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Il messaggio dei Giusti

di Gabriele Nissim

Gabriele Nissim all'incontro di GariwoNetwork

Gabriele Nissim all'incontro di GariwoNetwork

Pubblichiamo di seguito l'intervento di Gabriele Nissim in apertura dell'incontro internazionale di GariwoNetwork, il 29 novembre ai Frigoriferi Milanesi

Quale è il senso dei Giardini dei Giusti? A cosa servono? Perché li costruiamo?
È questa la domanda a cui tutti noi dobbiamo cercare di rispondere in questo nostro incontro.
Li immagino come una coscienza critica permanente per la nostra società.

In qualsiasi contesto politico, che ci sia la destra o la sinistra al potere, che ci sia un governo che ci piaccia o non ci piaccia, devono diventare un luogo di riflessione che ogni volta pone nuove domande all’opinione pubblica. I Giardini non hanno colore politico e possono svolgere una funzione positiva sia nei momenti più difficili dell’umanità, sia quando sembra che il mondo vada in una buona direzione. Non c’è mai infatti nulla di scontato e garantito, anche nella migliore delle società.

I Giardini dei Giusti: nuovi comportamenti per una responsabilità nel proprio tempo

Quale è il loro meccanismo originale che li distingue da altri, altrettanto importanti, luoghi di memoria? Sono un luogo di educazione permanente attraverso la promozione dei migliori esempi dell’umanità, luogo di riflessione e meditazione. Non si tratta solo di uno spazio monumentale di ricordo e commemorazione, ma di uno stimolo alla responsabilità nel tempo in cui viviamo.

È questa la novità. Si piantano gli alberi non solo per dare loro un nome, un volto con una persona, ma perché questi Giusti ci richiamino al nostro agire. Piantare un albero significa fare rivivere queste persone con il nostro comportamento. È l’unica resurrezione possibile su questa Terra. Chi ha seminato del Bene, noi lo rendiamo vivo con le nostre azioni.
Dando un nome ad un albero si raccoglie il testimone di chi ha lottato nel passato e ci si assume una responsabilità nella propria esistenza.

Ecco perché è importante partire sempre da un’analisi del nostro tempo. In ogni tempo ci sono responsabilità diverse. I comportamenti morali non sono mai gli stessi in ogni epoca, perché il bene ed il male hanno sempre caratteristiche differenti. Lo diceva Eraclito: acque sempre diverse corrono negli stessi fiumi.

Noi in questi vent’anni dalla nascita di Gariwo abbiamo raggiunto due tappe importanti nella nostra storia. Abbiamo dato forza alla memoria del bene, cercando di mostrare la possibilità dell’individuo in ogni circostanza, anche la più avversa. I Giusti, come ci ricordava Don Barbareschi, sono la massima espressione dell’amore per la libertà, perché con il loro carattere non si piegano di fronte alle dittature e alla persecuzione degli esseri umani.
Abbiamo poi universalizzato l’idea dei Giusti, dalla Shoah a tutti i genocidi e totalitarismi, perché chi fa del Bene lo fa per tutta l’umanità. Era questo il grande messaggio del mio maestro Moshe Bejski che non a caso chiamava i Giusti come la vera élite morale che tiene in mano le sorti del mondo intero.
Oggi siamo chiamati ad una terza piccola rivoluzione: fare dei Giardini uno stimolo per creare delle buone pratiche e dei comportamenti esemplari nella società, come credeva con grande passione Ulianova Radice.

Dobbiamo creare attorno ai Giardini una vita culturale che metta un argine alla cultura dell’odio e del disprezzo nel dibattito politico; che crei forme di interazione e di conciliazione tra religioni e culture diverse; che insegni ai giovani il gusto dei dialogo sui social, promuovendo la conoscenza, la cultura e la lettura dei libri, respingendo le invettive personali e la logica del nemico.
Lo diceva bene Immanuel Kant, che proponeva il piacere della conversazione tra persone diverse alla ricerca del bene comune.

