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Il posto dei Giusti è di fianco agli insorti

di Konstanty Gebert

Nel 70esimo anniversario della rivolta del ghetto di Varsavia, apre in città quello che sarà forse il più importante museo ebraico d'Europa. La decisione del governo di costruire accanto ad esso un memoriale per i Giusti polacchi ha tuttavia fatto esplodere le polemiche.  "Non è il posto giusto né il momento giusto, ora in quel luogo della rivolta e della sofferenza parliamo del dolore degli ebrei, non dell'eroismo polacco", è scritto in una lettera aperta del Centro polacco di ricerche sull'Olocausto dell'Accademia Nazionale delle Scienze.

Konstanty Gebert, intellettuale ebreo eroe della rivoluzione di Solidarność, si è detto contrario a questa opposizione. Di seguito riportiamo la sua riflessione.


traduzione dal polacco di Annalia Guglielmi


Il Centro di Ricerche sull’Olocausto dell’Accademia Nazionale delle Scienze si è espresso pubblicamente contro il progetto di costruire a Varsavia - nella Piazza degli Eroi del Ghetto, accanto al monumento agli Eroi dell’Insurrezione e al Museo della Storia degli Ebrei Polacchi - un monumento ai polacchi che hanno salvato gli ebrei. Si tratta di un giudizio autorevole: Barbara Engelking, Jan Grabowski, Jacek Leociak e gli altri ricercatori del Centro hanno fatto un lavoro enorme per smentire l’immagine eroica, ma purtroppo falsa, del rapporto tra polacchi ed ebrei durante l’occupazione tedesca. Da questo punto di vista il loro lavoro ricorda, mutatis mutandis, lo sforzo analogo compiuto dai “nuovi storici” israeliani Benny Morris, Ilan Pappe, Tom Segev negli anni ’90 per smascherare il mito eroico della guerra israeliana per l’indipendenza nel 1948.

In entrambi i casi questi coraggiosi ricercatori hanno dimostrato che l’eroismo è stato accompagnato dal tradimento dei valori fondamentali, e la grandezza d’animo da crimini terribili. In entrambi i casi essi sono stati condannati non solo da chi era in malafede, ma anche da persone per bene, che hanno ritenuto che quella critica potesse infangare la santità. Identificandomi sia con la storia polacca che con quella ebraica, capisco coloro che si sono indignati da una parte e dall’altra, ma preferisco rischiare di infangare qualcosa, piuttosto che permettere che la grandezza divenga un alibi per i furfanti.

Tuttavia, fare i conti con un mito nazionale non è mai un’attività sicura. Vent’anni dopo le loro importanti pubblicazioni, i vecchi “nuovi storici” israeliani hanno posizioni molto radicali e completamente opposte. Pappe è diventato l’ideologo di coloro che criticano non solo i crimini commessi al momento della nascita dello stato di Israele, ma addirittura la sua stessa esistenza. Morris, al contrario, oggi ritiene che allora sia stata messa in atto una pulizia etnica insufficiente, e che per questo Israele continui ad essere minacciato. Quindi, giudizi troppo intransigenti possono riproporre letteralmente la formula latina pereat mundus, fiat justitia.

Comprendo i ricercatori del Centro quando sostengono che un monumento ai Giusti polacchi accanto al monumento agli Eroi del Ghetto può diventare “il trionfo dell’autocompiacimento nazionale”. In sostanza, una vicinanza così forte dei due monumenti potrebbe servire a confermare il mito che “i tedeschi li uccidevano, noi li abbiamo salvati”. Questa è una visione del passato più semplice e più piacevole di “i tedeschi li uccidevano, i delatori li vendevano, e quei pochi che li hanno salvati vivevano nella paura degli uni e degli altri”. Alcuni Giusti avevano addosso questa paura addirittura cinquant’anni dopo, nella Polonia libera. Lo so, perché l’ho sentito dalle loro labbra.

