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Il fallimento di Netanyahu e il coraggio morale

di Gabriele Nissim

Se non hai la possibilità di cambiare gli eventi che non dipendono da te, hai comunque la prerogativa di difendere sempre il tuo carattere morale nel tuo spazio di libertà e per questo tuo comportamento gli altri ti giudicheranno. È un pensiero peculiare dei filosofi stoici che ritroviamo in Epitteto e in Marco Aurelio e che calza a pennello con la netta presa di posizione del giornale Haaretz, dopo il voto con cui le Nazioni Unite hanno accolto tra i propri membri lo Stato palestinese.


L’editorialista israeliano scrive con grande coraggio e senso della realtà. La Germania, la Francia, l’Italia, la Gran Bretagna e altri amici di Israele hanno voluto dare con i loro voti un messaggio molto chiaro: hanno perso la pazienza per l’occupazione della Cisgiordania, ne hanno abbastanza  con la costruzione degli insediamenti e non hanno più fiducia nelle promesse israeliane circa l'avvio di un percorso di pace. La débâcle diplomatica di Gerusalemme è il risultato della politica fallimentare del primo ministro Netanyahu che, dopo avere dichiarato  - su pressione americana - nel discorso all’università di Bar-Ilan di accettare la creazione dei due stati (accampando poi mille pretesti e precondizioni), non ha fatto nulla per presentare ai palestinesi e ai paesi occidentali un piano credibile di pace. In questi anni Netanyahu ha utilizzato la crociata contro l’Iran per giustificare lo status quo nei territori e, invece di rafforzare la leadership di Abu Mazen con un’apertura al dialogo, ha spianato la strada all’egemonia di Hamas in tutto il territorio palestinese. Ciò che è peggio, conclude senza speranza l’editorialista, è che il primo ministro israeliano, alla vigilia delle prossime elezioni, non mostra la volontà di assumersi una responsabilità per questi suoi gravi errori e che Israele rischia di avere un governo spostato ancora più a destra, capace di portare il paese in una deriva senza fine.


In Medio Oriente gli scenari sono infatti radicalmente cambiati. Israele non solo è più debole militarmente, perché i missili da Gaza e dal Libano possono ora colpirne le città seminando il terrore tra la popolazione; ma è ancora più fragile politicamente di fronte all’avanzata degli Stati islamici, uniti attorno al programma di Hamas che, galvanizzato dalla tregua, ribadisce la sua volontà di operare per la distruzione di Israele. Hamas oggi può contare sull’appoggio dell’Iran, che marcia speditamente verso la costruzione della bomba atomica, su un Egitto che si appresta a iscrivere la Sharia nella sua costituzione e sulla Turchia che parla una lingua più vicina a quella dei fondamentalisti che ai laici di Abu Mazen, mentre la Siria abbandonata dal mondo rischia di diventare terreno fertile per i terroristi islamici.

Per la maggioranza dei paesi arabi il voto all’Onu non significa aprire un percorso di pace che porti a una conciliazione tra i due popoli con la creazione di due stati sovrani, ma è visto come la legittimazione di una politica di rifiuto dell’esistenza di Israele. Se il vento non cambia a Tel Aviv e a Gaza, sul Medio Oriente si addensano gravi pericoli di guerra che soltanto degli uomini responsabili possono evitare con il loro coraggio morale. Ma dove sono oggi? È questa la domanda.

Abu Mazen si impegnerà per la pace dopo la vittoria all’Onu o seguirà Hamas e l’onda del fondamentalismo?

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

30 novembre 2012

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