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"Il negazionismo uccide due volte le vittime"

di Sargis Ghazaryan

Sargis Ghazaryan al Giardino di Milano

Sargis Ghazaryan al Giardino di Milano

In occasione del 99esimo anniversario del genocidio armeno, pubblichiamo l'intervento dell’Ambasciatore della Repubblica d’Armenia in Italia Sargis Ghazaryan al Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano il 6 marzo scorso.

È valsa la pena essere qui questa mattina. Raramente a Roma ci troviamo così circondati dalla cittadinanza, specialmente dai ragazzi. Voglio ringraziare Gariwo e Gabriele Nissim, che universalizzando il concetto di Giusto ha infranto uno stereotipo e fatto irruzione nella nostra quotidianità. Nel giro di pochi mesi è riuscito a creare il consenso per far approvare al Parlamento Europeo la Giornata dei Giusti. Oggi celebriamo il secondo anniversario di questa ricorrenza, un traguardo non facile da raggiungere, di certo.

Per questa occasione mi è stato chiesto di parlarvi di Beatrice Rohner. Ecco, confesso che ho scoperto la sua storia poche settimane fa, perché non sono molto note le storie dei Giusti del genocidio armeno. Pochi giorni fa tra l’altro ho conosciuto un altro Giusto, questo sia per gli armeni che per gli ebrei, Armin Wegner, che durante il genocidio armeno testimoniava con le sue fotografie – tra le poche che provano un intento genocida  – e poi all’inizio degli anni ’30 scrisse un J’accuse a Hitler dicendo che quello che Hitler stava per fare lui l’aveva già visto durante la prima guerra mondiale.

C’è in qualche modo questo filo conduttore anche nell’opera di Beatrice Rohner, svizzera, una pedagoga che si trasferisce per lavoro nell’Impero Ottomano. Scoppia la guerra e lei fa una scelta cosciente – c’è un prima e un dopo come con tutti i Giusti, c’è una ribellione, c’è un atto di libertà, con cui si dice no alla deumanizzazione dell’altro. Ecco, un omicidio individuale o di massa presuppone una deumanizzazione dell’altro. I Giusti salvano l’umanità perché trovano, individuano l’umano nell’altro. Anche lei in qualche modo sfida la furia omicida, quella furia omicida “rivoluzionaria”, quasi “progressista” del governo dei Giovani Turchi nel cuore dell’Anatolia, cioè molto lontano da quelli che erano i centri del potere, da dove c’erano i consoli e gli ambasciatori che potevano testimoniare l’eccidio degli armeni. Lo fa sfidando gli omicidi apertamente, tra l’altro in un doppio ruolo. Da un lato si occupa per conto dei triumviri degli orfani, dall’altro clandestinamente ne salva a centinaia finché a un certo punto, scoperta, le vengono sottratti i bambini, dei quali non si sa più niente. Beatrice Rohner rientra poi in Europa, dove organizza un gruppo di resistenza contro i nazisti. Ed ecco dove si individua quel filo conduttore.

È un filo conduttore estremamente importante, perché noi sopravvissuti e discendenti dei sopravvissuti dei genocidi abbiamo una triplice responsabilità.
Abbiamo la responsabilità della memoria, come strumento contro l’oblio. Nel 1939, il 23 agosto, a Obersalzberg Hitler raduna il comando della Wehrmacht e nell’incitarli a essere feroci prima dell’invasione della Polonia conclude il suo discorso dicendo: “Chi dopotutto si ricorda oggi degli armeni?”.

Noi abbiamo anche la responsabilità di combattere il  negazionismo e di farlo con gli strumenti dell’informazione e dell’istruzione. Perché è importante combattere il negazionismo? Perché il Novecento, il secolo breve, è stato un ripetersi di crimini contro l’umanità seguiti da silenzi che ne hanno generati altri. Il negazionismo è quell’atto finale che rende un crimine perfetto, perché è ideato, implementato e negato. Il negazionismo è il secondo omicidio delle vittime di un genocidio perché uccide la memoria.

La nostra terza responsabilità, che non è collettiva, è individuale, è la prevenzione quotidiana attraverso l’informazione, attraverso atti governativi, pubblici e non. È la lotta per la prevenzione dei genocidi. Ecco, l’Armenia ha fatto il suo. L’anno scorso, alla Convenzione per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha rinnovato il concetto stesso della Convenzione del 1948 di Raphael Lemkin, che si ispirava al concetto del genocidio armeno per coniare il termine legale “genocidio”. L’Armenia ha introdotto lo strumento dell’istruzione fondamentale e quello della lotta al negazionismo come mezzi fondamentali per la prevenzione dei genocidi. Credo che tradiremmo la memoria dei Giusti se non ci schierassimo in prima persona sul fronte della lotta per la prevenzione dei genocidi.

Mi rivolgo ora a don Barbareschi. Le assicuro che ero molto commosso quando lei parlava, e oggi porterò con me a Roma il suo consiglio di pensare alla fine di ogni giorno, all’atto di libertà che abbiamo fatto. Grazie.

Sargis Ghazaryan, Ambasciatore della Repubblica d’Armenia in Italia

Analisi di

15 aprile 2014

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