Lo psicologo israeliano Dan Bar-On ha avuto il coraggio di
analizzare il comportamento del popolo più responsabile di quanto accaduto agli
ebrei negli anni ’30 e ‘40 del Ventesimo secolo, i tedeschi, individuando anche
alcuni casi di comportamento generoso e coraggioso.
I tedeschi di oggi hanno svolto una profonda quanto doverosa
elaborazione della Shoah, arrivando ad accettare un certo grado di “autolimitazione”
– carcere ai negazionisti e obbligo di dimissioni per i titolari di cariche
pubbliche che pronuncino frasi razziste - nella vita politica e culturale e
perfino a trasformare la propria lingua. Per esempio, la “presa del potere” da
parte di Hitler della vulgata comune è diventata una Machtübertragung, una consegna del potere nelle mani del dittatore
da parte di Hindenburg e della grande industria tedesca; la “notte dei
cristalli” del 9/11/1938 ha perso l’atroce ironia che i nazisti impressero al
termine per diventare il “pogrom di novembre”.
Chi voglia esplorare la Rete alla ricerca dei dibattiti
sulla Memoria vedrà che in Italia è molto diffusa una sorta di “invidia” del
processo di Norimberga e delle altre importanti misure di denazificazione (dai
tedeschi considerate per lo più insufficienti) che hanno interessato la
Germania. Queste persone pensano che Berlino abbia fatto molti più passi avanti
di Roma nell’affrontare la memoria della Shoah; tuttavia, e qui sta il punto,
non solo il confronto sarebbe iniquo visto che l’onore dell’Italia, come ha
ricordato il Presidente Giorgio Napolitano in una lettera a Gariwo, è stato
riscattato da Giusti e resistenti, ma la Germania doveva necessariamente
elaborare una colpa così grande come quella di avere sostenuto in massa Hitler
e il genocidio degli ebrei, quello che ha industrializzato la morte, rendendo
possibile che il prodotto del lavoro di tanti uomini e donne resi schiavi fosse
proprio la loro stessa uccisione, come quella di bambini, disabili e altre
persone ree solamente di avere un sangue “non ariano”.
Fatte queste debite premesse, vorrei presentare una preziosa
storia di non conformismo proposta da Dan Bar-On: quella del ragazzino Andre,
narrata nel sito dell’associazione americana Facing history and ourselves e ripresa dal nostro sito Gariwo.net.
Andre l’8 novembre 1938 torna da scuola e chiede ai genitori: “Papà, mamma,
hanno detto che domani dobbiamo andare tutti a lanciare pietre agli ebrei. Io
conosco poco gli ebrei, mi sono indifferenti, ma certamente non li odio al
punto di lanciare loro dei sassi. Che cosa devo fare?”. Il padre, in maniera
molto interessante, gli dice che la scelta è sua e lo invita a fare una
passeggiata per ragionarci su. La famiglia seguirà il volere del ragazzo. Al
ritorno dal suo giro, Andre comunica la sua decisione. Non andrà a tirare le
pietre, ma, in questa profondità di pensiero sua e che permea il dialogo con i
genitori, è preoccupato, perché, afferma: “Voi potreste essere perseguitati per
essere la mamma e il babbo di quello che si è rifiutato di lanciare i sassi”.
Il padre gli risponde che accetta la decisione del figlio e che, per quanto
riguarda lui e la mamma, hanno deciso che la famiglia lascerà la Germania il
giorno seguente, intento poi portato a termine.
Se non può e non deve cancellare l’enorme colpa storica dei
tedeschi, questo piccolo barlume di coraggio civile può però stimolarci a
riflettere. Non solo su che cosa avremmo fatto noi, ma anche sulla stessa
natura dell’uomo. La docente Rita Sidoli e l’oncologo Umberto Veronesi, marito
di una sopravvissuta alla Shoah, hanno studiato la possibilità che un
comportamento altruista sia innato nell’uomo, grazie ai neuroni specchio o ad
altre caratteristiche genetiche e psicologiche dell’essere umano. Certo,
affermare che l’uomo sia “naturalmente buono” sembra un’enormità davanti alla
tragedia Olocausto, ma forse, per fare sì che crimini del genere non abbiano
più a ripetersi, vale la pena ricordarci che siamo capaci di agire come Andre,
non solo come ufficiali delle SS.
Sento che alla mente di alcuni critici, secondo cui i
“Giusti” non cambiano la storia, potrebbe affacciarsi una domanda ancora più
complessa circa l’efficacia del
gesto compiuto dalla famiglia di Andre. Certo, lui si è astenuto dalla
violenza, e il padre si è distinto per coraggio civile e rispetto degli esseri
umani a cominciare da suo figlio dodicenne, ma il nostro critico potrebbe pur
sempre obiettare che non ha proposto un comportamento capace di salvare vite
umane. Se molti avessero fatto come lui, il Paese moralmente si sarebbe
sottratto alla colpa infamante, ma i nazisti avrebbero continuato a
perseguitare e uccidere gli ebrei nell’impunità, mentre coloro che nutrivano
dubbi morali scappavano?
Sarebbe anche interessante sapere come mai in questo testo
Bar-On ricorda Andre con il solo nome di battesimo, mentre Melita Maschmann,
che si è conformata all’andazzo del Terzo Reich, è citata con tanto di nome e
cognome. Forse in questo dubbio risiede anche una possibilità di risposta al
quesito precedente. La memoria dei “Giusti”, tramandata da associazioni come
Gariwo, potrebbe portare un domani a gesti di concreta ribellione davanti agli
ordini omicidi delle dittature che dovessero instaurarsi nel corso della
storia.
Forse il valore più certo a cui mi sento richiamata da
questa vicenda di un giovane tedesco “buono” è proprio l’anticonformismo, “la
libertà di essere eccentrici”, per dirla con Bertrand Russell, che Andre e la
sua famiglia si sono presi anche nel più buio periodo della storia, la capacità
di pensare con la propria testa e di giudicare autonomamente, come avrebbe
detto Hannah Arendt. .