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Il convegno di San Sebastian: mescolare le memorie

di Gabriele Nissim

Gabriele Nissim a San Sebastian

Gabriele Nissim a San Sebastian

“Quando nel 2016 San Sebastian diventerà la capitale culturale d’Europa realizzeremo un giardino dei giusti, per promuovere la memoria del bene, come esempio di dialogo e di conciliazione. Vogliamo insegnare ai nostri giovani il gusto della responsabilità.”

Si rivolge così, a noi di Gariwo e del Giardino del Monte Stella, Juan Gutierrez, uno degli artefici del convegno che ha radunato i rappresentanti di alcune città europee distrutte da bombardamenti durante le guerre.

Assieme ai delegati di San Sebastian, la città martoriata dalle truppe anglo-portoghesi nel 1813, c’erano esponenti di Granollers, la città distrutta da Mussolini durante la guerra civile spagnola; della famosa Guernika, il cui dolore è stato reso immortale dal quadro di Picasso; di Sarajevo, bombardata, ma non piegata dalle truppe serbe; di Wroclaw, la città polacca distrutta dai nazisti; della città tedesca di Dresda, che subì una delle più tragiche punizioni da parte degli alleati che volevano domare la forza nazista.

Juan Karlos Izazirre, di San Sebastian, ha posto nel suo intervento probabilmente il problema chiave di tutta la conferenza. Ricominciare dopo una distruzione significa due cose fondamentali: ricostruire gli edifici, ma anche ricostruire gli uomini.

Si può, infatti, “ricostruire in modo sbagliato” con una memoria di tipo vittimistico, quando invece di rielaborare positivamente il lutto si rigenera l’odio, non solo contro i carnefici di ieri, ma anche nei confronti delle nazioni vicine. Invece si tratta di insegnare ai propri cittadini che quanto è loro successo, in un passato tragico, non si deve ripetere in nessun luogo del mondo. La ricostruzione morale di una città distrutta si realizza unicamente quando i suoi abitanti crescono con una cultura di pace e sono capaci di essere aperti al dialogo con l’altro. Altrimenti le bombe non vengono più disinnescate, ma rimangono ancorate nei cuori di una generazione dopo l’altra, all’infinito.

Begona Landa Torre, rappresentante di Guernika, ha invece ricordato che durante la dittatura franchista era considerato un tabù ricordare le distruzioni naziste, perché questo avrebbe significato discutere delle responsabilità del fascismo. Soltanto negli ultimi anni è cominciato un dibattito sul senso di quella memoria terribile. Così finalmente un grande momento di rielaborazione positiva di quel passato si è avuto quando una delegazione tedesca ha visitato la città nel 1997 e ha chiesto simbolicamente perdono per i bombardamenti assassini compiuti dall’aviazione tedesca. Il riconoscimento della colpa e della responsabilità è infatti una terapia indispensabile per disinnescare un odio che altrimenti continuerebbe ad alimentarsi nel tempo. Forte di questa esperienza, che ha permesso agli abitanti di guardare con ottimismo al futuro, la città di Guernika oggi ha promosso un premio per la pace, indirizzato a tutti coloro che nel mondo lavorano per la conciliazione tra i nemici, con l’assunzione di una responsabilità per le colpe passate.

La terapia contro l’odio non è un compito facile, ha invece sottolineato Matthias Neutzer, della città di Dresda. La memoria di un passato tragico, se non viene rielaborata con un criterio universale, rischia di diventare strumento dei gruppi fanatici che la usano per chiedere vendetta, come è capitato recentemente da parte di gruppi filonazisti e di estrema destra, ma anche negli anni della guerra fredda da parte dei vecchi dirigenti comunisti della Ddr, che hanno cercato di presentare il bombardamento della città in chiave anti-occidentale e anti-europea.

Al convegno era presente anche Aaron Tovish, rappresentante  di “Majors for Peace”, una rete di città creata per mettere in guardia il mondo di fronte al pericolo delle armi atomiche.
In un colloquio privato Tovish mi ha raccontato come l’attuale sindaco di Hiroshima sia piuttosto restio a raccontare i lutti subiti dalla città giapponese, assieme alle distruzioni che hanno colpito con armi diverse, ma sempre micidiali, altre città del mondo. Quando, infatti, Tovish gli ha parlato dei massacri compiuti dal dittatore siriano Assad e lo ha invitato a fare un gesto di solidarietà nei confronti della popolazione di Damasco, si è trovato di fronte al silenzio. Il motivo di questa chiusura è stato il timore che il ricordo di altre distruzioni potesse mettere in secondo piano il dolore vissuto dai giapponesi. La bomba atomica per il sindaco rappresentava il male assoluto, che non doveva mai essere comparato con altri mali. Se ci fosse stata mescolanza, osservava il sindaco, le sofferenze dei cittadini di Hiroshima sarebbero state messe in secondo piano e dimenticate.

Questa osservazione mi ha ricordato un giudizio espressomi l’anno scorso da alcuni esponenti di Yad Vashem, che si sono mostrati reticenti a ricordare i giusti della Shoah assieme a quelli degli altri genocidi. “Se ‘mescoliamo’ - mi hanno detto - si dimenticherà con il tempo il carattere unico della Shoah”.

Così, paradossalmente, accade che in nome della memoria di un male estremo si guardi con preoccupazione a un discorso comune sulle sofferenze. Invece di creare un concerto delle memorie, che concorrono assieme per un mondo migliore, si cade nel gioco pericoloso della competizione, come se ci potesse essere una gerarchia nel dolore, con vittime di serie A e di serie B. Contro questa impostazione riduttiva si è espresso, in uno dei migliori interventi, Joseph Antiguas, il sindaco di Grannolers, che ha ricordato che, se il compito della memoria è quello di affermare l’imperativo “mai più”, allora i sindaci delle città distrutte devono avere il coraggio della comparazione e del dialogo, reagendo insieme di fronte ad ogni nuova persecuzione. Mescolare significa assumersi una responsabilità. Guardare soltanto alla propria sofferenza, anche se è stata la più terribile, significa ritirarsi dal mondo: “Poiché ho sofferto di più, non mi occupo di te.”

Ecco, allora, la deriva più sconvolgente della memoria, un baratro da evitare.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

26 novembre 2013

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