Siamo tutti chiamati a ritrovare il gusto del nostro comune destino europeo, come diceva Milena Jesenska, la donna amata da Kafka, negli anni Trenta, dopo il patto di Monaco che portò i nazisti a Praga, bloccando sul nascere qualsiasi anatema nazionalista che possa generare pericolosi conflitti. Milena ha visto il suicidio e la catastrofe dell’Europa. Noi dobbiamo impedirlo.
I Giardini dei Giusti sono il luogo privilegiato dell’educazione alla pace e ai diritti delle donne e degli uomini in qualsiasi angolo del pianeta.
Li possiamo definire come una città immaginaria che stimoli le persone a pensare e a superare nei confronti dell’altro qualsiasi barriera e pregiudizio.

Purtroppo devo fare una constatazione amara. La memoria rimane una cosa vuota se non genera nuovi comportamenti. È fin troppo facile dichiararsi dalla parte giusta rispetto al passato nazista e dire di provare compassione per gli ebrei e i perseguitati e poi diventare indifferenti a quanto ci accade intorno. La memoria non è un antidoto nei confronti del male se non siamo disposti a cambiare e ad ascoltare l’altro.

È questa allora la grande originalità dei Giardini, che devono ispirare nuovi comportamenti. Per questo noi di Gariwo ci siamo ispirati all’esperienza di Charta ’77, dove Jan Patočka e Václav Havel invitavano i cittadini praghesi a reagire al conformismo e alla servitù volontaria con una assunzione di responsabilità nella vita quotidiana. Non solo firmavano un documento di adesione a certi principi etici, ma si impegnavano personalmente a diventare attori di nuove e buone pratiche nella società.

Il mondo di oggi: la cultura del nemico e del disprezzo

Ma in che tempi viviamo oggi? La generazione di cui faccio parte ha visto, per lo meno in Europa, la fine dei conflitti, la sconfitta delle dittature e del totalitarismo comunista, la crescita delle libertà, dei diritti e di un mondo condiviso. Sembrava per certi versi una marcia inarrestabile, dove si poteva immaginare un orizzonte cosmopolita e il rafforzamento delle istituzioni sovranazionali per affrontare le sfide del nostro tempo, e in primo luogo i cambiamenti climatici.
E invece oggi la crisi economica, i grandi problemi delle migrazioni, le ineguaglianze provocate dalla globalizzazione, stanno provocando un ritorno ai nazionalismi, alle identità etniche, alla chiusura in se stessi.
Sembra mancare la volontà politica di riformare le Nazioni Unite e la comunità europea, per affrontare su nuove basi le sfide globali.
Ciò che più colpisce è che, in modo molto allegro e per certi versi inconsapevole, molti abbracciano l’idea di un nemico da cui difendersi e quella della chiusura nelle proprie identità come soluzione di tutti i problemi.

La cultura del nemico si ripresenta fra chi sostiene che bisogna ribellarsi a qualsiasi vincolo internazionale proponendo di mettere al primo posto gli interessi del proprio Paese. Pensiamo agli slogan “American First di Trump”, o “prima gli italiani” di Salvini, o prima i polacchi o gli ungheresi di Kazynski e Orban, o alle minacce dell’Iran o di tutti i fondamentalisti in Medio Oriente.

Tutto questo viene raccontato con grande euforia, ma può presto diventare l’anticamera di nuovi pericolosi conflitti nel mondo. Si comincia con gli insulti, con le minacce dei politici sui social, con parole che propongono la resa dei conti, ma tutto questo può rapidamente degenerare da un giorno all’altro in una forza incontrollabile che sfugge al controllo degli esseri umani. È l’ipseità della guerra, come spiega bene Sylvain Tesson nel suo libro “Un’estate con Omero”.
Quando la guerra prende corpo a partire dalla miccia innescata dalle pulsioni incontrollate vive di vita propria, come una persona, e gli esseri umani ne sono catturati e condizionati. A quel punto gli uomini devono per forza combattere.
Diventa a quel punto difficile potere scegliere. Quando si mette in moto il meccanismo della guerra è troppo tardi. È accaduto per la guerra di Troia, dove gli eroi omerici esitavano a combattere, ma poi ne furono tutti trascinati.

Il gusto della contrapposizione viene addirittura presentato come una operazione salvifica da Steve Bannon, il massimo teorico dei nuovi nazionalismi che sogna la rigenerazione del mondo attraverso la ribellione dei Paesi ai poteri sovranazionali. È come dire che ci vorranno le guerre per costruire nuovi assetti nel mondo.
L’internazionale populista che si vorrebbe fondare a Bruxelles è un vero e proprio controsenso, perché nella storia non si è mai vista la solidarietà tra i nazionalismi: un nazionalismo vive soltanto nella contrapposizione con l’altro. Chi accende le micce dell’odio e del rancore non le può controllare.

