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Germania: Dopo Colonia non vince la paura

di Simone Zoppellaro

Da STOCCARDA - In Germania in questi giorni tira un’aria pessima. I fatti di Colonia hanno colpito duramente la nazione in uno dei punti in cui si sentiva più forte: il senso di sicurezza diffuso e la fiducia nello Stato e nelle forze dell’ordine. Anche un altro assunto fondamentale è sembrato vacillare: la solidarietà e l’impegno nei confronti dei rifugiati, simboleggiati dalle politiche di accoglienza della Merkel.

Per molti tedeschi, le ultime settimane hanno riportato alla luce un sentimento che si credeva dimenticato: la paura. Era dai tempi della RAF, corrispettivo tedesco delle Brigate Rosse, che non si viveva un simile senso di insicurezza. E gli “anni di piombo”, espressione in uso anche in Germania (nata peraltro da un film tedesco: Die bleierne Zeit di Margarethe von Trotta), riaffiorano in questi giorni nei discorsi della gente. Ma non è solo Colonia: le stragi di Parigi e Istanbul – dove hanno perso la vita diversi tedeschi – e i ripetuti allarmi per possibili attentati di gruppi legati al fondamentalismo islamico (da ultimo, quello che ha portato a evacuare, la notte di Capodanno, due stazioni ferroviarie a Monaco) destano grande preoccupazione. Ho incontrato una residente di Stoccarda che mi ha raccontato che quest’anno non ha visitato, come suo solito, il mercato di Natale cittadino per il timore di attentati.

Eppure, checché ne dicano i media italiani – evidentemente poco informati – in Germania la situazione è diversa da quella che si vive in Italia e in altri Paesi Europei. Il populismo e l’estrema destra stentano a decollare e la retorica razzista resta al di fuori dalla politica, dai media e dai principali centri culturali e economici del Paese. L’antipolitica e la xenofobia sono ai margini della vita sociale. Non solo lo Stato e le chiese, ma anche le miriadi di gruppi e associazioni presenti sul territorio – retaggio tipicamente luterano – hanno dato prova in questi mesi di una solidarietà ammirevole e non soltanto retorica. Sono tante, tantissime le persone che ho incontrato che hanno fatto del volontariato per i rifugiati.

Nel Paese che ha prodotto l’orrore della Shoah, l’antisemitismo e il razzismo – nelle sue molteplici forme, in fondo tutte uguali – restano ancora un tabù sociale e un’onta a cui rimediare con i fatti. Poche settimane fa un amico, non certo un militante, mi ha confessato che non ascoltava Wagner perché antisemita. Affermazioni del genere non sono rare persino fra i più giovani. Anche sui social media – ricettacolo delle peggiori pulsioni del nostro tempo – i tedeschi si mantengono perlopiù lontani dalla spazzatura islamofoba e dal complottismo anti-ebraico così diffusi, in un crescendo allarmante, anche in Italia.

Ma non si tratta solo di storia, bensì anche del presente di questo Paese. Qui a Stoccarda, dove ha sede il quartier generale della Mercedes – uno dei vanti della città – è facile comprendere questo punto. “Rispetto! No al razzismo”, si legge su uno striscione bene in evidenza al cancello d’ingresso. In molti uffici si lavora in inglese, dato che il personale tedesco spesso è in minoranza rispetto agli stranieri. E così in tante altre ditte più o meno grandi diffuse sul territorio. Nel capoluogo del Baden-Württemberg oltre il 40% della popolazione è di origine straniera, percentuale che sale al 60% per coloro che hanno meno di 18 anni.

Eppure, a ben scavare, esiste anche qui una zona oscura, per quanto non subito visibile. Anche nei pressi di Stoccarda si sono verificati casi di roghi ai centri di accoglienza. Un altro dibattito che ha tenuto banco in questi mesi è quello legato a PEGIDA, il movimento degli “europei patriottici contro l’islamizzazione dell’occidente” (questo il significato dell’acronimo). Se si trattava di appena 350 persone alla prima manifestazione a Dresda il 20 ottobre 2014, queste “passeggiate serali” – come le definiscono i partecipanti – sono proseguite per oltre un anno fino ad oggi, prendendo piede altrove.

Eppure il movimento fondato da Lutz Bachmann – graphic designer con alle spalle tre anni di prigione per furto – ha sempre stentato ad affermarsi al di fuori dai territori dell’ex DDR. Anche in un momento così grave, il movimento xenofobo non è riuscito a raccogliere nella manifestazione del 10 gennaio a Colonia che 1.700 manifestanti, di cui la metà hooligan, presto dispersi dalla polizia. Con un paradosso di cui ha parlato spesso la stampa tedesca, la xenofobia prende piede in Germania soprattutto nelle regioni che hanno un minor numero di migranti e rifugiati.

Se non sono certo i grandi numeri, a destare preoccupazione è semmai l’odio di questa gente. Faccio una piccola parentesi personale: mi è capitato in questi giorni, commentando su Twitter i fatti di Colonia, di essere preso a bersaglio da esponenti di Pegida e dell’estrema destra tedesca (e non solo: anche britannica, americana e scandinava). Non mi va di fare la vittima: non era e non sarà l’ultima volta che, facendo giornalismo, vengo preso di mira sulla rete da esaltati vari e troll – una cosa che capita purtroppo a un numero crescente di colleghi. Qui a stupire, semmai, è il livello di accanimento. Un’ondata di insulti e minacce, per nulla generiche, piovutomi addosso nel giro di una giornata, finché non mi sono deciso a bloccare una ventina di profili. La ragione? Semplice, perché ho sostenuto e continuo a pensarla come segue: vivo in Germania e non ho paura, nonostante tutto.

Il Paese è sicuro, molto più di tanti altri in Europa, incluso il nostro. E se anche la stagione della Merkel può volgere al tramonto – cosa peraltro normale dopo tanti anni di potere – non sarà certo rimpiazzata dall’ascesa di forze xenofobe o da nullafacenti che invocano le ruspe. Un messaggio capace di fare perdere le staffe a molti, a quanto pare. Ma questa è la realtà di chi questo Paese lo vive da dentro.

Simone Zoppellaro

Analisi di Simone Zoppellaro, giornalista

13 gennaio 2016

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