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Il Giardino dei Giusti e l’arte della memoria

di Gabriele Nissim

Il Giardino dei Giusti di Milano

Il Giardino dei Giusti di Milano

Acque sempre diverse scorrono attorno a quanti si immergono negli stessi fiumi”, scriveva il grande filosofo Eraclito. Voleva sottolineare che le nostre identità sono sempre in movimento, poiché le acque in cui ci immergiamo sono sempre diverse.

È questo il grande problema di tutti i monumenti della memoria che vogliono ricordare i crimini e le vittime del passato.

Noi cerchiamo di trasmettere una memoria del passato con uno scopo educativo e preventivo, e poi ci accorgiamo che questa memoria non è mai sufficiente, perché il male si presenta sempre in un modo nuovo.

È così spesso un’illusione pensare che le lezioni del passato possano automaticamente servire agli uomini per orientarsi di fronte alla nuova fantasia del male.

Guardiamo per esempio alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla prevenzione dei genocidi approvata nel 1948. In essa si sottolineava l’importanza di prevenire le azioni di chi voleva annientare le nazioni, i popoli e le etnie, ma non si diceva nulla su chi provocava degli stermini in nome dell’ideologia politica. Così il mondo non ha capito i gulag staliniani e il politicidio che si è consumato in Cambogia, dove in nome della politica (con la categoria dei nemici del popolo) un milione di persone veniva massacrato.

Oppure pensiamo a come la religione nel mondo arabo e musulmano si sia trasformata in uno strumento politico per incitare alla distruzione delle minoranze, degli adepti di altre religioni, all’oppressione delle donne, ai massacri nelle nostre città - come è accaduto a Parigi.

In nome di un fanatico Islam omicida ancora una volta viene messa in discussione la stessa idea di pluralità umana. Da un lato infatti ci sono i terroristi che vorrebbero che l’idea del loro califfato prevalesse non solo nei territori della Siria, dell’Iraq e della Libia, ma che divenisse il punto di riferimento per i musulmani in Europa. Dall’altro lato ci sono poi dei movimenti xenofobi in Europa che in nome della preservazione della nostra identità vogliono la creazione di muri tra le diverse culture e rischiano di fare il gioco della contrapposizione auspicato dai terroristi.

Chi lo avrebbe mai detto che ci saremmo trovati di fronte a dei fondamentalisti assassini che a differenza degli stessi nazisti e di tutti i negazionisti si vantano pubblicamente dei crimini che compiono e li giustificano attraverso il vanto del loro sacrificio?

Poiché decidono di morire insieme alle loro vittime, si possono presentare di fronte al mondo musulmano con l’aureola di una dignità morale. Il loro crimine diventa così legittimo perché sono disponibili al sacrificio estremo. Troveranno infatti il paradiso, secondo gli imam che li indottrinano, perché per realizzare la loro causa rinunciano consapevolmente alla loro stessa esistenza.

C’è poi un fatto ancora più importante che rende così difficile l’arte della memoria. Il male politico in tutti i tempi non ha nulla di demoniaco, come scriveva la Arendt, ma si presenta con il fascino del bene universale. Promette il paradiso in terra attraverso un processo di purificazione che elimini gli uomini considerati nocivi e inquinanti. È quanto dicevano i nazisti ieri nei confronti degli ebrei e ripetono i Jihadisti oggi nei confronti degli infedeli. Ecco perché i tedeschi non furono capaci di comprendere Hitler, allo stesso modo in cui oggi il mondo arabo musulmano fatica a prendere le distanze dall’integralismo islamico. L’illusione di un messianismo in terra - o di un paradiso in cielo che si realizzi attraverso un’apocalisse - impedisce agli uomini di cogliere i segni premonitori del male.

Da qui nasce l’aporia di tutti i monumenti e di tutti i percorsi della memoria.

Ex post di fronte alla Shoah ci sentiamo tutti contro il male nazista e dalla parte degli ebrei, e ci stupiamo sinceramente della sconfitta dell’umanità al tempo di Hitler e dell’Olocausto; nel tempo presente invece fatichiamo a comprendere il male che ci minaccia e spesso, nonostante tutte le lezioni del passato, non sappiamo come orientarci e scegliamo la strada dell’indifferenza.