La cultura del nemico si è oggi radicata attorno al problema dei migranti. Li si presenta non come una pluralità variegata di uomini e donne con storie, opinioni ed esperienze diverse, ma come una massa uniforme composta di lavativi che vorrebbero vivere sulle nostre spalle e che sono imbevuti di una cultura antagonista alla nostra che vorrebbe contaminarci portando la sharia in Europa.
I musulmani sono indicati da alcune forze come i nostri più pericolosi nemici, da cui dovremmo difenderci. Non solo non c’è passione per lavorare con loro per una interazione sui valori democratici, ma chi cavalca la paura per la loro presenza non si assume nessuna responsabilità per lo sviluppo economico dell’Africa, e nemmeno è interessato ad aiutare i Paesi arabi ed africani a percorrere la strada della democrazia, preoccupato soltanto di ergere una barriera poliziesca ai nostri confini per impedire la fuga di chi si batte per la sopravvivenza.

Un esempio clamoroso di questa indifferenza verso i diritti umani nel mondo ci viene dall’assassinio atroce del giornalista Jamal Khashoggi. Il presidente Trump ha dichiarato che la questione dei diritti umani in Arabia Saudita (anche il delitto più terribile) era per lui secondaria rispetto agli interessi economici degli Stati Uniti. Che importa, ha sostenuto il presidente americano, se c’è un dittatore sanguinario e ci sono degli esseri umani che soffrono a causa sua, basta che quel Paese faccia dei buoni affari con noi e che sia un nostro alleato.
Non è solo il presidente americano a pensarla in questo modo. I sovranismi deresponsabilizzano i cittadini a sentirci partecipi di quello che accade nel resto del mondo. Papa Francesco ha usato per questo una grande espressione: la globalizzazione dell’indifferenza. Sembra venire meno una spinta ideale a prevenire i genocidi, a risolvere i conflitti, a interrompere le guerre. La Siria e lo Yemen sono uno dei tanti esempi di una fuga di responsabilità da parte della comunità internazionale. E il nostro Paese, impegnato in una opera di respingimento dei migranti, è del tutto assente sulla scena internazionale.

La cultura del nemico non contrappone solo una nazione contro l’altra (come accade per esempio da noi, dove improvvisamente i francesi e i tedeschi sono presentati come gli ostacoli al nostro benessere), ma tocca la stessa vita democratica. Quando qualcuno che ha vinto le elezioni si erge ad assoluto portavoce del popolo, come ricordava Karl Popper, nega che il popolo abbia una pluralità di rappresentanze e cerca la scorciatoia piegando la vita politica ad una sola opinione. Da qui nascono gli attacchi alla stampa, ai corpi intermedi dello Stato, alla magistratura, agli organi della democrazia rappresentativa, allo stesso presidente della Repubblica.
Tutti quelli che non rappresentano il loro elettorato vengono considerati fastidiosi e ingombranti. Chi esprime posizioni diverse viene considerato come un nemico, un portatore di complotti. 
Per alcuni politici addirittura il consenso nella rete diventa più importante della verifica nelle istituzioni rappresentative. I social e i like sono il nuovo soviet, la vera espressione della volontà popolare, mentre il Parlamento e le istituzioni europee rappresentano un ostacolo.

