Se non hai la possibilità di cambiare gli eventi
che non dipendono da te, hai comunque la prerogativa di difendere sempre
il tuo carattere morale nel tuo spazio di libertà e per questo tuo comportamento
gli altri ti giudicheranno. È un pensiero peculiare dei filosofi stoici che
ritroviamo in Epitteto e in Marco Aurelio e che calza a pennello con la netta
presa di posizione del giornale Haaretz, dopo il voto con cui le Nazioni Unite hanno accolto tra i propri membri lo Stato palestinese.
L’editorialista israeliano scrive con grande
coraggio e senso della realtà. La Germania, la Francia, l’Italia, la Gran
Bretagna e altri amici di Israele hanno voluto dare con i loro voti un
messaggio molto chiaro: hanno perso la pazienza per l’occupazione della
Cisgiordania, ne hanno abbastanza con la costruzione degli insediamenti e non
hanno più fiducia nelle promesse israeliane circa l'avvio di un percorso di pace. La
débâcle diplomatica di Gerusalemme è il risultato della politica fallimentare
del primo ministro Netanyahu che, dopo avere dichiarato - su pressione americana - nel discorso all’università di Bar-Ilan di accettare
la creazione dei due stati (accampando poi mille pretesti e precondizioni), non
ha fatto nulla per presentare ai palestinesi e ai paesi occidentali un
piano credibile di pace. In questi anni Netanyahu ha utilizzato la crociata
contro l’Iran per giustificare lo status quo nei territori e, invece di
rafforzare la leadership di Abu Mazen con un’apertura al dialogo, ha spianato la
strada all’egemonia di Hamas in tutto il territorio palestinese. Ciò che è peggio,
conclude senza speranza l’editorialista, è che il primo ministro israeliano,
alla vigilia delle prossime elezioni, non mostra la volontà di assumersi una
responsabilità per questi suoi gravi errori e che Israele rischia di avere un
governo spostato ancora più a destra, capace di portare il paese in una deriva
senza fine.
In Medio Oriente gli scenari sono infatti
radicalmente cambiati. Israele non solo è più debole militarmente, perché i
missili da Gaza e dal Libano possono ora colpirne le città seminando il terrore tra la popolazione; ma è ancora più fragile politicamente di fronte
all’avanzata degli Stati islamici, uniti attorno al programma
di Hamas che, galvanizzato dalla tregua, ribadisce la sua volontà di operare
per la distruzione di Israele. Hamas oggi può contare sull’appoggio dell’Iran, che marcia speditamente verso la costruzione della bomba atomica, su un Egitto
che si appresta a iscrivere la Sharia nella sua costituzione e sulla Turchia
che parla una lingua più vicina a quella dei fondamentalisti che ai laici di
Abu Mazen, mentre la Siria abbandonata dal mondo rischia di diventare terreno
fertile per i terroristi islamici.
Per la maggioranza dei paesi arabi il voto all’Onu
non significa aprire un percorso di pace che porti a una
conciliazione tra i due popoli con la creazione di due stati sovrani, ma è
visto come la legittimazione di una politica di rifiuto dell’esistenza di
Israele. Se il vento non cambia a Tel Aviv e a Gaza, sul Medio Oriente si
addensano gravi pericoli di guerra che soltanto degli uomini responsabili
possono evitare con il loro coraggio morale. Ma dove sono oggi? È questa la
domanda.
Abu Mazen si impegnerà per la pace dopo la vittoria all’Onu o
seguirà Hamas e l’onda del fondamentalismo?