Da queste premesse è nato il percorso della memoria di Gariwo.

Abbiamo messo al centro la ricerca e la valorizzazione dei Giusti, per indicare che in ogni epoca l’argine contro il male è sempre quello della coscienza dell’individuo.

È soltanto l’arte di pensare da soli e di porre in modo socratico delle domande alla nostra coscienza l’unico percorso possibile per la nostra salvezza nelle acque sempre diverse che scorrono nei fiumi della nostra esistenza.

Un uomo giusto non è né un santo, né un eroe, ma un individuo che è stato capace nella sua solitudine di prendere le distanze dalle illusioni e dalle mode culturali del suo tempo e di assumersi una responsabilità. È infatti riuscito a vedere l’altro dentro di sè e a guardare il mondo non soltanto dal suo ego, ma assumendo differenti punti di vista. Ha saputo collocare la sua coscienza all’interno della pluralità umana, affinando quella caratteristica del giudizio che Kant definisce come “mentalità allargata”.

Ciò che è importante indagare per la memoria del nostro tempo non è soltanto l’azione che ha intrapreso per salvare un uomo o per prendere pubblicamente posizione contro un crimine contro l’umanità, ma il percorso intimo che ha saputo compiere nella sua coscienza per progettare il suo atto di responsabilità. Conta insomma non raccontare solo l’azione meritevole, ma il pensiero che c’era dietro quell’azione.

La memoria infatti si attualizza e diventa viva quando si tramanda il percorso della coscienza, poiché in questo modo quell’azione acquisisce un valore universale che travalica la contingenza del tempo.

Si può allora capire che il percorso morale di un giusto per gli ebrei può anche valere nel nostro tempo.

Come è allora possibile provocare questo percorso all’interno di un monumento della memoria?

Con la creazione dei Giardini dei Giusti abbiamo voluto ottenere due obiettivi.

In primo luogo, valorizzare le azioni di altruismo e di responsabilità dei singoli nei confronti del male. In secondo luogo, e ciò è l’aspetto più rilevante, abbiamo voluto rendere quei luoghi momenti di educazione al pensiero.

Ciò è possibile quando il giovane si interroga sul passato guardando al presente. Ecco perché in ogni giardino abbiamo voluto costantemente piantare degli alberi per i Giusti di ieri assieme ai Giusti di oggi.

Così i ragazzi si abituano a paragonare le forme di resistenza morale del passato con i problemi dell’oggi. Vi fornisco un esempio formidabile. I giovani di Milano hanno potuto comprendere il valore dei Giusti della Shoah quando li abbiamo messi di fronte a una storia del nostro tempo con due testimoni viventi del genocidio del Ruanda. Quando la ruandese Jacqueline Mukansonera ha raccontato in un teatro il salvataggio della sua amica Jolande Mukagasana, i giovani non si sono soltanto commossi, ma hanno capito che le stesse situazioni della Shoah si sono presentate anche nel nostro tempo. Da qui si è acceso in loro il meccanismo della responsabilità.

Ecco allora perché abbiamo progettato il nuovo Giardino dei Giusti del Monte Stella con un percorso per i giovani e una agorà di discussione permanente.

Il Giardino dei Giusti non è cosi soltanto un monumento alla memoria e alla gratitudine per i migliori uomini dell’Umanità, ma un luogo concepito per il dialogo e la discussione tra i giovani.

È questa la funzione che non hanno capito i comitati che ci hanno contestato a Milano.

Vorrebbero un giardino concepito come un monumento senza vita e come un arredo del Monte Stella, come se si trattasse di fare un progetto sul verde a Milano. Noi vogliamo invece un giardino concepito con lo spirito della Stoia e dell’Accademia greca, dove allora non si insegnavano solo la storia e la filosofia, ma anche l’arte di dialogare e di pensare da soli. Senza la fruizione dei giovani il Giardino dei Giusti non servirebbe a niente. A questo punto se il Giardino fosse concepito semplicemente come una nuova disposizione di alberi, siepi e fiori, si potrebbe anche chiudere, come del resto pensano alcuni che rimangono indifferenti ai problemi del nostro tempo.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

25 novembre 2015

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