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I Giusti e il male

di Francesco M. Cataluccio

Alla memoria di Krzystof Michalski

  
“Viene da pensare che il male è semplice da realizzare. Se qualcuno ha in mente di farlo, ci riuscirà. È il contrario che è difficile e sempre fragile e perdibile in ogni momento”, ha notato lo scrittore napoletano Silvio Perrella, dopo aver visitato, la scorsa estate, il campo di sterminio di Majdanek, alla periferia di Lublino. Ma che cos’è il “contrario del male”? Se il male è un’azione, il suo contrario deve esserla altrettanto: un’azione che fa del bene. Vengono in mente i duri e amari versi della poesia A un papa (1958) di Pier Paolo Pasolini:

Lo sapevi, peccare non significa fare il male:
non fare il bene, questo significa peccare.
Quanto bene tu potevi fare! E non l’hai fatto:
non c’è stato un peccatore più grande di te

Quindi Male è: non fare il suo contrario. Le azioni “difficili e sempre fragili e perdibili in ogni momento” sono il Bene. E bisogna concentrarsi su queste azioni fragili e precarie. Esse sono le azioni dei Giusti. I Giusti sono coloro che fanno il Bene per gli altri.

Nella riflessione degli ultimi decenni, la nozione e la percezione del Giusto è cambiata. Nella Bibbia era il perno di una trattativa tra Dio e Abramo che cercava di salvare dalla distruzione le città di Sòdoma e Gomorra, luoghi di peccato e corruzione senza speranza. Inizialmente, a Dio sarebbe bastato che si trovassero cinquanta giusti per salvare le due città. Poi, Abramo contrattò che si scendesse da cinquanta a quarantacinque, da quaranta a trenta, a venti. Dio, alla fine, si accontentò dell’irriducibile numero di dieci. Ma purtroppo ne venne trovato uno solo, di nome Lot, che era figlio di Aran e nipote di Abramo e la distruzione fu inevitabile. Dieci giusti avrebbero salvato quelle città: ma non ce n’erano.

Nella tradizione delle interpretazioni successive, l’idea di Giusto divenne qualcosa di grandioso e carico di reponsabilità: ci sono 36 Giusti che reggono il mondo. Applicando i computi della Kabbalah, la frase “Beati coloro che sperano in Lui” (Isaia, 30, 18), diventa: “Beati coloro che sperano nei 36”.
Ma, col tempo, si comprese che non era una questione di numeri e che si dovevano forse rivedere i criteri di perfezione legati al concetto di Giusto. Dopo l’immane e insensata tragedia dell’Olocausto, l’ebreo polacco Moshe Bejski, uno dei sopravvissuti grazie alla Lista di Oskar Schindler, decise di istituire una Commissione che valutasse, caso per caso, i comportamenti di persone che, mettendo a repentaglio la propria vita, avevano salvato almeno un ebreo dall’uccisione. Questi sono i moderni Giusti, perchè “chi salva anche soltanto una vita, salva l’umanità intera”. Nel Giardino dei Giusti di Yad Vaschem, sul Monte della Memoria, a Gerusalemme, viene così piantato un albero in memoria di ciascuno di loro (Cfr. G. Nissim, Il tribunale del bene, Mondadori, Milano 2003).

I criteri di scelta dei Giusti moderni sono stati, comprensibilmente, dopo accese discussioni, adattati alla realtà di un mondo sempre più complicato, nel quale il bianco e il nero non sono quasi mai ben distinti. Anche, ad esempio, un tedesco come Oskar Schindler (industriale con pochi scrupoli, beneficiario e collaboratore della macchina nazista, e dalla vita privata non proprio irreprensibile), venne ritenuto Giusto perché, ad un certo punto, aprì gli occhi e, mettendo a repentaglio la sua vita, salvò i suoi lavoratori ebrei e le loro famiglie.
I Giusti oggi non sono delle figure che riguardano soltanto la storia ebraica, ma tutti coloro che si si sono dati, e si danno da fare, anche a rischio della propria incolumità, per salvare persone perseguitate, di qualsiasi razza, fede e ideologia essi appartengno. Questi sono i criteri che stanno alla base delle varie Foreste dei Giusti che sono fiorite e stanno nascendo in varie città d’Europa, come quella del Monte Stella a Milano.

Tornando alle “azioni contrarie al Male”, è ovvio che il discorso vada allargato a considerare personaggi che hanno predicato, e predicano, la pace e la tolleranza, la giustizia e la solidarietà, mettendole al centro delle proprie azioni politiche e sociali. È come se ora si sentisse la nacessità di guardare più avanti e immaginare di poter considerare Giusti anche coloro che pongono le basi per  la pacifica convivenza tra le persone e i popoli e si battono per un mondo nel quale l’odio e la sopraffazione non abbiano più la possibilità di prevalere. Oggi noi vogliamo parlare anche dei “Giusti in anticipo”: di coloro che hanno seminato e seminano quelle pianticelle che fermeranno l’odio. È un po’un ritorno all’antica concezione dei Giusti: una sorta di Atlanti che sorreggono, con il loro pensiero e la loro azione, il nostro mondo. Per capirci, basta un esempio come quello del boemo Václav Havel, che è stato artefice: di una resistenza non violenta al totalitarismo; dell’abbattimento non traumatico del vecchio regime; della separazione pacifica di due popoli che, malgrado gli sforzi suoi e di molti cittadini dalla mente aperta, ritenevano di non poter più vivere assieme; di una battaglia ideale e politica per un’Europa basata sui valori migliori della sua tradizione. Havel ha dedicato la sua vita (con molti anni trascorsi in carcere) a far trionfare questi valori di umanità e tolleranza, per un mondo che non abbia più bisogno di gesti isolati di Giusti, ma sia il più possibile fatto di tanti, anche piccoli, individui che si relazionano in modo virtuoso tra loro, riconoscendo come guida il principio di morale pratica enunciato da Immanuel Kant: “Sia sempre l’altro il fine e mai il mezzo delle mie azioni”.
   

Francesco M. Cataluccio

Analisi di Francesco M. Cataluccio, Responsabile editoriale della Fondazione Gariwo

14 febbraio 2013

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