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Il Generale de' Castiglioni e la Divisione Pusteria

la storia delle armate italiane che hanno protetto e salvato gli ebrei in Francia e Italia

Il Gen. de' Castiglioni (a destra) insieme al Gen. americano Dwight D. Eisenhower (a sinistra)

Il Gen. de' Castiglioni (a destra) insieme al Gen. americano Dwight D. Eisenhower (a sinistra)

Tu citi Maurizio Lazzaro de’ Castiglioni e ti aspetti una reazione di positiva approvazione, almeno in ambito militare. E invece niente! “Ma come!", aggiungi, "il Generale, quello che è stato il primo Comandante di FTASE, il Comando NATO in Italia, a Verona. Quello che in Francia durante la Seconda guerra mondiale...” Anche quelli di noi più esperti di Storia ti guardano per dirti o farti capire con un eloquente sguardo “... e allora?”. Forse qualche mese fa, lo confesso, lo avrei detto anche io, almeno prima di aver visto una foto (vedi galleria fotografica in calce) che mi ha incuriosito e spinto, per una serie di continue coincidenze, ad interessarmi a Maurizio Lazzaro de’ Castiglioni, Generale di Corpo d’Armata primo Comandante delle Forze Terrestri Alleate del Sud Europa nel 1951, pluridecorato al valor militare. La foto in questione lo ritrae nel 1951 nel mio attuale ufficio di Palazzo Carli a Verona mentre saluta alcuni ufficiali stranieri e ad uno di loro stringe la mano con la sinistra. Con la sinistra?

Quando il Tenente de’ Castiglioni perde la sua destra, ferito durante la Prima guerra mondiale a Crui – Krib (Colle Nero) la vigilia di Natale del 1916, già aveva meritato in Libia tre decorazioni al valor militare. È un ufficiale degli alpini proveniente da un’antica famiglia piemontese. A lui piace stare con la truppa da cui è stimato, un leader vero che non si sottrae alle dure fatiche della trincea e guida i suoi con l’esempio del “trascinatore di uomini”. I suoi alpini arditi lo ammirano, lo seguono nelle imprese più pericolose “...lanciò i suoi uomini alla baionetta, avanzando coraggiosamente per primo...”. Una volta rimessosi dalle ferite, grande invalido, chiede ed ottiene di continuare a rimanere in servizio. Subito dopo la guerra, durante la quale avrà avuto qualche dito del piede congelato e guadagnato altre cinque decorazioni al valore, de’ Castiglioni mette su famiglia, sposala signora Maria, rigorosamente “dopo autorizzazione Sovrana”. Vittorio e Camillo nasceranno di lì a poco, entrambi abbracceranno la carriera del padre. 

Il servizio continuerà e il nostro Generale si metterà in evidenza anche negli incarichi di Stato Maggiore, negli staff degli Alti comandi. 

Sin qui potremmo trovare diversi interessanti curricula simili a quello del Nostro ma è l’esperienza di comando nella Seconda guerra mondiale che per de’ Castiglioni ha fatto la differenza.

Dopo la disfatta del giugno 1940 ed il successivo armistizio, la Francia fu divisa in due parti: quella settentrionale, denominata zone occupée, occupata dall'esercito tedesco, e quella meridionale, chiamata zone libre, amministrata dal neonato governo con sede a Vichy. L’Italia aveva occupato una stretta fascia che partendo da Mentone risaliva lungo il confine verso quello svizzero. 

A seguito degli sbarchi alleati in Marocco e Algeria e per prevenire un molto probabile sbarco alleato nella costa meridionale francese, nel novembre 1942 la Francia libera venne occupata dalle forze italiane e tedesche. Si occupò anche la Tunisia. Gli italiani, dalla stretta fascia già occupata, in pratica si espansero verso ovest nella Val d’Isère, a Grenoble e sulla costa oltre Tolone. La 4^ Armata italiana fu incaricata di queste operazioni. La Divisione alpina Pusteria, al comando del Generale de’ Castiglioni venne appunto basata a Grenoble.

I documenti certificano che per la Pusteria l’operazione di occupazione della Francia ebbe inizio dal 18 novembre del 1942. I reparti che la costituivano erano formati da alpini che avevano in gran parte già combattuto in Albania. Erano veterani e oramai, dopo l’esperienza in Grecia, vivevano con disincanto quella esperienza di truppe di occupazione. Non c’era un nemico da affrontare. Si aveva certezza che vi erano gruppi partigiani in formazione non ancora ben organizzati. Vi era continua tensione e concrete certezze di prossimi attentati. C’era l’aperta ostilità della popolazione francese. Il clima non era dei più sereni! 

E poi c’era la questione degli ebrei. 

