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Il diritto di amare liberamente

editoriale di Gabriele Nissim

Begum Shahnaz ha pagato con la vita il suo atto d’amore nei confronti della figlia Nosheen. Ha sacrificato il suo corpo di fronte alla mano assassina del marito che voleva impedire con la violenza estrema che sua figlia potesse amare liberamente il ragazzo che le piaceva.
Lei non voleva che Nosheen, la giovane pachistana, andasse incontro al suo stesso destino, costretta a sposarsi con la persona sbagliata in un matrimonio combinato. Tante volte le aveva detto. “Non devi fare come me. Tu ti devi sposare per amore.” E sua figlia aveva seguito il suo grido disperato di libertà e aveva detto di no al matrimonio combinato con il cugino che il padre le aveva organizzato.
Da questo rifiuto la tragedia: il padre colpito nell’orgoglio ha cercato di uccidere la figlia e sua madre facendo corazza con il proprio corpo ha impedito che la punizione paterna avesse il suo effetto. Ora la ragazza é ricoverata in prognosi riservata. È un recentissimo episodio di cronaca accaduto a Novi nei pressi di Modena che ha scosso l’opinione pubblica.
È certamente sbagliato generalizzare e sostenere che la fede musulmana determina certi comportamenti verso le donne. Ma questa vicenda ci permette di capire quanto sostiene Ayaan Hirsi Ali, l’intellettuale somala paladina da anni della lotta delle donne contro la segregazione sessuale nelle società islamiche.
Se negli ambienti dell’immigrazione in Europa le donne potranno vivere liberamente i loro amori senza imposizioni familiari ciò potrà diventare un esempio importante per quei Paesi dove la Sharia imposta dalla legge dello Stato, in Iran come in Arabia Saudita, impedisce la libertà femminile.
Ecco perché, come sostiene Hirsi Ali, è importante che si faccia sentire la solidarietà delle nostre società democratiche verso le donne emigrate che si ribellano a costumi primitivi. La cosa peggiore è quando queste donne vengono lasciate sole.
È accaduto a Novi quando madre e figlia non hanno trovato nessuno che intuisse la loro disperazione e si dimostrasse solidale, fino alla tragedia. Un episodio di questo genere ci può aiutare a ragionare. Se comprendiamo il valore dirompente e universale del diritto di amare liberamente saremmo forse più sensibili alla complessa e difficile battaglia per la modernità nel mondo islamico.
Sentiremo più vicine a noi le donne immigrate, come avremmo una migliore comprensione della battaglia per i diritti umani in quei paesi dove la donna rimane all’ultimo posto nella gerarchia sociale. Come ha spesso sostenuto il sociologo Bauman, il mondo in cui viviamo ha cambiato i confini e con i nuovi mezzi di comunicazione ci sono meno steccati tra le società. Quanto accade tra di noi può avere effetti positivi in situazioni dove l’oppressione sembra non finire mai.
Una donna musulmana con lo spirito di Neda che si emancipa in occidente diventa una speranza di una vita differente per quante lottano per la loro libertà nei Paesi dove prevale il fondamentalismo. Il motivo è molto semplice e banale: essa mostra con il suo percorso come si possa sentire l’orgoglio di fare riferimento all’islam o di ricordare la propria identità araba e
nello stesso tempo amare e vivere liberamente, una delle felicità possibili per tutti gli esseri umani, indipendentemente dal proprio credo. Ecco il messaggio che può venire dalle donne arabe emigrate in occidente. Sta anche a noi contribuire alla loro emancipazione e al compimento di una positiva integrazione.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

7 ottobre 2010

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