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I Trentasei Giusti

di Laura Quercioli Mincer

In ogni generazione, racconta un’antica leggenda che origina nel Talmud, ci sono sulla terra almeno Trentasei Giusti. Né belli né brutti, forse la qualità che meglio li contraddistingue è l’irritante banalità delle loro persone. Fanno mestieri umili: ciabattino, sarto, portatore d’acqua. Mestieri onesti ma privi di fulgore: vigile urbano, muratore, carrozziere. Non so se anche le donne possano esservi incluse. In tal caso sarebbero: commesse, badanti, shampiste. Le altre occupazioni predilette dai Giusti includono: scemo del villaggio, mendicante, prostituta. Uno di loro, in ogni generazione, è il Messia. Un Messia in attesa, dormiente, ma pronto a destarsi nel momento in cui il mondo sia maturo per accoglierlo. Da loro dipende la sopravvivenza stessa dell’Universo. È grazie a loro che esso mantiene quel livello minimo di accettabilità etica che, come nel caso dei dieci giusti a Sodoma, è in grado di prevenirne la distruzione. Poiché le lettere ebraiche hanno un corrispettivo numerico, essi vengono chiamati i lamed-vav (la lettera lamed ha il valore di 30, la vav di 6) o più spesso ancora, in yiddish, i lamed-vovnik. Hanno l’obbligo di non rivelare mai a nessuno la loro identità e di mostrare le qualità nascoste solo in caso di pericolo reale per la collettività. Ma anche in questo caso, dopo aver porto l’aiuto necessario, torneranno alla loro esistenza anonima. Un po’ come Superman-Clark Kent e forse non a caso, dato che Jerry Siegel e Joe Shuster, i creatori dell’esule di Krypton, avevano contrabbandato nel personaggio molte delle loro conoscenze ebraiche. Secondo alcuni esegeti, sarebbero lamed-vovnik anche il Serious Man di Joel e Ethan Coen, o i Men in Black dell’apparentemente poco cabalistico regista Barry Sonnenfeld; in effetti la ricerca dei Giusti nascosti può richiedere una vita intera – e per molti diventa un’occupazione a tempo pieno. Solo ai più saggi, ai leader della loro generazione però è concesso conoscerne l’identità. Questo fu il caso del Baal Shem Tov (1699-1760), il fondatore del chassidismo, che di nascosto inviava aiuti economici ai Giusti in perenne bolletta, e del suo acerrimo nemico, il razionalista Gaon di Vilna (1710-1798), considerato una delle menti più eccelse dell’ebraismo di tutti i tempi. Vedremo qui che a volte il lamed-vovnik sa di essere un eletto: in certi casi, come vittima di un lapsus, lascia trapelare la conoscenza profetica di cose ultramondane. Al termine della sua vita, così si racconta, il Gaon aveva deciso di recarsi in Eretz Israel, la Terra Santa d’Israele. Come suo unico accompagnatore aveva designato in gran segreto un lamed-vovnik. Grande fu lo stupore in una distilleria di Vilna quando vi arrivò una lettera di pugno del Gaon stesso, che invitava solennemente uno degli operai ad accompagnarlo in quel viaggio. Più grande ancora stupore e costernazione quando questi, scorso velocemente il contenuto della missiva, la gettò nel fuoco, dicendo: «Non serve». Il Gaon sarebbe morto di lì a pochi giorni, il viaggio progettato non sarebbe mai stato portato a termine.

Più spesso ancora però il Giusto non sa di essere tale ed è proprio in questa sua inerme sensibilità per il bene che risiede forse la sua caratteristica più forte e bella. Perché i lamed-vovnik sono stati identificati anche in personaggi famosi e autorevoli, le cui azioni, a molti note, ci consentono ogni tanto di inorgoglirci di appartenere al genere umano. Ma più spesso ancora si tratta di gente umile, dagli umili atti di bontà che si manifestano in piccole cose: nella gentilezza, nell’aiuto porto timidamente e senza clamore, nel rispetto per il volto dell’altro, quanto più questo ci appare scialbo e indifeso.

Nel suo libro L’ultimo dei Giusti, premio Goncourt nel 1959, lo scrittore ebreo francese di origine polacca André Schwarz-Bart (1928-2006) elabora una peculiare versione della leggenda: l’ultimo dei Giusti è infatti il protagonista del romanzo Ernie Lévy, discendente da un’antica famiglia ebraica italiana, e viene assassinato ad Auschwitz. Visto che, pur con tutti i suoi orrori consueti, il mondo per ora continua bene o male a tenere, possiamo confidare che Schwarz-Bart si fosse sbagliato. La tradizione ebraica però ci invita a non offendere il prossimo insistente lavavetri: è nelle sue mani che potrebbe trovarsi il destino dell’universo.

(da: L. Quercioli-Mincer, 101 storie ebraiche che non ti hanno mai raccontato, Newton Compton editori, Roma 2011)

Laura Quercioli Mincer

Analisi di Laura Quercioli Mincer, docente di Letteratura polacca all’Università di Genova, già docente di storia e cultura ebraica nei Paesi slavi all'Università La Sapienza di Roma

7 giugno 2022

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