Qui il discorso diventa interessante e, se non fosse per la drammaticità della situazione e dei conseguenti eventi, anche curioso. Ed è a questo punto che fra italiani, tedeschi e francesi di Vichy e loro rappresentanti, i prefetti e le forze di polizia francesi, iniziarono i primi contrasti sul modo di gestire gli ebrei: gli italiani non volevano interferenze da parte di altri nella gestione dei territori da loro occupati. Soprattutto, non accettando il rastrellamento e gli arresti degli ebrei, iniziarono ad opporsi al loro trasferimento fuori dal territorio francese. L’opposizione fu decisa, a brutto muso! 

Difatti, sapevano benissimo che tedeschi e francesi di Vichy avevano da tempo iniziato a fermare gli ebrei, a radunarli verso i campi di concentramento organizzati nell’Est Europa e che in questi luoghi questi venivano sottoposti ad un trattamento inumano. L’Onore militare gli imponeva di tutelare i più deboli ed in questo ottennero l’importante sostegno del ministero degli Esteri e del Comando Supremo che da Roma iniziarono ad appoggiare e a rinforzare la loro azione. 

Già prima dell’occupazione italiana, nel luglio del ’42 il console generale italiano a Parigi elevò formale protesta contro le autorità di polizia tedesca quando durante il primo grande rastrellamento di ebrei, poi concentrati al Velodrome d’hiver, erano stati arrestati anche ebrei di origine italiana: l’arresto dei nostri concittadini, anche se ebrei, avrebbe dovuto essere effettuato solo dietro sua autorizzazione a dispetto dell’idea conclamata che “la presenza di ebrei stranieri privilegiati sarebbe stato un peso ed un fattore di disgregazione interna per il popolo tedesco”. I militari italiani sapevano di rischiare perché la posta in gioco era alta, i tedeschi non potevano permettere che il principale alleato non fosse allineato alla comune politica delle leggi razziali. I contrasti andarono avanti per settimane, per mesi, attraverso note di protesta, risposte piccate, minacce, tensioni. 

I militari italiani devono e vogliono essere i soli responsabili della sicurezza dei territori occupati e per dignità non possono permettere che la polizia di Vichy, appoggiata da quella tedesca, proceda al rastrellamento, all’arresto e al successivo trasferimento di personale presente nel territorio sotto il loro controllo, anche se si tratta di ebrei e non solo quelli di origine italiana. La sicurezza era compito degli italiani! 

A poco valse la protesta dei francesi che dal canto loro accusavano apertamente gli italiani di opporsi alla pulizia etnica. Il gioco si fece duro! E l’osso duro fu proprio il Comandante della Pusteria, il Generale de’ Castiglioni che nel febbraio del ’43 fece intervenire i suoi in Savoia. Quando la polizia francese tentò di rinchiudere un centinaio di ebrei stranieri in una caserma di Annecy, alcuni ufficiali italiani intimarono la loro consegna e, di fronte al rifiuto, gli alpini del 20° Raggruppamento sciatori circondarono l’immobile finché la polizia francese non li ebbe liberati.

Dai diari della 4^ Armata si evince come, nonostante fra gli arrestati non vi fossero ebrei italiani, mentre ve ne erano di francesi anche ricercati dalla polizia, il Comando della Pusteria si oppose pure a provvedimenti analoghi in altre zone ed in particolare a Valence, Chambery ed Annecy dove i locali prefetti avevano effettuato, su ordine di Vichy, numerosi arresti di ebrei stranieri: nella zona controllata dagli italiani “i provvedimenti di arresto e internamento ebrei appartenenti a qualsiasi nazionalità” erano riservati alle sole autorità militari italiane. De’ Castiglioni arrivò a minacciare l’arresto dei prefetti francesi. 

Da Roma sia il Generale Ambrosio sia il Ministero degli esteri appoggiavano l’azione dei nostri in Francia. In particolare, con una nota diplomatica al Reich del 9 marzo ’43 gli Esteri affermavano che le autorità italiane avrebbero provveduto da sole alle misure di sicurezza nei confronti di “francesi o stranieri pericolosi o di razza ebraica nei territori francesi occupati da truppe italiane”. In questo ricadevano anche i numerosi ebrei che avevano raggiunto quei territori dalle altre regioni della Francia o da altri paesi. 

Nel museo della resistenza di Grenoble è conservata la lettera che de’ Castiglioni scrisse al prefetto della città il 14 marzo 1943 – XXI (foto in calce). La lettera è un documento importante perché non solo attesta la determinazione del Generale ma fa capire chiaramente che la politica di tutela degli ebrei era ufficialmente appoggiata a livello centrale: “Sig. Prefetto, vi comunico che in esecuzione a quanto già notificato dalle autorità centrali Italiane al Governo di Vichy, gli arresti di ebrei di qualsiasi nazionalità, anche francesi, sono riservati nel territorio sotto controllo italiano alle autorità militari italiane. ...”

