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I dilemmi della memoria

di Gabriele Nissim

Esiste un grande dilemma per chi è sopravvissuto ad un genocidio. Deve rivolgersi esclusivamente al passato per ricordare le vittime ed assumersi una responsabilità nei loro confronti, o deve rivolgere lo sguardo al presente per impedire che un nuovo genocidio si ripeta? Deve fare rivivere con la memoria le vittime nel tempo presente, o deve impegnarsi per salvare ed aiutare chi rischia di soccombere oggi? 
Se rivolge lo sguardo solo al presente, non rischia di lasciare nell’oblio i perseguitati di ieri che senza una narrazione continua sembrerebbero così morti inutilmente e non sarebbero di monito verso una società distratta?
Se invece vive solo con gli occhi concentrati nel passato, non rischia invece di diventare indifferente ai nuovi mali che si presentano di continuo nella storia?

Una bella metafora di Walter Benjamin che riprende un quadro di Paul Klee fotografa questo dilemma: l’angelo della storia vorrebbe riscattare il passato, ma il moto continuo del tempo gli impedisce di assolvere questo compito e lo rigetta nel presente. Cosa fare dunque? Arrendersi alle sconfitte del passato o rimanere inerme di fronte alle possibili nuove catastrofi?
Se si ritrae dal tentativo di dare vita al passato, non è forse irresponsabile verso gli sconfitti? Ma se è inerme nel presente, non diventa forse un uomo passivo?

Chi ha a cuore la memoria vive spesso questa contraddizione.
Un bel video di Matan Rochlitz, prodotto in collaborazione con il New York Times, racconta questo dilemma esistenziale.
È una storia accaduta in Francia al momento della deportazione degli ebrei francesi. Klara una giovane ebrea di vent’anni, militante antifascista, è profondamente innamorata di suo marito Philippe e sogna il futuro. Non vuole morire, ma vuole resistere. Viene arrestata con suo padre e suo marito un anno dopo il matrimonio.
Ha compreso il suo destino. Quando il treno parte per Auschwitz progetta con il suo Philippe di saltare dal treno. Vorrebbe farlo anche con suo padre, ma è impossibile perché è gravemente malato e dà pochi segni di vita.
Cosa fare? Accompagnare il padre nei suoi ultimi giorni di vita, o saltare con suo marito abbandonandolo alla sua sorte?
Philippe preme dicendole che nessuno ha una speranza di vita su quel treno. Tutti moriranno. Lei invece si sente in colpa e non vuole saltare senza suo padre. 
Ha una sola possibilità: buttarsi dal vagone mentre il treno attraversa il Belgio. Gli altri prigionieri cercano di dissuaderla. Se lei salterà, forse ci sarà una rappresaglia. Philippe risponde loro che il destino comunque è segnato per tutti e quindi l’unica possibilità è la fuga.
In lunghe e interminabili ore Klara interroga la sua coscienza. Poi decide alla fine di saltare e così riesce con suo marito a sopravvivere alla Shoah.

Ma la vita per lei non è più normale. È continuamente attraversata da terribili rimorsi di coscienza per avere abbandonato suo padre.
Un giorno, durante un viaggio in Israele nel 1962, sente per la strada una voce che la chiama. Si volta e si accorge che si tratta di una donna che con lei era salita su quel treno. Il passato ancora una volta sembra perseguitarla.
“Clarette, l’ho cercata per venti anni, perché volevo lasciarle un messaggio di suo padre. Improvvisamente in quel viaggio si era svegliato e mi aveva pregato di portale un messaggio se mi fossi salvata anche io. Era contento per il suo salto, perché come padre si sentiva felice per la sua salvezza. Non doveva sentirsi in colpa per averlo abbandonato.”
Importante era vivere e occuparsi dei vivi.

È forse questa la risposta migliore ai dilemmi della memoria.
Si è responsabili per le vittime, quando si cerca di salvaguardare la vita degli altri.
Non è una strada facile, ma a un certo punto l’angelo della storia deve scegliere.
L’unico modo per riscattare il male del passato è preservare la vita nel tempo presente. Con tristezza e sofferenza è il compito difficile di tutti i sopravvissuti.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

27 aprile 2018

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