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Il gusto del Bene

nella Giornata europea dei Giusti

Il nostro Paese, pur con tutte le contraddizioni che vive in questo momento difficile, è riuscito a ottenere dal Parlamento europeo una ricorrenza di straordinario valore morale: la Giornata europea dei Giusti. Per la prima volta il concetto di Bene, inteso come valore laico, è entrato nella discussione pubblica.

Fra poche ore a Roma, nella Camera dei deputati, e in numerose città d’Italia, d’Europa e del mondo - come Varsavia, Praga, Sarajevo e Kigali in Ruanda - si celebrerà il 6 marzo, la seconda Giornata europea dei Giusti, nella data che ricorda la scomparsa di Moshe Bejski, l’artefice del Viale dei Giusti di Gerusalemme.

È un’occasione importante perché non solo si accresce in Europa il prestigio del nostro Paese, ma anche perché l’Italia può contagiare i suoi vicini con questa valorizzazione del riconoscimento del Bene come elemento fondante nei rapporti tra gli esseri umani, in un momento critico in cui molti sognano il ritorno all’egoismo delle nazioni.

È prima di tutto una giornata della gratitudine, che ricorda per certi versi il Giorno del ringraziamento americano. Negli Usa si ricorda il giuramento della Mayflower con cui i “padri Pellegrini” nel 1600 si impegnarono a costituire una società giusta e tollerante, in Europa ricordiamo coloro che hanno salvato l’onore del vecchio continente: se oggi infatti viviamo in una comunità libera dai fascismi e dai totalitarismi lo dobbiamo al sacrificio personale di tanti uomini giusti, molto spesso rimasti anonimi, che hanno salvato ebrei e vite umane durante le persecuzioni e che nei totalitarismi hanno difeso con la loro coscienza il valore della dignità umana.

Ricordare questi uomini significa per certi versi ribaltare il criterio di tante Giornate della Memoria. Invece di porre l’accento soltanto sul Male, si tratta di valorizzare degli esempi positivi che possono permettere alle nuove generazioni di guardare con speranza e fiducia al futuro. Se ci sono stati ieri, durante i momenti più bui della storia, degli uomini che hanno sentito il richiamo della propria coscienza e non si sono fatti omologare, significa che l’essere umano ha sempre dentro di se una bussola misteriosa che lo può spingere a discernere il Bene dal Male, a sentire il richiamo dell’altro uomo, ad assumersi una responsabilità.
Raccontare storie esemplari fa molto bene ai giovani perché li spinge ad agire e offre loro dei punti importanti di riferimento, mentre spesso la memoria unilaterale del male, sia pure fatta con le migliori intenzioni, spinge alla resa e allo sconforto.

Ricordare i Giusti significa assumersi un impegno per la prevenzione dei genocidi oggi e per sentirsi in sintonia con quanti, tra mille difficoltà, cercano di difendere la dignità umana, in Siria come in Ucraina. Pensiamo per esempio al sacrificio personale di Ghiatah Matar, il giovane pacifista siriano che durante le manifestazioni distribuiva acqua e fiori ai soldati fedeli al regime. Era convinto che attraverso quel suo gesto, così vicino alla filosofia non violenta di Gandhi, i soldati inviati dal regime a uccidere i manifestanti sentissero il peso della loro coscienza. Il suo esempio ebbe così successo che venne replicato da tanti giovani siriani in numerose città, fino a quando Ghiatah venne arrestato e il suo corpo senza vita fu lasciato come monito davanti alla casa dei suoi genitori. Il suo messaggio di pace e di conciliazione non doveva passare.

Il concetto di uomo giusto, che ritroviamo nell’ebraismo come nella filosofia classica, nel cristianesimo come nelle religioni orientali, ha un grande valore non solo per delle situazioni di emergenza, ma anche nella nostra stessa vita quotidiana. Oggi infatti, di fronte a una crisi di senso, per molte persone deluse dalla politica e timorose per il proprio futuro economico il richiamo al gusto del Bene può dare una grande carica per il nostro avvenire.

Fare del Bene e agire con responsabilità significa non affidarsi ad una giustizia astratta o delegare ad altri il proprio destino, ma comportarsi nel modo degno nel proprio ambito, aiutando chi sta più indietro di noi, soccorrendo chi sta soffrendo, porgendo una mano a chi ha sbagliato strada, mostrando così la nostra disponibilità al perdono. Si è giusti veramente quando si è pronti a salvare l’altro uomo, e non quando si cerca la resa dei conti, come tanti amano fare nel nostro Paese.

C’è spesso l’idea, nella nostra società, che il nostro agire debba guardare al successo, alla fama, alla gloria, alla ricerca del riconoscimento e della ricompensa; tutt’altra cosa fanno i Giusti, che si comportano in un certo modo perché si sentono soddisfatti con loro stessi, quando seminano i frutti del Bene nelle loro professioni e nelle relazioni con gli altri. Lo hanno fatto ieri gli oppositori al nazismo che, come scriveva Hannah Arendt, ebbero la forza di pensare in solitudine contro i pregiudizi antisemiti, lo fanno oggi con lo stesso spirito le persone che non si fanno piegare dai ricatti della mafia. Questi uomini hanno infatti un punto in comune: si sentono in pace con loro stessi, quando agiscono per il Bene.

Il filosofo Salvatore Natoli, che legge in modo laico i testi religiosi, ci ricorda la grande rivoluzione morale del vangelo di Matteo. In tutte le culture classiche si faceva spesso riferimento alla regola aurea, secondo cui “non si doveva fare agli altri ciò che non si voleva fosse fatto a te.” Era questo un invito ad astenersi dal commettere il male verso gli altri uomini.

Matteo invece va oltre, quando ricorda questo principio: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro; questa infatti è la legge e i profeti.”
Matteo metteva così in luce che per sconfiggere il Male non bastava non farlo; la sfida più importante era invece operare per il Bene e assumersi una responsabilità. Il Bene insomma bisogna costruirlo, giorno dopo giorno, ognuno a partire dalle sue possibilità.

Da questo tipo di comportamento non solo ne deriva una gioia personale, ma una ancora più grande che deriva dal miglioramento del mondo circostante. Quando si aiuta l’altro uomo in difficoltà, si arricchisce l’intera società e si sta molto meglio pensando che quello che hai dato ti farà vivere in un pianeta migliore. Ci si sente veramente soddisfatti immaginando di potere vivere in un mondo dove tutti sono disponibili verso l’altro, senza per questo chiedere delle contropartite. Non esiste una simmetria del Bene, un do ut des, ma soltanto un gusto nel farlo per un arricchimento morale e materiale dell’intera società.

È questa la grande eredità morale che ci lasciano i Giusti che hanno risollevato il mondo nei momenti difficili; rappresentano per noi la speranza possibile per un nuovo  inizio.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

28 febbraio 2014

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