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Georg Duckwitz e lo "squilibrio" della memoria

il ricordo del salvataggio degli ebrei danesi

Ricorre in queste ore l’anniversario di uno dei più grandi salvataggi della Seconda guerra mondiale, quello degli ebrei di Danimarca. Nella notte tra l’1 e il 2 ottobre 1943 infatti, il Movimento di resistenza danese - aiutato da gran parte della popolazione - riuscì a mettere al sicuro quasi tutti i 7mila ebrei del Paese.

Certo va ricordato che la presenza tedesca in Danimarca era molto particolare, con caratteri diametralmente opposti rispetto all’occupazione degli altri Paesi europei.

Le armate naziste varcarono il confine danese il 9 aprile 1940, con l’ordine di tenere un comportamento che non irritasse la popolazione locale. “Il danese non è un polacco - dicevano gli ufficiali della Lutwaffe - ma piuttosto un teutone”. Tra gli occupanti e gli occupati si stabilì quindi un accordo assolutamente originale, che lasciò a Copenaghen un’autonomia insolita: il governo nazionale, il Parlamento e l’esercito rimasero nelle mani del re Cristiano X, e la Danimarca restò formalmente uno Stato libero - seppure con truppe tedesche stanziate sul suo territorio.

Le ragioni di questa unicità erano fondamentalmente politiche ed economiche. Copenaghen esportava i due terzi delle sue risorse in Germania, e forniva continuamente forza lavoro al Reich. Fu proprio a causa di questa sorta di “protettorato” che la piccola comunità ebraica danese non venne immediatamente perseguitata.

La situazione precipitò nel settembre 1943, quando l’ostilità crescente della popolazione danese iniziò a preoccupare Hitler, che ordinò quindi al ministro plenipotenziario Werner Best di assumere i pieni poteri e decretare lo stato di emergenza nel Paese. La soluzione finale per gli ebrei danesi era ormai prossima.

Entrò così in gioco una figura particolare, il delegato per gli Affari marittimi dell’Ambasciata tedesca di Copenaghen Georg Ferdinand Duckwitz - ricordato anche da Gabriele Nissim ne Il tribunale del bene (Mondadori). Stretto collaboratore di Best, l’uomo venne informato già il 28 settembre della volontà di iniziare i rastrellamenti degli ebrei del Paese, ma invece di assecondare i piani del Reich, Duckwitz si oppose con forza a questa soluzione. Decise quindi di incontrare il leader socialdemocratico Hans Hedtoft, per metterlo al corrente del progetto di Best.

La volontà di mantenere segreta la deportazione degli ebrei - fissata per la notte tra l’1 e il 2 ottobre - ricorda quanto avvenuto in Bulgaria, dove i treni per i campi di sterminio erano stati predisposti all’insaputa del vicepresidente del Parlamento Dimitar Peshev, messo al corrente della decisione solo dall’amico ebreo Jako Baruch. A differenza di Sofia, dove fu l’impegno di un solo uomo - Peshev - a salvare i 48mila ebrei del Paese, a Copenaghen  si verificò uno straordinario movimento di solidarietà da parte della popolazione, che decise di nascondere gli ebrei nelle proprie case per sottrarli ai rastrellamenti nazisti e di aiutarli a imbarcarsi sulle navi dirette in Svezia. Grazie a Duckwitz, al coraggio dei cittadini e alla Chiesa danese - che non solo non tacque, ma anzi esortò ad aiutare e difendere i perseguitati - quasi tutti i 7mila ebrei del Paese riuscirono a salvarsi.

La figura di Duckwitz fu tuttavia messa in secondo piano nell’immediato dopoguerra. In riferimento al salvataggio degli ebrei danesi veniva esaltato il comportamento delle autorità e della popolazione, ma non del diplomatico. Nei suoi confronti pesava il pregiudizio che aveva incontrato anche Oskar Schindler: poteva un nazista essere riconosciuto come Giusto?

Eppure l’uomo aveva rischiato la vita per soccorrere gli ebrei, ed era stato costretto ad entrare in clandestinità per sfuggire alla fucilazione delle SS. Solo nel 1971, a quasi 30 anni dal salvataggio degli ebrei danesi, è stato colmato questo “squilibrio di memoria”, e Duckwitz è stato riconosciuto Giusto tra le Nazioni da Yad Vashem.

Quando gli fu chiesto il perché della sua azione, l’uomo rispose: “Non ho considerato la mia vita più importante di quella di 7000 ebrei. Bisogna avere la capacità di metterci come uomini al posto degli altri”.

Martina Landi

Analisi di Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo

2 ottobre 2013

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