
Proponiamo di seguito l'intervento del presidente di Gariwo Gabriele Nissim al terzo Incontro Internazionale di GariwoNetwork al Palazzo delle Stelline di Milano.
Oggi la presenza di così tanti giovani e insegnanti, assieme ai rappresentanti di 130 Giardini e di 12 Paesi, ha un grande significato: siamo diventati portatori di una intuizione che non esisteva prima e che ha lasciato il segno. Abbiamo introdotto un concetto nuovo e lo abbiamo fatto vivere: quello dei Giusti di tutto il mondo. Un Giusto che salva un ebreo, un armeno, un curdo, un perseguitato in Cina o in Corea non salva qualcuno, ma l’umanità intera.
Fino ad oggi si è verificato spesso un equivoco, anche se mai esplicitato. Quando si parlava di Giusti si riteneva (pur sostenendo il contrario) che riguardassero la memoria solo del popolo che veniva oppresso. Invece, si deve affermare l'idea che ogni volta che accade un genocidio viene ferito il mondo intero. Per questo motivo, un Giusto che va in soccorso di un uomo di una minoranza perseguitata diventa sempre un custode di tutta l’umanità. E i Giusti non esistono per un solo contesto storico, anche se è stato il peggiore, ma in ogni circostanza ci sono uomini coraggiosi e responsabili che agiscono per difendere la dignità umana (e direi oggi anche il pianeta).
Noi parliamo della pluralità dei Giusti, anche perché, in un mondo sempre più condiviso, esiste una responsabilità globale. Ecco perché lavoriamo per la costruzione di Giardini in ogni parte del mondo, e vorremo che la Giornata dei Giusti da europea e italiana diventasse una giornata riconosciuta anche dalle Nazioni Unite. Non perché forse cerchiamo l’impossibile, al di là delle nostre forze, ma perché riteniamo che in nome dei Giusti dobbiamo unire l’umanità. In una situazione dove i nazionalismi e i fondamentalismi ritengono che le persone si proteggano dal demonio del mondialismo mettendosi l'una contro l'altra. Questa è la più grande stupidità del nostro tempo, che rischia di portarci da parole di odio pronunciate sui social, nella politica, nelle relazioni internazionali a nuove guerre.
Oggi senza una condivisione non si possono affrontare i problemi globali, come ha scritto con grande lucidità Noah Harari. Ci possiamo salvare soltanto tutti assieme. E i Giusti ci indicano la strada per farlo. Non potremmo affrontare le migrazioni, i cambiamenti climatici, la povertà se non insieme. Rischiamo di essere irrilevanti e assistere impotenti alle crisi del nostro tempo.
Quale è allora la nostra metodologia? Noi crediamo nella memoria attiva. Partiamo dal passato del Novecento, dai genocidi e dai totalitarismi per affrontare il presente. Non vogliamo cadere in una memoria malinconica e depressiva. Pensiamo che le vittime si riscattino anche con la nostra responsabilità nel tempo presente. Ce lo ha ricordato in questi giorni Liliana Segre, che voluto con tutte le sue forze che la memoria di Auschwitz ci servisse a prendere una posizione contro le parole malate di odio che ritroviamo nel dibattito pubblico. Ricordare non serve a niente, se non ci rende migliori. Ecco perché raccontiamo le storie dei Giusti.
Il male non era uno tsunami, come scriveva la Hillesum, ma un campo di battaglia, tra buoni, cattivi e indifferenti.
Ricordiamo i Giusti perché hanno fatto del bene e si sono assunti una responsabilità andando contro corrente. Oggi li celebriamo come buoni, ma allora erano dei rompiscatole, una minoranza. Davano fastidio. E anche per i Giusti di oggi vale lo stesso.
Pensiamo ai giovani di Hong Kong, ai giovani iraniani, alle donne che vogliono la libertà e l’autodeterminazione nei Paesi fondamentalisti. Con i Giardini dei Giusti tutti noi possiamo diventare pescatori di perle, come scriveva Walter Benjamin, che invitava così a riportare alla luce le storie di umanità nascoste nel passato che ci danno speranza per il futuro.
Non vogliamo che i Giusti siano relegati nel caveau di un museo a cui nessuno può accedere. Non permetteremmo mai che un quadro di Raffaello venisse sottratto all’ammirazione della gente e nascosto in un luogo inaccessibile. La stessa cosa deve valere per le storie dei Giusti: dobbiamo renderle fruibili da tutti.
Perché è importante esprimere la gratitudine? La conoscenza della persona buona ci dà speranza per il futuro. Le persone giuste ci fanno bene. Creano stupore e meraviglia. Permettono di sognare un mondo diverso. Ricordare i Giusti è un dovere morale che ci dà sollievo e ci permette anche dopo i momenti più difficili di ricominciare. È un dovere particolare che ci appaga, quindi non è mai una fatica o un sacrificio.
Parliamo dei Giusti di ieri assieme a quelli di oggi perché è la comparazione che permette di interrogarsi sui meccanismi della responsabilità. Non c’è una ricetta a priori per comprendere il tragitto della scelta di un individuo di fronte alle sfide della Storia, perché il meccanismo interiore cambia di situazione in situazione, ma se si fanno paragoni tra i diversi contesti se ne capisce meglio lo spirito. Lo spiegava bene il grande filosofo Pierre Hadot, che vedeva in questo modo il meccanismo della responsabilità di fare la scelta: uscire dal proprio ego e guardare il mondo dall’alto e da un punto di vista universale; mettersi sempre nei panni degli altri e guardare il mondo da diverse prospettive; considerare sempre la fragilità della vita umana che ci rende tutti simili gli uni agli altri.
