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​Il crimine si ripete

di Flavia Agnes

Donne in India

Donne in India (Foto di Gabriele Nissim)

La situazione generale rende impossibile alla maggior parte delle vittime di denunciare gli stupri, specialmente se il violentatore è una persona conosciuta e influente o se si tratta di un membro della propria famiglia.

Durante la campagna per la riforma delle leggi contro lo stupro nei primi anni ’80, che seguì la controversa decisione della Corte Suprema per il caso dello stupro Mathura, nel quale due poliziotti che avevano violentato una ragazza tra i 15 e 16 anni in una stazione di polizia furono assolti perché la giovane non era di “buon carattere” e aveva già superato i 16 anni, uno slogan coniato dal movimento per i diritti delle donne per comunicare la tragica ironia di questo verdetto, “Mathura è stata rapita due volte, prima dalla polizia e poi dai tribunali”, è di grande importanza oggi come lo era allora.

Malgrado il fatto che, negli ultimi anni, l’attenzione dell’opinione pubblica si sia concentrata su questo problema, niente sembra essere cambiato per le vittime. Tutto ciò che abbiamo ottenuto, nonostante diversi emendamenti alla legge sugli stupri, è stato renderlo più severo come deterrente. Il tasso di incarcerazioni non è aumentato affatto, ma anzi continua a rappresentare un misero 10-15 per cento. In tutti gli altri casi la vittima invece è vista con sospetto e spesso considerata una bugiarda.

Sebbene sia cambiato il nome da “vittima” a “sopravvissuta”, i processi per stupro continuano a essere strazianti, e le vittime continuano a essere umiliate non solo dagli avvocati della difesa ma anche dai giudici. In rare occasioni, se l’incarcerazione viene decisa al primo grado di giudizio, la stessa sentenza viene poi ribaltata in appello.

Invece di rendere la vittima in grado di diventare una vera sopravvissuta, il processo la spinge sempre più in basso nella scala sociale. Le ragazze già provenienti da contesti di povertà sono obbligate a lasciare la scuola, e la loro famiglia a traslocare in un altro posto per evitare l’emarginazione. La maggior parte delle iniziative di sostegno finisce quando la legge viene applicata e raramente la riabilitazione viene presa in considerazione. In generale coloro che danno il via a queste campagne pensano che le punizioni che fungono da deterrenti possano tradursi in reale giustizia per la vittima.

Questa situazione rende impossibile alla maggior parte delle vittime denunciare gli stupri, specialmente se il violentatore è una persona conosciuta e influente o se si tratta di un membro della propria famiglia. La maggior parte delle vittime sono consapevoli dell’umiliazione che dovranno sopportare e del fatto che loro sole dovranno pagare per aver compiuto la denuncia.

L’umiliazione provata dalla ragazza non si ferma al primo grado di processo, ma la perseguita anche in appello. Se è rimasta incinta a causa della violenza sessuale, la sua situazione diventa ancora più precaria. Il violentatore accusato, talvolta, fa una proposta di matrimonio e il giudice cerca di persuadere la vittima ad accogliere tale offerta come l’unica soluzione accettabile, motivando la sua richiesta con la difficoltà di crescere un figlio come genitore single e, in più, sopportare l’emarginazione sociale derivante dalla situazione.

Questo è incredibilmente evidente nel caso di una giovane donna di Cuddalore, nello Stato del Tamil Nadu. L’incidente si verificò nel 2008. Nel 2014 il processo di primo grado sentenziò l’incarcerazione dell’accusato, insieme al pagamento di un risarcimento di 200mila rupie. Nel luglio del 2015, durante il processo d’appello, il giudice D. Devadass della Corte Suprema di Madras chiese alla vittima di considerare l’offerta di matrimonio fatta dall’accusato e rimandò il caso in mediazione, chiamando in causa la necessità per il bambino di avere una figura paterna e la difficoltà di crescere un figlio da genitore single. Tuttavia, la vittima rifiutò l’offerta e commentò: “il giudice ha idea dell’umiliazione e dell’emarginazione che ho dovuto subire per tutti questi anni dopo ciò che mi è accaduto?”

Conseguentemente, in ottobre, il caso fu posto al giudizio di un altro giudice, A. Selvam, che mise da parte la decisione di incarcerazione e rimandò il caso a nuovo processo sulla base del fatto che non c’erano prove che la vittima avesse meno di 16 anni al momento dell’accaduto e che la detenzione era quindi basata solo sulla testimonianza della donna. Il giudice chiese inoltre alla giovane di rendere l’importo del risarcimento deciso dalla corte precedente. Concluse quindi che, se la ragazza aveva più di 16 anni al momento dello stupro, allora l’atto doveva essere considerato consensuale, e non violenza sessuale. Sebbene la Corte Suprema avesse il potere di verificare i documenti per accertare l’età della giovane, piuttosto che annullare l’incarcerazione e ordinare un nuovo processo sette anni dopo l’accaduto, si decise di non esercitare questa possibilità.

Questa è stata la situazione anche nel caso Mathura. Sebbene l’accusa avesse dichiarato che la ragazza aveva 16 anni, dato che non era disponibile nessuna prova inconfutabile di questo, essendo la ragazza analfabeta e parte di un gruppo tribale e senza nessun certificato di nascita o un diploma scolastico che provasse la sua età, l’accusato fu assolto in base alla dottrina legale del beneficio del dubbio in favore della difesa.

Sembra che la storia si sia ripetuta con l’annullamento dell’incarcerazione da parte della Corte Suprema, sebbene i test del DNA abbiano provato la paternità dell’imputato. Impossibilitata a sopportare l’umiliazione e i costi finanziari, quando il caso fu richiamato in tribunale, la vittima ha informato la corte di Cuddalore Mahila il 29 dicembre di aver sposato l’accusato dopo un accordo e che stavano quindi vivendo insieme.

Questo è stato il finale di una controversia senza fine nella quale la giovane ventiduenne è stata lasciata senza nessuna protezione. Non ci sono state direttive del tribunale sul fatto che il risarcimento di 200mila rupie dovesse essere messo da parte come fondo futuro per il bambino e nessuno si è assicurato che l’uomo non decidesse di far subire alla donna delle crudeltà come vendetta per averlo denunciato per stupro.

Questa orribile tendenza non è un raro esempio ma è diventata la norma nei nostri tribunali.

Flavia Agnes

Analisi di

8 febbraio 2016

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