Oggi c’è chi, come Orban, parla della legittimità della democrazia illiberale senza nessuna inibizione. Quanto è capitato in Ungheria, in Polonia, e in modo drammatico in Turchia potrebbe ripetersi anche da noi. Ciò che però colpisce nei discorsi che chiamano a raccolta le opinioni pubbliche contro i nuovi nemici è che tutto questo viene fatto in nome dell’esercizio della libertà.
Si potrebbe usare una definizione nuova: un illuminismo rovesciato e capovolto. Lo vediamo nei social e nella rete.
C’è chi infatti pensa di potere dire tutto su tutto, di prendere posizione senza avere nessuna conoscenza, di indicare al pubblico disprezzo quelli che di volta in volta considera nemici del suo modo di pensare. Si sente così onnipotente e portatore di una verità assoluta che in realtà è soltanto la sua.
Kant, come ricorda il filosofo Rocco Ronchi, aveva chiamato gli individui a uscire dallo stato di minorità e usare la ragione senza che qualche autorità decidesse al loro posto. Il filosofo tedesco voleva esaltare la responsabilità personale dell’individuo, che così non era più minorenne e diventava finalmente un uomo maturo. Oggi però sulla rete si è affermato un concetto distorto della responsabilità.
Chi si esprime in un certo modo non riconosce la propria umiltà e non riconosce i propri limiti, ma pensa di potere esprimere un parere unilaterale su tutto - dalla scienza, alla medicina, alla politica e all’economia. Non si accorge che quando interviene ha una grande responsabilità, perché il meccanismo della rete potrebbe amplificare un pensiero non corretto e persino una menzogna.
Egli così può fare grandi danni per un uso improprio della sua libertà.

Ma non è solo questo. Chi si sente superiore a qualsiasi scienziato, a qualsiasi filosofo, a qualsiasi ingegnere, per forza di cose non cerca il dialogo e il confronto, ma è poi portato a stigmatizzare chiunque non la pensa come lui.
È anche in questo modo che si afferma la cultura del nemico. Non è un caso che nella rete si ritrovino spesso delle piccole tribù che amano le crociate e mettono a tacere chi la pensa diversamente. L’esercizio della libertà diventa così un apprendistato all’odio.
Tutt’altro dall’impostazione di Kant, che preconizzava la libertà individuale di un uomo responsabile e maturo. Oggi però nella rete non circolano solo dei saputelli, ma dei veri e propri professionisti che con l’uso di una tecnica sofisticata fanno circolare delle fake news e alimentano così l’odio. Siamo tutti chiamati a isolarli, perché il loro effetto si fa sentire nella società e condiziona il comportamento della gente.

Buone pratiche dei Giardini dei Giusti: i Giusti per l'ambiente...

Cosa possiamo allora noi fare per contrastare l’odio, l’indifferenza e la cultura del nemico?
Sono convinto che i Giardini dei Giusti che hanno prima di tutto un ruolo educativo possono proporre nelle scuole e nelle amministrazioni delle nuove pratiche e dei comportamenti esemplari. Possono infatti seminare e creare un meccanismo di emulazione positiva nella società. Come ha insegnato Spinoza, il bene si alimenta e si diffonde quando ci sono uomini che lo praticano.
Con i Giardini dei Giusti possiamo prima di tutto insegnare ai giovani che il mondo è una patria comune e che può sopravvivere soltanto con una cooperazione attiva.
Dobbiamo spiegare che siamo tutti connessi gli uni con gli altri nel mondo con i social, le comunicazioni, ma, come dice Agnes Heller, non siamo capaci di vivere con una responsabilità cosmopolita. Possiamo viaggiare nelle strade di internet e conoscere in diretta tutto quello che accade in ogni angolo del pianeta, ma non ce ne occupiamo.

Stiamo clamorosamente fallendo di fronte all’incombenza dei cambiamenti climatici. Siamo la generazione che vede ogni giorno i primi effetti del riscaldamento globale e rischiamo di essere la generazione che passerà alla storia per non avere fatto nulla per impedire delle catastrofi epocali, come la precedente che non ha impedito il genocidio degli ebrei, quando lo poteva fare.
Ecco perché dovremmo introdurre nei Giardini il tema dei Giusti per l’ambiente, che potremmo chiamare i Giusti per la salvezza del pianeta.
Il pericolo che incombe, paradossalmente, potrebbe spingerci tutti a ritrovare il senso di appartenenza ad unica natura. Del resto la parola cosmopolita nell’antichità aveva questo significato. Facciamo tutti parte della stessa natura e dello stesso cosmo, indipendentemente se viviamo a Roma, a New York, a Parigi, o a Gerusalemme. Probabilmente se siamo consapevoli di questa sfida potremmo sfidare la ristrettezza dei nazionalismi e i meccanismi dell’odio.
Che senso ha la divisione di fronte a un pericolo che sovrasta tutti? Come potrei essere contro i francesi, i tedeschi, gli israeliani, i russi, gli americani, se per affrontare i cambiamenti climatici dobbiamo costruire un fronte comune internazionale.
Mi vengono in mente alcuni grandi film di fantascienza come Indipendence day o Deep Impact, dove l’umanità si unisce contro una minaccia globale.

I Giardini dei Giusti non solo possono fare conoscere i migliori uomini impegnati nella difesa del pianeta, ma anche innescare nuovi comportamenti tra i giovani per la preservazione dell’ambiente. Come suggerisce l’artista e fotografa Anne de Carbuccia, dovremmo prima di tutto divulgare nella scuola e nella società le ricerche dei maggiori scienziati sui cambiamenti climatici e poi, per esempio, educare a non usare più le bottiglie di plastica che poi finiscono negli oceani, oppure appoggiare le imprese e le persone che adottano uno stile di vita sostenibile. 

... e i Giusti per l'Europa

Per combattere la cultura dell’odio e del nemico dobbiamo recuperare il significato della nostra comune appartenenza all’Europa e i valori fondanti di questo nostro destino, che vanno ben oltre alle stesse istituzioni. Vivere da europei significa prima di tutto difendere certi valori: l’apertura all’altro, il ripudio della guerra, l’educazione alla non violenza e al rispetto della pluralità e della dignità umana, la difesa della democrazia e dei diritti umani per ogni donna e uomo nel mondo.
Se ci muoviamo con questo spirito, potremmo rigenerare la comunità europea e sentirci parte di un orizzonte che va oltre la nazione in cui siamo nati.
Seneca ci ricordava un elemento fondamentale per l’educazione dei cittadini che dovrebbe valere per l’Europa di oggi. Ciascuno di noi è membro di due comunità: una che è realmente grande e comune, nella quale non esistono confini, l’altra è quella che ci è stata assegnata al momento della nostra nascita. È questa dialettica continua che da forza all’Europa. Chi oggi contrappone la nazione all’Europa e si rifiuta di accettare il senso di una appartenenza più grande, dimentica la storia tragica delle due guerre mondiali e ci porta a nuovi conflitti.

Ecco perché dobbiamo fare conoscere, attraverso i nostri Giardini, gli uomini Giusti che hanno costruito l’Europa, da Altiero Spinelli, a Simone Veil, a Bronislaw Geremek, a Lech Wałȩsa. È grazie al coraggio di questi uomini e alle loro battaglie se la nostra generazione è stata, per lo meno in Europa, più fortunata di altre e non ha conosciuto trincee o guerre, se ha visto cadere le dittature, i regimi fascisti e quelli comunisti e ha potuto viaggiare e lavorare liberamente in ogni Paese. Dobbiamo valorizzare i Giusti europei che hanno lavorato per la conciliazione tra nazioni che si erano fatte la guerra tra di loro o che avevano commesso i peggiori genocidi nei confronti delle minoranze.
Vorrei ricordare per esempio Willy Brandt che si inchinò nel ghetto di Varsavia per riconciliarsi con i polacchi e gli ebrei dopo i terribili crimini commessi dai nazisti in Polonia, o l’ungherese István Bibó, che nel 1948 chiese agli ungheresi di fare un profondo esame di coscienza sulle loro responsabilità nei confronti della Shoah, o Simone Veil in Francia, che dopo essere sopravvissuta alla deportazione ad Auschwitz vide nella costruzione europea l’antidoto più importante contro l’odio nazionalista e ogni pulsione che porta alle guerre.

Per dare forza a questo senso di appartenenza europea pensiamo che prima di tutto sia fondamentale l’insegnamento della storia e la conoscenza sia dei meccanismi che hanno creato i genocidi, i totalitarismi e le guerre, sia di quelli che hanno generato da esperienze negative la spinta alla costruzione dell’Europa. Ecco perché ci proponiamo di costruire con l’Università Cattolica di Milano, un centro permanente di formazione degli insegnanti, affinché i Giardini dei Giusti diventino nella scuola uno stimolo allo studio e all’approfondimento. Non si può raccontare il bene suscitando solo emozioni: occorre spiegare sempre il contesto storico.

I Giardini dei Giusti possono diventare un collante e un ponte tra diverse esperienze in Europa per la conoscenza di figure morali di riferimento e per creare sinergie e collaborazioni per battaglie comuni sui diritti umani. Immagino gemellaggi tra i diversi Giardini della comunità europea, viaggi degli studenti alla scoperta dei differenti Giardini nelle città, un concorso nelle scuole sui Giusti d’Europa. Immagino che in un liceo di Parigi, di Londra, o di Berlino si studino e si approfondiscano le storie dei Giusti ricordati nei Giardini italiani e viceversa.
Lo studio dei Giusti europei può diventare così una educazione permanente alla cittadinanza europea.

Il ruolo dell'Italia e la diplomazia del bene 

Sentirsi europei non significa dimenticare la vocazione nazionale del nostro Paese in un momento in cui ci sono forze che spingono ad una contrapposizione all’Europa e che trasmettono al mondo una immagine egoista e distorta del nostro paese. Ognuno oggi è chiamato a scegliere.
Vogliamo un Paese aperto, solidale, che crea ponti in Europa e nel resto del mondo, o dobbiamo subire una deriva che ne metta in discussione l’anima migliore? L’immagine morale del nostro Paese è nelle mani di ogni cittadino e Gariwo vuole dare un contributo importante in questo senso.
È anche su questo elemento identitario che possiamo combattere la cultura dell’odio e del nemico. Nella nostra storia, ad eccezione del periodo coloniale e delle leggi razziali del regime fascista, non c’è mai stata una identificazione etnica della nazione, perché siamo espressione di decine di etnie diverse che si sono integrate nella nostra penisola, come ricorda Giuliano Amato. Siamo quindi portati all’ospitalità e all’apertura all’altro.
Siamo dunque considerati nel mondo non solo come un Paese ospitale, ma con un’anima umanitaria che lavora per la conciliazione e la risoluzione dei conflitti.
Gli altri ci vedono come il Paese della bellezza, della cultura, delle arti, dell’architettura, ma anche come il Paese del Bene e della generosità.

La maggiore ricchezza per un Paese nelle sue relazioni internazionali è il suo carattere morale. Lo abbiamo perso durante il fascismo e le sue infami leggi razziali, ma oggi siamo tutti chiamati a custodire con orgoglio l’anima migliore dell’Italia. Ecco perché è molto importante il percorso che Gariwo ha cominciato con la Farnesina e che, con le rappresentanze italiane all’estero, abbiamo definito come la “diplomazia del bene”. L’Italia e il Paese europeo che è stato all’avanguardia nella proposta del discorso sui Giusti, prima portando il Parlamento europeo a votare la Giornata dei Giusti e un anno fa approvando nella scorsa legislatura la Giornata dei Giusti dell’umanità come solennità civile.
Così il nostro Paese è diventato il motore per la costruzione dei Giardini dei Giusti a livello internazionale in Inghilterra, in Francia, in Germania, in Grecia, in Bulgaria, in Libano, in Israele, in Tunisia, in Giordania, in Armenia, in Rwuanda, in Argentina, negli Stati Uniti.
Possiamo dire che in tutti questi Paesi i Giardini dei Giusti hanno un sapore italiano. Siamo diventati così messaggeri nel mondo non solo dell’arte e della cultura, ma anche della memoria degli uomini migliori dell’umanità.
Facciamo così conoscere non solo la bellezza dei quadri di Botticelli, di Leonardo, di Raffaello, ma anche le storie di uomini e donne come Armin Wegner, Giorgio Perlasca, Etty Hillesum, Milena Jesenska.
Se Israele è stato il primo Paese a ricordare i Giusti, oggi l’Italia sta diventando il grande amplificatore nel mondo di questa idea universale.

Contrastare l'odio attraverso l'educazione

Quali nuove buone pratiche possiamo diffondere nella società attraverso la creazione dei Giardini dei Giusti? Come i Giardini dei Giusti possono contribuire a spezzare la catena dell’odio e del rancore e creare comportamenti che creino amicizia e condivisione?
È questa la sfida più importante a cui sono chiamate tutte le scuole e le associazioni che con noi hanno iniziato questo progetto in Italia e in Europa.
Noi dobbiamo essere consapevoli che i possibili cambiamenti si manifestano prima di tutto a livello della quotidianità e negli atti concreti e normali delle persone - come diceva il sociologo Zygmunt Bauman, che per questo amava anche a novant’anni prendere l’autobus e il tram per i suoi itinerari nelle città, per potere ascoltare le parole della gente. È dunque sempre nella società che dobbiamo seminare, se vogliamo vedere dei risultati a livello più alto. Le istituzioni si trasformano a partire dal comportamento degli individui.
È l’effetto di quello che Havel e Patočka chiamavano a Praga il potere dei senza potere che poteva condizionare e modificare il vero potere.
Ma perché questo possa accadere ci vuole un processo di educazione permanente a livello sociale, e non una imposizione giacobina dall’alto.