Il tema dell'educazione alla scelta è il compito fondamentale dei Giardini.
Poco prima della sua scomparsa, Agnes Heller ha colto nel suo ultimo saggio la contraddizione della condizione umana nella modernità, almeno per quanto riguarda i Paesi democratici. Tutti gli esseri umani nascono liberi, come diceva Rousseau, ma poi rimangono spesso in catene.
Non è una contraddizione. Oggi tutti gli Stati fanno riferimento ai diritti umani, almeno teoricamente, ma poi gli esseri umani nati liberi sono nella posizione di decidere di non usufruire della propria libertà perché troppo spesso non amano scegliere, e perché preferiscono che qualcuno lo faccia al loro posto. È quella che La Boétie, amico di Montagne, chiamava la servitù volontaria. Si può dunque scegliere la libertà, ma anche la non libertà. E gli Stati fanno la stessa cosa: nelle loro costituzioni si rifanno ai diritti sanciti dalle Nazioni Unite, ma poi sopprimono la libertà.
Ma come i Giardini possono insegnare la scelta? È un tema fondamentale della filosofia di Gariwo. Il metodo è quello della comunicazione indiretta. Nel Giardino non si fanno prediche ma si raccontano storie che insegnano a pensare. Non c’è niente di peggio che un richiamo morale che si presenta come un ordine perentorio o una verità assoluta. Come osserva ancora Pierre Hadot: “Se si dice direttamente: fate così o fate colà, si detta una condotta con un tono di falsa certezza. Invece, grazie alla descrizione dell’esperienza spirituale vissuta da un altro, si può lasciare intravvedere e suggerire un atteggiamento spirituale, lasciare cogliere un richiamo che il lettore ha la libertà di accettare e di rifiutare. Sta a lui decidere. È libero di credere o di non credere, di agire o di non agire”.
I Giardini devono allora comunicare gli ambiti in cui oggi l’essere umano è chiamato a scegliere. Per questo motivo, attorno ad essi, bisogna trasmettere una conoscenza del tempo in cui si vive. Cercare di indicare possibili itinerari e comportamenti virtuosi possibili nel nostro tempo. In cui ogni individuo può esercitare la sua libertà. Oggi siamo chiamati a scegliere sulla difesa e la cura del pianeta; tra la responsabilità globale e i nazionalismi; sul futuro dell’Europa; sulla democrazia politica o quella illiberale; sulla pace e la non violenza contrapposta alla guerra; sulla resistenza al terrorismo e sulla questione del fondamentalismo religioso. Dobbiamo scegliere tra la ragione e la stupidità.
Ciò che ha elaborato Hannah Arendt attorno a La banalità del male, in cui sosteneva che gli uomini commettono i crimini peggiori quando si astengono dal pensare, è oggi di grande attualità. Gli stupidi che sono al governo in molti Stati fanno le cose peggiori, anche perché le persone decidono di seguirli nel non pensare. Scegliere non significa solo fare un click sui social, ma metterci la faccia in tutti gli ambiti della vita. I Giardini, ricordando i Giusti, devono essere in grado di indicare comportamenti virtuosi. Non dobbiamo infatti dimenticare che i germi del male non sono mai evidenti, ma si presentano gradualmente nella quotidianità - come sosteneva Primo Levi - prima di esplodere nelle pratiche peggiori.
Un tema che affrontiamo oggi è quello della risposta ai meccanismi dell’odio e del disprezzo che vediamo nei social media e nella politica. Oggi assistiamo a due fenomeni: il primo è l'uso dei social da parte dei politici per campagne che generano disprezzo e creano nemici tra la gente; una volta i dittatori manipolavano le persone attraverso le piazze, oggi lo fanno con uso spregiudicato dei social e un utilizzo di fake news. In secondo luogo, vediamo che questo meccanismo di attacco sistematico delle persone, di insulto verso l’altro, è entrato purtroppo nella comunicazione della gente comune. Per questo proponiamo una Carta delle responsabilità dei social media che stimoli le persone a creare una società parallela (secondo l’insegnamento di Havel) che vigili sull’odio e sulle fake news, e dove le persone apprendano a parlare con garbo e rispettando l'altro. Se le persone si abituano a questo comportamento virtuoso, sarà più facile isolare gli odiatori di professione, e porre un freno alla politica del disprezzo personale in politica. Dobbiamo creare un Web di amici e non di nemici. Un secondo tema che affrontiamo è quello di contribuire nello sport ad una contesa buona, come diceva il poeta greco Esiodo, che stimoli al rispetto dell’avversario e all’amicizia nella competizione, nel tifo e nella narrazione degli avvenimenti sportivi. Sappiamo che dallo sport possono nascere comportamenti virtuosi, come ha insegnato Nelson Mandela che attraverso il rugby ha contribuito alla riconciliazione tra bianchi e neri. Oppure, come è accaduto il 13 marzo 1990 nella partita di calcio tra la Dinamo Zagabria e la Stella Rossa, può iniziare l’odio etnico fino ad una guerra civile. Per questo abbiamo scritto una Carta delle responsabilità nello sport sottoscritta da grandi campioni olimpici, da atleti di tutte le discipline e da grandi firme del giornalismo.
Ci impegneremo nei nostri Giardini a fare conoscere ai giovani gli atleti Giusti come esempio per la società: da Gino Bartali, al maratoneta etiope Feyisa Lilesa, alla nuotatrice siriana Yusra Mardini, al mezzofondista Emil Zatopek, all’algerina Hassiba Boulmerka.

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo