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I Giusti: commento al metodo Gariwo

di Stefano Galazzo

“Per responsabilità si intende la possibilità di prevedere gli effetti del proprio comportamento e quindi di modificarlo in base a tale previsione. Viene messo perciò in gioco immediatamente il fattore consapevolezza, cioè la coscienza delle conseguenze delle proprie azioni. Anche nel linguaggio comune si dice di una persona che è responsabile quando tiene conto degli effetti del proprio comportamento sugli altri, ovvero, tout court, tiene conto degli altri. (...) Dal punto di vista etimologico il termine responsabilità deriva dall’aggettivo “responsabile”, a sua volta derivato dal verbo denominativo latino “responsare”, da “responso”, che rimanda a “responsum” e quindi al verbo “respondere”, cioè rispondere. In latino però “respondere” non significa solo, come è evidente, rispondere, ma anche “ricambiare” o “rispondere a un impegno”. Significa cioè rispondere a un appello, presentarsi, comparire (potremmo dire: esserci) e significa anche contraccambiare, stare dirimpetto, esser posto di fronte. “Respondere” è composto dal prefisso “re” e dal verbo “spondere”. Se ci chiediamo cosa vuol dire “spondere” scopriamo che significa “promettere”. Ma significa anche “farsi mallevadore”, “far garanzia”, “garantire”. Anche “sposa” ha questa derivazione, nel senso che la sposa è quella che è stata promessa. L’odierno termine inglese di sponsor ha la stessa origine. Come si vede da questo rapido excursus, il concetto di responsabilità rimanda, nella sua sostanza etimologica originale, a un “ricambiare qualcosa” e a una “promessa” (da mantenere); in altri termini possiamo dire che implica l’assunzione di un impegno verso l’altro e quindi la necessità di compiere azioni atte a mantenerlo.” 

Mi piace molto questa breve spiegazione etimologica della parola responsabilità perché pone l’accento su due aspetti fondamentali: il primo è l’impegno nei confronti di una persona, che si trova “davanti” a noi, quindi con la nostra stessa dignità; il secondo è la cura delle proprie azioni, la consapevolezza che ciò che noi facciamo ha delle conseguenze nel mondo che ci circonda. Alla radice di “responsabilità” c’è insomma la risposta che noi, quotidianamente, dobbiamo dare a chi ci sta vicino, la consapevolezza che nessuno è un’isola ma vive in stretto contatto con gli altri, e che ognuno si attende, in modi diversi e a seconda del posto che occupa nella nostra vita, che noi agiamo nei suoi confronti secondo delle aspettative che dobbiamo imparare a decifrare di volta in volta. Ognuno di noi, insomma, nel proprio luogo di lavoro, a scuola, in famiglia, nelle varie situazioni che la vita gli offre, è continuamente chiamato a essere responsabile, cioè a essere attento, a domandarsi qual è, in quel preciso contesto, la cosa più giusta da fare, nel rispetto dell’altro.

I Giusti sono tutti coloro che, nei momenti bui della storia, sono stati capaci di preservare la loro umanità attraverso dei gesti concreti, con cui sono andati incontro a chi era considerato meno di un uomo, o era oppresso per le sue idee; sono tutti coloro che hanno difeso la dignità umana, assumendosi una precisa responsabilità: quella di non tradire mai l’essenza dell’uomo, che è fatta di libertà, empatia nei confronti dell’altro, bontà. I Giusti sono, insomma, quegli uomini che, nel silenzio più totale, hanno mostrato, nella concretezza poco appariscente del loro quotidiano, cosa significa certamente essere responsabili, ma soprattutto cosa significa essere uomini.

Mi sembra dunque altamente educativo e formativo il fatto che esistano dei luoghi in cui vengono ricordati quegli uomini che attraverso la loro vita hanno consentito ad altri uomini di non perdere la speranza, che sono stati luce ed esempio di umanità in contesti dove tutto ciò non era scontato. I giovani devono imparare dalle loro gesta, dalla loro grande umiltà, dalla loro capacità di cogliere ciò che è giusto fare nel proprio tempo, a volte rischiando in prima persona. Devono indagare i segreti di quell’umanità che i Giusti rappresentano, e non è nient’altro che l’essenza di ciò che siamo, il significato ultimo del nostro essere qui, ora. Nei Giusti possono cioè trovare motivi di ispirazione per vivere la propria vita in pienezza, consci che il mondo, mi verrebbe da dire: il futuro, si attende da loro azioni capaci di creare positività, bene, solidarietà.

I Giardini sono un punto di partenza, un luogo in cui meditare sulle azioni di grandi uomini, capaci di interrogarci e invitarci a lottare per un mondo migliore.

Mi viene però una riflessione. I Giusti ricordati nei Giardini sono uomini che hanno compiuto delle azioni particolari in momenti bui della Storia: penso alla Shoah, ma anche ai gulag russi o alle dittature dell’America Latina, o ancora ai magistrati o alle persone comuni che hanno lottato contro la mafia. I giovani possono trarre sicuramente ispirazione da tutte queste storie che rappresentano il punto più alto dell’umanità, la testimonianza che si può rimanere integri moralmente se si ha il coraggio di agire seguendo la propria coscienza. Ciò che però mi chiedo è una cosa molto semplice: può darsi che solo parte dei giovani che leggono le storie dei Giusti si troverà, nel corso della propria vita, in situazioni simili a quelle vissute dagli uomini di cui hanno approfondito le vicende; magari solo qualcuno vivrà in una dittatura. In che modo dunque potrà fare sue le storie dei Giusti, farle ridiventare vita? E poi, se non si troveranno in situazioni estreme, in che modo i giovani potranno, a loro volta, essere Giusti?

La maggior parte di noi giunge solo in rari momenti alla piena coscienza del fatto che non abbiamo assaporato il compimento dell’esistenza, che la nostra vita non è partecipe dell’esistenza autentica, compiuta, che è vissuta per così dire ai margini dell’esistenza autentica. Eppure non cessiamo mai di avvertire la mancanza, ci sforziamo sempre, in un modo o nell’altro, di trovare da qualche parte quello che ci manca. Da qualche parte, in una zona qualsiasi del mondo o dello spirito, ovunque tranne che là dove siamo stati posti: ma è proprio là, e da nessun’altra parte, che si trova il tesoro. Nell’ambiente che avverto come il mio ambiente naturale, nella situazione che mi è toccata in sorte, in quello che mi capita giorno dopo giorno, in quello che la vita quotidiana mi richiede: proprio in questo risiede il mio compito essenziale, lì si trova il compimento dell’esistenza messo alla mia portata” .

Trovo in queste parole di Martin Buber la risposta migliore alle domande che ponevo. I giovani che leggeranno le storie dei Giusti, che si fermeranno davanti all’albero che ricorda le gesta dell’uomo di cui hanno approfondito la vita, che passeggeranno lungo i sentieri del giardino, non sono chiamati a compiere necessariamente grandi imprese, a imitare chi ha già fatto il bene, ma semplicemente a trovare una loro strada, a comprendere, alla luce di quegli esempi, come agire giorno per giorno, come affrontare il male che può manifestarsi anche attraverso piccoli e apparentemente insignificanti segnali. Sono chiamati a sentirsi, proprio lì dove sono, nella realtà di cui fanno parte, piccole luci in grado, con la semplicità e la spontaneità della loro giovinezza, di accendere un immenso falò di speranza. Non si è Giusti solo quando si vive negli snodi della Storia; si è Giusti quando, giorno per giorno, si cerca di vivere con onestà e coerenza, cercando di rispondere alle mille sfide che la vita ci offre, nel rispetto della nostra coscienza e di chi condivide con noi il cammino dell’esistenza.

Analisi di

26 aprile 2023

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