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Don Francesco Ricci

editoriale di Annalia Guglielmi

Oggi ricorre il ventesimo anniversario della morte di don Francesco Ricci. All’inizio degli anni Sessanta don Ricci iniziò le sue prime peregrinazioni nell’Europa dell’Est, che l’avrebbero condotto, poi, alla fine degli anni Ottanta, fino all’incontro con i popoli e le culture dell’oriente asiatico. Da quei primi viaggi nacquero incontri, amicizie, collaborazioni che si estesero e si ramificarono in tutti i Paesi che dopo la seconda guerra mondiale, con la spartizione di Yalta, erano stati assegnati all’area di influenza sovietica. La prima fase di questo lavoro di incontro e di conoscenza trovò la sua espressione nella costituzione del “Centro Studi Europa Orientale” (CSEO) e nella pubblicazione di una rivista mensile (“CSEO documentazione”), che ebbe la sua prima uscita nel febbraio 1967 in forma di ciclostilato, ma che ben presto assunse una veste tipografica vera e propria e poté essere distribuita attraverso i normali canali di diffusione della stampa. 


Per molti anni la rivista si alimentò di una rete di relazioni che nel tempo si stabilizzarono, crebbero, si incrementarono sempre più nell’Europa centro-orientale e rappresentò una fonte di notizie dirette che venivano tradotte da diverse lingue. Si trattava di una fonte informativa quasi unica, perché in quegli anni erano veramente poche le agenzie che fornissero notizie di prima mano tratte da canali propri e da giornali e riviste locali dei diversi Paesi (fra queste poche voci non possiamo dimenticare la rivista L’Ottavo giorno fondata – tra gli altri - da Gabriele Nissim, Francesco Cataluccio e Wlodek Goldkorn), e singolare perché in essa trovavano spazio soprattutto testi pubblicati nell’editoria clandestina dei diversi paesi, i cui autori non di rado comparivano sotto pseudonimo onde evitare ritorsioni poliziesche e immancabili forme di repressione. Negli anni in cui don Francesco iniziò la sua opera, i paesi dell’Est Europeo in molti ambienti venivano considerati un mondo antitetico al nostro: la non democrazia contrapposta alle nostre libertà, la miseria e le file ai negozi contrapposte alla nostra opulenza, mentre le cosiddette élites culturali al potere ne volevano negare la realtà totalitaria, fatta di violazione dei diritti umani e civili, che smentiva i sogni di giustizia dell’ideologia marxista. 


Nell’un caso e nell’altro c’era al fondo un’accettazione passiva alla divisione dell’Europa ed un colpevole oblio su quanto stava accadendo a popoli che per tradizione millenaria erano stati parte integrante del continente europeo. Attraverso la rivista e la casa editrice, nata qualche anno dopo, CSEO ha tirato fuori dal limbo quei paesi, ha fatto conoscere nomi, volti, personalità eccezionali: il cardinal Wojtyła, Josef Tischner, Jacek Kuron, in Polonia, il grande teologo cecoslovacco Josef Zverina, Václav Havel, Jan Patočka, Radim Paolus i movimenti di Charta ’77 e di Solidarność, solo per citarne alcuni. Ma, attraverso le diverse collane della casa editrice ha anche dato un contributo fondamentale al recupero e alla diffusione della cultura, dell’arte, della poesia, della storia di questi paesi, proprio per testimoniare quella profonda unità dell’Europa che la Cortina di Ferro aveva artificiosamente infranto e per cercare di restituire all’Europa le sue radici tutte intere. Spesso usava una metafora per descrivere il senso del lavoro che facevamo con la nostra redazione: la metafora dell’anello spezzato. Quando nel Medio Evo un cavaliere partiva per una guerra o per compiere il pellegrinaggio in Terra Santa, spezzava un anello e ne dava una metà al suo amico più caro, così che al suo ritorno potessero ritrovarsi e riconoscersi. 

)Secondo don Francesco l’Europa era come quell’anello spezzato e a noi spettava il compito di mantenere viva la memoria di quell’antica unità, così che le due metà dell’anello potessero ricongiungersi al momento opportuno. Ho avuto la grande fortuna ed il grande privilegio di iniziare a collaborare con lui nel 1973, quando ero ancora all’università, ho fatto tanti viaggi insieme a lui, l’ho visto in azione quando incontrava i suoi amici, mi sono potuta giovare della sua immensa capacità di giudizio e di sintesi. Quando ci mandava in giro per l’Europa o pensavamo ad un nuovo numero della rivista, don Francesco ci ripeteva sempre che erano quattro le linee guida che dovevamo avere sempre presenti e che, spero, mi sono rimaste dentro:
1. Incontrare senza pregiudizi tutti coloro che avevano un desiderio umano vero, soprattutto ascoltarli liberandoci dai nostri schemi mentali, cogliendo e valorizzando ogni spunto di verità umana. 2. Riaffermare l’unità dell’identità culturale europea, al di là delle artificiose barriere politiche imposte dal dopoguerra.
3. Dar voce in Occidente a chi in patria sembrava costretto al silenzio, rompendo così la solitudine cui li condannava la divisione dell’Europa. 
4. Proporre alla riflessione dell’Occidente le intuizioni sull’uomo e sulla società, nate all’interno del totalitarismo comunista, perché fossero uno stimolo e una domanda sulla nostra situazione e sulla nostra società
L’elezione del papa slavo alla Cattedra di Pietro, il 16 ottobre 1976, significò agli occhi di don Ricci la conferma della verità delle sue intuizioni e il primo importante atto di ricostituzione dell’Europa vera, dell’Europa intera.

Annalia Guglielmi

Analisi di Annalia Guglielmi, esperta di Polonia ed Europa dell'Est

30 maggio 2011

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