E quindi, a maggior ragione, i Giusti meritano un adeguato riconoscimento, la stessa Wolna Rzeczpospolita dopo anni sostiene con rispetto che in quel momento sono stati loro a rappresentare la Polonia e non i loro ben più numerosi nemici. Il piazzale attorno al monumento agli Eroi del Ghetto diverrà lo spazio di un’interpretazione simbolica del capitolo della storia degli ebrei polacchi nel periodo dell’occupazione. Già ora vi si trovano un piccolo monumento che ricorda il Consiglio Clandestino di Soccorso agli Ebrei “Zegota” e uno più grande che ricorda la visita del Cancelliere tedesco Willy Brandt, che si inginocchiò, compiendo un grande gesto, davanti al monumento. Se non si trovasse là un posto per ricordare tutti quegli eroi che, all’interno di “Zegota”, ma non solo, hanno salvato gli ebrei, avremmo il trionfo del disprezzo nazionale. In quanto ebreo e in quanto polacco questa assenza mi offenderebbe.

È chiaro che sarà necessario guardarsi da un facile trionfalismo della memoria, dal quale giustamente i ricercatori del Centro mettono in guardia, come pure bisognerà vigilare perché la forma artistica e il messaggio storico del monumento siano adeguati. Ma non possiamo neppure dimenticarne il valore pedagogico. La piazza e il Museo saranno visitati da numerosi turisti. Quello polacchi, che spero siano consapevoli che il gruppo più numeroso di Giusti riconosciuti da Yad Vashem è quello polacco, non capirebbero perché in quel luogo non ci sia nessun monumento dedicato a loro. Quelli dall’estero, che spesso non conoscono il numero dei Giusti polacchi, potranno venirne a conoscenza grazie al monumento.

Una recente intervista del professor Jasiewicz dimostra chiaramente che non solo siamo minacciati dall’autocompiacimento, ma anche dal più classico antisemitismo, da una visione della storia secondo cui gli ebrei sono il ricettacolo di ogni male e per questo sono colpevoli del proprio destino. L’appoggio che l’opinione pubblica del web ha dato a questa idea è la prova non tanto della diffusione in Polonia dell’antisemitismo, quanto piuttosto del fatto che la storia polacco-ebraica viene descritta come un gioco a risultato zero: se gli ebrei perdono, i polacchi vincono e viceversa. Questo atteggiamento è una reazione di difesa a quello che sappiamo oggi sul destino degli ebrei polacchi durante l’occupazione. La sua assurdità è evidente, ma allo stesso tempo non bisogna intraprendere nessuna iniziativa che la possa rafforzare.

Quindi, non posso neppure essere d’accordo con una delle richieste che si trova nella lettera dei ricercatori del Centro affinché “il terreno del Ghetto di Varsavia rimanga come baluardo intangibile di memoria degli Ebrei uccisi”, chiuso ad altre memorie. È vero che alcuni tentativi di mantenere viva la memoria polacca non ebraica su questo terreno possono essere giustamente criticati dal punto di vista artistico e storico; ne ha scritto in modo convincente Elzbieta Janicka sul Festung Warschau. Ma creare una sorta di riserva della memoria solo ebraica vorrebbe dire  escluderla sia dalla memoria polacca che dal tessuto vivo della città e che queste due memorie non sarebbero una accanto all’altra, ma una contro l’altra.

È vero che in buona sostanza questo è accaduto spesso, soprattutto nei cinquant’anni del dopoguerra. È però anche vero che questo scontro ha deformato e snaturato entrambe le memorie. Il Museo della Storia degli Ebrei Polacchi deve essere il luogo in cui esse dialogano, anche se è vero che si tratta di un dialogo non sempre comodo. Creare tutt’intorno una fascia di esclusione sarebbe una mina posta sotto la missione del Museo e sarebbe anche semplicemente disonesto di fronte agli attuali abitanti non ebrei dell’ex quartiere ebraico e al loro giusto bisogno di memoria.

Konstanty Gebert

Analisi di Konstanty Gebert, giornalista e corrispondente di guerra

29 aprile 2013

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