatore italiano ucciso in Congo. “Luca Attanasio era una persona altruista, che si è battuta con coraggio per i diritti umani, delle donne, dei più vulnerabili. Sono qui oggi per onorare la sua memoria, convinto che esista solo una via per farlo, che è quella della pace”.

Una via che Mukwege cerca da decenni di costruire nella Repubblica Democratica del Congo. Poco più a sud dell’Equatore, “vicino al centro del mondo e al cuore dell’Africa”, il Paese è una terra martoriata da decenni di violenze e guerre per le risorse, in cui il corpo delle donne si è trasformato in campo di battaglia. Lo stupro viene usato sistematicamente, su bambine di pochi mesi, ragazze, donne adulte e anziane. Quasi sempre davanti ai familiari, distruggendo il tessuto sociale e creando enormi traumi psicologici. È un’arma di terrore per troncare i legami delle comunità, ma anche uno strumento di sterminio, un mezzo per minare in modo permanente l’identità etnica, come neanche l’omicidio è in grado di fare. È una vera e propria strategia militare: è pianificato, poco costoso, facile da organizzare. E tremendamente efficace.

Pochi giorni prima dell’incontro, ho terminato la lettura dell’ultimo libro di Mukwege, Il potere delle donne, edito in Italia per Mondadori. Una riflessione sulla sua vita e un pensiero lucido sul concetto di femminismo e sui diritti delle donne, a partire dalle oltre 60mila pazienti che ha operato e assistito. Le chiama “sopravvissute”, non “vittime”, e mostra per loro un’ammirazione straordinaria. Ha visto con i suoi occhi cosa hanno dovuto sopportare, ma è testimone anche della loro forza di ricominciare. Senza cancellare i ricordi, ma lasciandoseli alle spalle, passo dopo passo. È quel Trasformare il dolore in forza che compare scritto sul muro d’ingresso del suo ospedale Panzi.
È impossibile non osservare il volto di Mukwege senza pensare alla sua storia, agli attentati subiti, a tutta la violenza che ha cercato di curare, alla forza con cui oggi denuncia lo sfruttamento del tesoro minerario custodito nel sottosuolo del Paese, al coraggio di tornare in Congo per non abbandonare le donne. Mukwege ha curato lacerazioni del corpo e della mente, ma quando ha iniziato a curare la seconda generazione di pazienti, ha capito che non bastava essere solo il loro medico: doveva diventare la loro voce.

Quello che Mukwege osserva in Congo è singolare poiché è il risultato di un contesto particolare di sfruttamento, malgoverno e conflitti, ma è anche universale, poiché le motivazioni alla base della violenza sessuale sono uguali dappertutto, in tempo di guerra e in tempo di pace. “Perché gli uomini stuprano? Ogni volta che un uomo stupra una donna, in qualunque situazione, in qualunque Paese, le sue azioni tradiscono lo stesso pensiero: che i suoi bisogni e desideri valgono più di ogni altra cosa, e che le donne sono solo esseri inferiori che si possono usare e violentare. La guerra sul corpo delle donne, in Congo, non è stata perpetrata da eserciti di psicopatici che davano libero sfogo a fantasie malate. È stata una scelta deliberata e consapevole, conseguenza diretta del disprezzo per la vita delle donne in quanto tali. Gli uomini stuprano perché pensano che la vita delle donne non sia preziosa quanto la loro. Ogni volta che uno stupro si verifica senza che vi siano conseguenze per l’aggressore, la pratica diventa tollerata. E se una prassi è tollerata, entra a far parte della cultura”.

Non è solo il Congo, però, che dimentica i diritti delle donne. Lo vediamo in Iran oggi, o in Afghanistan, dove spenti i riflettori dell’opinione pubblica dopo i primi mesi dal ritiro americano, le donne sono tornate a vivere l’incubo del regime talebano. Ma anche in tanti Paesi dove la legislazione stessa considera di serie B le donne, o i reati contro di loro: Stati come l’Iraq, le Filippine o il Kuwait, secondo cui uno stupratore può sottrarsi alla pena sposando la vittima, o Singapore, India e Sri Lanka, che non riconoscono lo stupro coniugale come reato e di conseguenza non tutelano le donne sposate dalle violenze. O ancora, i Paesi occidentali, dove esiste un gender gap importante nelle retribuzioni, nella spartizione del lavoro domestico, nelle posizioni di prestigio, e dove ancora non si è adottato il principio del consenso per determinare i reati di stupro, o ancora si ritiene che spesso le vittime di violenza abbiano in qualche modo incoraggiato gli aggressori. “Più gli uomini sono indotti a credere di essere superiori - ricorda Mukwege - e che le loro vite contino più di quelle delle donne, maggiore è la probabilità che si convincano di avere il diritto di dominarle”.

Cosa fare quindi? Naturalmente introdurre, dove non ancora presente, una legislazione chiara, che riconosca pienamente le donne come individui autonomi e indipendenti. Ma anche garantire, attraverso uno Stato di diritto e un apparato di sicurezza trasparente e preparato, che tali leggi vengano comprese e rispettate. Spesso la giustizia è stata sacrificata per necessità politiche o economiche: l’impunità o la banalizzazione della violazione dei diritti delle donne non possono però più essere tollerate.
Mukwege lo sa e continua a chiedere attenzione per la sua terra. E invita ad agire, subito: “È giunto il tempo di fermare il ciclo infernale della violenza organizzato da chi saccheggia le risorse naturali. Chiunque ha uno smartphone deve sapere che ha una parte di responsabilità, perché l'80% dei minerali necessari per i prodotti tecnologici si trovano in Congo. Ma questi materiali non devono provenire da zone dove il corpo delle donne è utilizzato come un campo di battaglia”.

Nonostante tutte le atrocità che ha visto negli anni, le minacce subite, gli attentati, le violenze che ha cercato di "riparare", Mukwege crede ancora nell'empatia e nella pace. Sa perfettamente che le campagne di sensibilizzazione non possono cambiare il mondo senza leadership in grado di guidare il cambiamento, senza che le donne non vengano più considerate vite di serie B. Crede che tutti possiamo dare il nostro contributo a cambiare le cose, come individui, come educatori e come comunità.
Crede nella forza delle donne
, come non si può fare a meno di credere nella sua, di forza, in quella voce profonda e limpida che al tempo stesso narra violenze atroci ma ha la capacità di mostrare un cammino, una speranza, un "bene possibile".

Martina Landi

Analisi di Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo

10 ottobre 2022

Non perderti le storie dei Giusti e della memoria del Bene

Una volta al mese riceverai una selezione a cura della redazione di Gariwo degli articoli ed iniziative più interessanti. Per iscriverti compila i campi sottostanti e clicca su iscrizione.




Grazie per aver dato la tua adesione!

Denis Mukwege al Giardino di Milano

guarda tutte le fotografie

Contenuti correlati

Scopri tra gli Editoriali

carica altri contenuti