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​Eredità di Guido Davide Neri

di Amedeo Vigorelli

Tra gli intellettuali milanesi, che esercitarono una significativa influenza sulla generazione politicamente attiva degli anni Sessanta e Settanta, Guido Davide Neri (1935-2001) è stato certo uno dei più originali. Filosofo, allievo di Antonio Banfi, Enzo Paci e Dino Formaggio, era una delle personalità più influenti all’interno della Scuola di Milano, sebbene non abbia mai insegnato in questa città (se non come assistente di Paci alla fine degli anni Cinquanta), ma nell’Università di Verona. L’indirizzo filosofico da lui seguito con coerenza è stata la Fenomenologia di Husserl, che difese con grande efficacia dai fraintendimenti della cultura marxista (Prassi e conoscenza, Feltrinelli, Milano 1966). Con altri amici e compagni (Gabriele Scaramuzza, Paolo Gambazzi, Romano Alquati, Renato Rozzi, Laura Boella) contribuì, dalla pagine di “aut aut”, alla migliore conoscenza degli autori e delle problematiche filosofico-politiche di quello che all’epoca si definiva l’Est europeo. Fu il primo a far conoscere in Italia autori e critici dell’esperianza del Socialismo Reale, come lo jugoslavo Gajo Petrovic, i cechi Karel Kosik e Jan Patočka, gli esponenti della scuola di Budapest (Heller, Vajda, Markus, Hegedus) e molti altri. Il suo libro più importante rimane Aporie della realizzazione (pubblicato nel 1980 dalla casa editrice Feltrinelli, e recentemente ristampato dalla casa editrice Unicopli di Milano). In esso viene tracciata una genealogia precisa del marxismo critico e dissidente, che attraversa due generazioni di intellettuali: la vecchia generazione (György Lukács e Ernest Bloch), che incarna il messianismo comunista degli anni Venti; la nuova generazione (Leszek Kolakowsky e Karel Kosik), che incarna quello che Neri definiva “lo spirito del ‘56”. Ma Neri non rimase all’interno delle tematiche dissolutive dell’esperienza post-staliniana.

Negli anni Ottanta anticipò molte delle questioni che si sarebbero aperte con la crisi del 1989, collocandole con grande lucidità e preveggenza entro la problematica della unificazione dell’Europa e della sua eredità spirituale. In un articolo del 1998 (“aut aut” nn. 283-284) Neri si poneva, nel solco delle riflessioni contemporanee di Edgar Morin e Jan Patočka, la domanda decisiva: potrà l’Europa unificata arrestare il proprio declino morale e culturale, ponendo tra parentesi le crisi del ‘900 (“le guerre del XX secolo e il XX secolo come guerra”, come intitolava l’ultimo dei Saggio eretici sulla filosofia della storia di Patočka)? Potrà l’Europa ereditare da se stessa il meglio della sua storia millenaria, rimosso e deformato dalle pratiche dei suoi “eredi ipertrofici” (gli USA e l’URSS), prigionieri del demone della Forza e della Tecnica planetaria? Oppure sopravviverà solo come entità economica e mercantile, privata del suo spirito animatore?

La riflessione teorico-politica di Neri non ha trovato, né al tempo in cui fu formulata, né in quello attuale una accoglienza e una risonanza adeguate. Tranne che per la pubblicazione di una biografia postuma (L. Fausti, Guido Davide Neri tra scepsi e storia. Un percorso filosofico, Unicopli, Milano 2010) e per alcune benemerite iniziative di commemorazione (che non hanno travalicato i ristretti ed elitari confini accademici), di lui e della sua intensa umanità è rimasto solo il ricordo e il rimpianto dei numerosi amici che ebbero la fortuna di conoscerlo e di amarlo. Ma ciò ci induce ad una riflessione più ampia, sui limiti costitutivi di una cultura politica, che si ispira al comunismo marxista, e che ha sovente decretato il fallimento delle rare esperienze culturali vive e originali che si sono sviluppate al suo interno (o, come nel caso di Neri, nella sua prossimità). Ai tempi in cui visse, Neri non solo fu osteggiato o ignorato dall’establishement ufficiale del PCI, disposto a riconoscere una specificità e una diversità della via italiana al socialismo, rispetto al modello staliniano e sovietico; ma poco disposto a confrontarsi in profondità coi limiti storici della esperienza leninista del ’17 (fino ai timidi riconoscimenti di una esaurimento di quella esperienza rivoluzionaria, fuori tempo massimo, negli ultimi anni della reggenza berlingueriana). Proposte e provocazioni come quella di Neri parevano inadatte a coltivare il mito della unità delle forze antifasciste o le speranze di un compromesso storico con la DC. Ma non fu nemmeno capito dalla nuova sinistra extraparlamentare, più critica e smagata nei confronti della strategia rivoluzionaria della tradizione comunista italiana, ma perennemente ossessionata dal mito della “rivoluzione tradita” e più disposta a inseguire le peggiori utopie comuniste contemporanee (la Rivoluzione culturale cinese, il mito di Cuba, l’antiimperialismo di Vietnam, Cambogia, Africa, Palestina), piuttosto che interessata a riedificare un salda teoria delle basi etiche del socialismo, senza dogmatismi o “messianismi” di risulta.

Pur completamente trasformato (ma forse più alla apparenza che nella realtà), il clima culturale odierno sembra ripetere (in tono di farsa più che di tragedia) quegli errori di valutazione e quella timidezza di analisi valoriali, prima che strategiche. Da un lato, l’esperienza del comunismo è stata piuttosto rimossa, che compresa e superata, dai suoi eredi legittimi. Dall’altro, la caduta di ogni tensione utopica ha ridotto al silenzio e alla assoluta irrilevanza ogni discorso di “sinistra” (ormai relegato entro il circuito di una politica parlamentare, esautorata di ogni effettiva rappresentanza morale e civile, e costituita in casta professionale). Proprio quando ci sarebbe prezioso il sorriso ironico e l’atteggiamento socratico di Guido Davide Neri, per riprendere lo scandaglio critico del presente e l’apertura al futuro, la sua eredità non è rivendicata da chi più ne avrebbe bisogno. Riuscirà una nuova generazione di intelligenze sensibili e generose, ammaestrate ed educate alla lezione dei Giusti, a riprendere e portare avanti quel discorso? Certo ce lo auguriamo, anche se con l’inevitabile dubbio circa l’infausta ripetitività della storia.

Amedeo Vigorelli

Analisi di Amedeo Vigorelli, docente di Filosofia morale Unimi

8 febbraio 2016

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