L’11 marzo intanto Ribbentropp aveva già sollevato la questione ebraica in una visita allo stesso Mussolini lodando l’apprezzabile azione della polizia francese nei rastrellamenti. Il successivo 17 marzo durante un’udienza accordatagli, l’ambasciatore a Roma, von Mackensen, fu più esplicito e parlò di “umanitarismo dei suoi generali” ottenendo dal Duce l’impegno a correggere l’atteggiamento dei suoi militari. 

In effetti, Mussolini fu costretto a prendere provvedimenti e ci saremmo aspettati di veder sostituiti, silurati, i Comandanti italiani in Francia, come avveniva (e avviene) in questi casi. Ma questo non accadde. Fu invece incaricato l’ispettore generale del Ministero degli Interni, Lo Spinoso, di condurre un’inchiesta e risolvere la questione. Lo Spinoso arrivò subito dopo qualche giorno in Francia, fece il punto della situazione con i nostri, visitò il territorio ma un cambiamento radicale dell’atteggiamento nei confronti degli italiani non si ebbe. Fu deciso di iniziare a prevedere di concentrare gli ebrei di ogni nazionalità solo in determinate zone, non in campi di concentramento ma in residenze obbligatorie. E intanto il tempo passava...

In quei mesi risultò particolarmente attivo un altro personaggio di cui ben poco si conosce: Angelo Donati, modenese che, dopo essere stato ufficiale di collegamento presso l’esercito francese durante la prima guerra mondiale, si stabilì a Parigi iniziando una brillante carriera nel mondo economico e finanziario. Nel 1940, poco prima dell’invasione tedesca, si trasferì a Nizza, dove avevano sede alcune sue attività finanziarie e dove, a causa dell' aperta protezione italiana, si era oramai riunita una numerosa comunità di ebrei provenienti da tutta Europa. Conosciuto e stimato negli ambienti militari e diplomatici, grazie ai suoi trascorsi, entrò facilmente in contatto con le autorità italiane che occupavano il sud della Francia a partire dal novembre 1942 ed operò attivamente per garantire la salvezza a numerosissimi ebrei francesi, italiani e di altre nazionalità che fuggivano dalle persecuzioni naziste e fasciste. A Nizza, con la protezione dei vertici militari, insieme al Console generale italiano Alberto Calisse, a Padre Marie-Benoit – membro della Delasem – e al Comitato Dubouchage, si adoperò per assicurare la protezione agli ebrei fornendo aiuti economici e documenti falsi. 

La zona d’occupazione italiana era così diventa un’enclave di rifugio e le testimonianze sono molte, la più esplicita delle quali è quella di una lettera scritta da un ebreo ad un congiunto e conservata al museo della resistenza di Grenoble: “Sono a Grenoble perché a Lione ci sono i tedeschi e non si sa che cosa ci potrebbe capitare,mentre qui ci sono gli italiani che regnano e sono veramente molto simpatici con noi. Tu mi scrivi che vorresti venire qui, ti credo, perché qui c’è la vera Palestina ...”. Si stimava la presenza di 30 mila ebrei. 

Arrivò il 25 luglio e con esso la caduta del fascismo. I Comandi italiani furono tenuti all’oscuro delle trattative che furono poi avviate con gli alleati per l’armistizio e i nostri in Francia non facevano eccezione. Le autorità militari tedesche intanto un piano l’avevano e man mano diventavano sempre più aggressive. I nostri, comunque, tenevano il punto ed ancora nei primi giorni di settembre, quando era chiaro che avrebbero lasciato le terre di occupazione per rientrare in Italia, continuavano ad opporsi ai tentativi di rastrellamento degli ebrei favorendo il loro deflusso verso la Svizzera o la stessa Italia. A Nizza Donati stava organizzando convogli navali per assecondarne la fuga. 

L’8 settembre gli eventi precipitarono e in assenza di ordini precisi le unità italiane iniziarono il rientro in Patria attraverso le Alpi. Le colonne italiane furono seguite da molti ebrei che poterono riparare nel nostro Paese. Molti invece furono facile preda della polizia francese e nazista. In questo ripiegamento verso l’Italia la Divisione Pusteria di de’ Castiglioni non depose le armi ma scelse di combattere i tedeschi, che affrontò con decisione. Decine furono i caduti e i feriti. Molti furono fatti prigionieri, altri attraversarono la frontiera ovvero si unirono ai partigiani francesi e italiani. 

Questa è in sintesi la storia. Maurizio Lazzaro de’ Castiglioni, Generale di Corpo d’armata dell’Esercito italiano, divenne nel 1951 il primo comandante delle Forze Terrestri Alleate per il Sud Europa. Collocato a riposo per raggiunti limiti di età il 30 agosto 1952, si spense a Roma nel 1962 all’età di 74 anni. Storia poco conosciuta. Perché? Non sta a me spiegarlo, lo posso solo intuire. Anche se furono a decine di migliaia ad esserne coinvolti da protagonisti militari e civili sia in Italia sia in Francia, solo qualcuno se ne è occupato. 