Il primo compito è quello di creare delle esperienze comunitarie attorno ai Giardini che rendano possibile il superamento degli stereotipi e dei pregiudizi non solo tra la popolazione e i migranti, ma tra le stesse minoranze religiose e culturali. Immagino che i Giardini possano diventare luogo di incontro tra fedeli di religioni diverse, spezzare l’equazione che fa di ogni musulmano un potenziale terrorista o un propagandista della Sharia, ma anche affrontare alla radice il pregiudizio anti-ebraico tra quanti nelle comunità musulmane non riconoscono il diritto all’esistenza dello Stato ebraico. Accogliere non solo non è sufficiente, ma è anche sbagliato ritenere che i diversi messi assieme si possano arricchire a vicenda senza mediazioni con un processo automatico di cross-fertilization.

Se il primo passo è la conoscenza reciproca (Socrate diceva nei dialoghi di non sapere perché voleva prima di tutto conoscere l’altro), il passo successivo è quello di creare dei percorsi comuni dove ognuno, riconoscendo la comune umanità, sia impegnato ad assumersi una responsabilità sui problemi del nostro tempo - dall’emancipazione femminile, alla lotta contro la violenza e il terrorismo, alla battaglia per la pace. Ecco perché abbiamo proposto di invitare nei Giardini dei Giusti i rappresentanti di tutte le comunità religiose (musulmani, cristiani, ebrei buddisti) e di tutte le minoranze che vivono nel nostro Paese, affinché possano con noi diffondere il messaggio dei Giusti di tutto il mondo. I Giardini dei Giusti possono così diventare un luogo di accoglienza, di condivisione, di esperienze comuni.

Il secondo compito è quello di creare attorno ai Giardini un movimento di educazione che ponga freno alla cultura del disprezzo e del nemico nel dibattito politico e nell’uso dei social. Vorremo che i cittadini vigilassero e contribuissero nell’ambito delle loro possibilità ad impedire che nella vita pubblica prevalga la logica dell’insulto e delle invettive personali. Ogni cittadino dovrebbe con atto di responsabilità esprimere la sua riprovazione quando un politico si esprime con disprezzo, disumanizza le persone, racconta delle bugie e presenta chi la pensa diversamente come un nemico da abbattere. Ognuno di noi, indipendentemente dalle sue opinioni politiche, dovrebbe sentirsi impegnato a ricostruire una Polis di amici che discutano con garbo, si confrontino sul piano delle idee e rispettino le competenze e le conoscenze.
Una democrazia vera funziona quando nessuno si sente portatore di una verità assoluta o si autonomina rappresentante unico della volontà del popolo e cerca per il buon governo la cooperazione di tutti. Oggi però i cittadini hanno una responsabilità diretta quando si esprimono sui social. Ogni parola può avere un effetto immediato nella società perché, se condivisa, può essere letta da tutti.

Ecco perché è importante insegnare a dialogare con il gusto del rispetto dell’altro, a non fare circolare informazioni e notizie non verificate, ad accettare senza pregiudizi il confronto con opinioni differenti.
I social devono trasformarsi in un luogo di conversazione civile, nello spirito di Kant, utile alla conoscenza e alla condivisione, e non in un’arena dove delle tribù contrapposte vanno alla ricerca del nemico.
Perché i Giardini dei Giusti possono contribuire con le loro attività alla diffusione di una cultura del dialogo e possono diventare uno strumento per mettere un argine all’odio e alla cultura del nemico? Il motivo è nella loro genesi. I Giardini sono l’espressione della pluralità umana, perché raccolgono storie ed esperienze diverse e vogliono insegnare nuovi comportamenti nel tempo difficile e complesso che viviamo oggi.

Noi di Gariwo cercheremo di raccogliere e diffondere sul nostro sito e attraverso il nostro network tutte quelle esperienze esemplari che vanno in questa direzione.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

29 novembre 2018

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