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​Grazie Angela Merkel, grazie Armin Wegner

di Gabriele Nissim

Negli anni ’30 Armin Wegner, come un ingenuo Don Chisciotte, ha perso tutte le sue battaglie. Denunciava l’indifferenza dell’esercito tedesco nel genocidio degli armeni e non fu preso in considerazione; credeva nella Germania dei Lumi e si aspettava di essere ascoltato dal Führer dopo la sua famosa lettera in difesa degli ebrei; immaginava che la Germania buona sarebbe stata capace di rialzarsi in piedi, e lo spiegava persino ai suoi carcerieri quando nel campo di concentramento venne preso a frustate; auspicava che la Germania potesse diventare un esempio morale per i popoli europei, mentre invece il suo messaggio antisemita veniva accolto con grande soddisfazione in tutta l’Europa centro orientale.

In Ungheria fu approvata nel 1938, poco prima che la Germania le “riaffidasse” parte della Slovacchia e della Rutenia carpatica, la prima legge antiebraica nell’Est europeo, che limitava la presenza degli ebrei in tutti i settori professionali. La legge per la difesa della razza equiparava l’ebraismo alla tubercolosi: per potersi sposare si doveva dimostrare che l’anima gemella non aveva sangue ebraico, così come era necessario esibire un certificato medico che indicasse l’assenza di Tbc.

In Bulgaria il re Boris mandava nel 1940 il suo fedele consigliere Alexander Belev in Germania a studiare le leggi di Norimberga, per poterle applicare in un Paese che fino ad allora era stato un esempio di accoglienza nei confronti degli ebrei e degli armeni.

Nella stessa Polonia che si sentiva minacciata dalla Russia e dalla Germania esisteva un movimento nazionalista, guidato da Roman Dmowski - leader di Endecja - che sosteneva che gli ebrei, per il carattere della loro razza, avrebbero distrutto l’anima della nazione polacca, e proponeva la loro emigrazione in Madagascar. Così il primo ministro Slawoj-Skladkowski, forte dell’appoggio popolare, lanciò nel 1936 una campagna di boicottaggio economico nei confronti della presenza ebraica. Il suo sogno era di mettere gli ebrei ai margini dell’economia, in modo da costringerli a lasciare il Paese.

Così la peggiore Germania della storia influenzava i suoi vicini, e quando le truppe del Reich, con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, si disposero in Europa centro orientale e si misero all’opera per la soluzione finale, trovarono la complicità dei collaborazionisti e dei movimenti filonazisti in Ucraina, Cecoslovacchia, Ungheria, Bulgaria, mentre nella Polonia occupata scarsissima fu la solidarietà nei confronti degli ebrei.

Non si possono fare dei banali paragoni tra quanto accadeva ieri nei Paesi dell’Europa centro orientale nei confronti egli ebrei e i muri politici e ideologici che si costruiscono oggi con i mattoni e con delle parole malate nei confronti del fiume di immigrati che arrivano dall’Africa e dal Medio Oriente.

Un dato però è certo. La storia sembra capovolgersi. La Merkel con la sua coraggiosa decisione di aprire le sue frontiere e di accogliere mezzo milione di immigrati all’anno ha cambiato tutto il quadro politico.

Nei confronti di tutti i Paesi del centro Europa che si sentono minacciati nella loro identità per la presenza ai loro confini di uomini di culture diverse la Germania ha lanciato un messaggio forte e chiaro.

L’accoglienza e il dialogo con l’altro sono l’elemento fondante della cultura e della civiltà europea; chi si sottrae e si chiude a riccio per paura e per egoismo vuole riportare l’Europa ai tempi bui degli anni ‘30.

La Germania non vuole più essere un esempio negativo. Vuole influenzare con il suo esempio morale tutti i Paesi che tra le due guerre furono trascinati dal suo odio per gli ebrei e il diverso, e che oggi rischiano di ripercorrere la stessa degenerazione nei confronti degli immigrati.

Nelle parole della Merkel e di tanti intellettuali tedeschi oggi riecheggiano i più alti valori della Bildung e dell’illuminismo tedesco a cui Armin faceva riferimento nella sua solitaria protesta contro il nascente hitlerismo.

Lo scrittore tedesco allora perse la sua battaglia, ma se oggi la Germania è cambiata lo dobbiamo a uomini come lui.

Grazie Armin Wegner, grazie Angela Merkel. Possiamo ancora credere nell’Umanità.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

9 settembre 2015

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