Lo scrittore francese Jean-Louis Panicacci in L'occupation italienne, Sud-Est de la France, juin 1940-septembre 1943, parlando di de’Castiglioni ha raccontato che: “Les juifs et les étrangers pourchassés par les Allemands trouvent à ses côtés une réelle protection, par humanisme certes, mais aussi pour manifester son opposition, parfois « musclée » aux Allemands”

Anche alcuni giornalisti ne hanno parlato. Alberto Toscano lo ha fatto in Francia e in Italia, sul sito di Gariwo vi è l’ultimo dei suoi articoli. Alessandro Marzo Magno ne ha parlato qualche settimana fa su "Il Gazzettino". Molto interessante risulta l’articolo datato 15 maggio del 1994 dal titolo “Un giorno di maggio per non dimenticare”, dedicato al Generale Maurizio Lazzaro de’ Castiglioni, dell’allora corrispondente da New York di "La Repubblica", Furio Colombo. Egli descrive un’iniziativa che qualche giorno prima, il 9 maggio per la precisione, era stata organizzata alla New York University, per il giorno della memoria dalla National Italian American Foundation (la maggiore organizzazione italiana americana negli Usa), insieme con la Casa Italiana Zerilli Merimò della New York University, curato dalla dottoressa Maria Lombardo

Colombo riportò le testimonianze di diversi diretti protagonisti, tutti stranieri, di quegli episodi in cui fu protagonista il nostro Generale. Fra essi Sabina Helizer, ebrea berlinese, moglie di un medico polacco; Louis Goldman, uno dei più commossi e commoventi narratori della "salvezza italiana" che ebbe ad affermare "l'onore italiano è passato intatto attraverso la disobbedienza"; Susan Zuccotti, la più autorevole studiosa americana dell'Olocausto Italiano che testimoniò come "Non si confonda il governo di Mussolini con il comportamento del popolo italiano. Le leggi razziali italiane erano spietate e la Repubblica di Salò le ha applicate sempre...Il merito e l’onore va agli italiani che non hanno mai accettato quelle leggi, che non hanno ubbidito, che si sono ribellati. Quella è l'Italia che noi ricordiamo".

Imre Rochlitz, avvocato di Zurigo, salvato dai soldati italiani insieme con migliaia di ebrei nelle zone occupate della ex Jugoslavia (altra storia da indagare), ha raccontato di avere parlato della sua esperienza al figlio Joseph solo dopo anni perché aveva difficoltà a ripensarvi "ma poi mi sono reso conto che l'Italia ha vissuto due grandi momenti che la rendono unica nella storia del mondo, uno è il Rinascimento, l'altro è l’impegno volontario e rischioso di tanti per la salvezza di ebrei come noi, che non erano neppure italiani. Quel secondo rinascimento è avvenuto negli anni di morte 1943-1945". Egli ricordava di come "i tedeschi esigevano la nostra consegna. Gli italiani dividevano le razioni militari con noi e rifiutavano di consegnarci. Da Roma arrivava l'ordine di Mussolini di ubbidire ai tedeschi. I generali italiani sostenevano di non averlo ricevuto, chiedevano conferme ai ministeri romani, ci spostavano di luogo in luogo, in modo da poter dire che nel villaggio tale o tal altro, indicato dai tedeschi, non c'era nessun ebreo da consegnare. Finché non sono stati catturati essi stessi, dopo l'8 settembre, non hanno mai smesso di proteggerci. E sono riusciti a mettere molti di noi al sicuro prima dello sbando delle truppe italiane".

Di quei racconti Joseph Rochlitz nel 1987 ne fece un film The Righteous Enemy (Il nemico buono – non saprei se qualcuno ce lo abbia mai proposto dalle reti pubbliche) che è un riconoscimento all'onore degli italiani e dei loro soldati. Come lo è stato, e continua ad esserlo, il manifestino distribuito da un anziano signore quel 9 maggio 1984 all'ingresso della New York University

Dedicato all'onore e alla memoria del Generale Maurizio Lazzaro de’ Castiglioni, Comandante della divisione Pusteria che ha salvato le vite di mia moglie, di mia sorella, di mio fratello, della sua intera famiglia nel 1943 a Grenoble. E che ha salvato la vita di migliaia di bambini ebrei. Ha rifiutato di consegnarli alla polizia di Vichy e ai campi tedeschi della morte. 

Le fotografie citate nel testo sono visibili nella gallery in calce.

Giuseppenicola Tota, Generale di Corpo d'Armata

Analisi di

12 maggio 2020

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