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Fuga dalla libertà

di Silvia Golfera

Nella vita di ognuno c’è un momento particolarmente difficile da affrontare, delicato e rischioso, denso di tensioni e di paure. Il momento in cui si diventa adulti.

Diventare adulti significa assumersi la responsabilità della libertà, imparare a convivere con le contraddizioni del nostro essere nel mondo e accettare la mancanza di risposte ai nostri quesiti e ai nostri bisogni. Tutte cose che possono spaventare a morte.

Io credo che il bisogno di ancorarsi a un’ideologia o alla religione, o peggio ancora a una religione che si fa ideologia, si collochi in questo punto. Transitare dalla dipendenza dagli altri, propria dell’infanzia e dell’adolescenza, alla dipendenza da un’idea, da una visione rigida del mondo, può costituire una grande fonte di rassicurazione.

Oggi assistiamo al fenomeno di giovani che, cresciuti in una società aperta, in un clima spesso multietnico e multiculturale, s’imbarcano in avventure rischiose, paradossali o addirittura folli. Scelgono di andare a morire e uccidere per un’idea, per edificare un mondo in cui ognuno abbia un ruolo prestabilito, statico e indiscutibile. Sono pazzi? No, sono terrorizzati dalla libertà.

La libertà ci costringe a scontrarci con le nostre mancanze, con i limiti e le insicurezze, a fare i conti con la frustrazione. Ci espone a un sentimento tanto censurato quanto ineliminabile, l’invidia.

A coloro che sentono di non poter competere in una società dove tutto è provvisorio e ricontrattabile, dove ogni individuo conta per quello che fa, piuttosto che per quello che è, d’un tratto viene offerta la possibilità di diventare qualcuno, con un’identità ben precisa e una missione da compiere, di essere accolto come membro di un esercito globale che imporrà un nuovo ordine, con regole chiare e ferree, poche e indiscutibili verità.

Finalmente una risposta ad ogni domanda, il riconoscimento del gruppo, l’autostima che nasce dal sentimento di appartenenza. Non è stato così anche per i giovani nazisti, per le SS, per le guardie rosse di Mao, per i militanti bolscevichi, per le camicie nere di Mussolini, per i Khmer Rossi? La potenza distruttiva, la violenza iconoclasta di costoro è stata forse inferiore a quella delle forze islamiste?

La democrazia non è un’idea universale e neppure un bisogno primario. Lo sono diventati culturalmente per una parte del mondo. Ma la democrazia avrà sempre i suoi nemici, esterni e interni, perché genera ansia e bisogno di rassicurazione.

Oggi si parla tanto di crisi dell’Occidente che avrebbe perso identità, valori e punti di riferimento. Io credo invece che pur con tutte le sue contraddizioni, con le sue miserie e le sue ingiustizie, il mondo occidentale e la cultura che esprime, reggano piuttosto bene, abbiano in sé gli anticorpi per esorcizzare i propri mostri.

È piuttosto il mondo islamico ad essere percorso da una terribile crisi identitaria, ad avere smarrito la propria anima.

Che fare? Forse, l’unica strada è quella di offrire tutto il supporto possibile, morale e materiale, a quei musulmani che rifiutano di arrendersi al terrore e all’omologazione, di pensare che la loro sia un’anima morta.

La grande manifestazione di Tunisi contro il terrorismo dimostra che questa strada è percorribile.

Analisi di

2 aprile 2015

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