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Il ricordo di un uomo Giusto

di Viviana Kasam

Renzo Gattegna al Giardino dei Giusti - novembre 2015

Renzo Gattegna al Giardino dei Giusti - novembre 2015

La figura pubblica di Renzo Gattegna è stata ricordata a ogni livello istituzionale: amato e ammirato da tutti, per le sue capacità di leadership, la sua correttezza e generosità, la sua capacità di coniugare il meglio della tradizione talmudica con un laicismo che non è mancanza di spiritualità, ma è il saper rispettare i confini tra la politica e la religione. Tra l’amore per Israele e il suo ruolo, svolto con rigore e autorevolezza, di Presidente delle Comunità Ebraiche italiane, in dialogo costante con le Istituzioni del nostro Paese.

Ma io vorrei qui ricordare l’amico. Leggevo poco fa l’articolo di un giornalista americano che identifica l’elezione di Biden come un ritorno alla decency, un termine che in inglese vuol dire molto più di decenza, perché implica un giudizio etico di moralità, onestà, tranquilla autorevolezza. Forse decent si potrebbe tradurre con perbene, anche se è una parola desueta, di sapore gozzanesco. Se penso alla persona che meglio incarna questo concetto, a una persona perbene in ogni piega della sua personalità, in ogni neurone del suo cervello, in ogni manifestazione della sua mente, penso a Renzo Gattegna. Al di là delle sue qualità intellettuali, delle sue capacità diplomatiche nel tenere il timone di una istituzione complessa e spesso conflittuale come l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, del prestigio che circondava il suo nome, Renzo era un uomo profondamente decent. Un Giusto del quotidiano. Una persona di cui ti potevi fidare. Un amico leale, che non ti avrebbe mai tradito. Un marito, un padre, un nonno amorevole e attento, rispettoso degli altri, sempre pronto ad ascoltare e aprirsi a nuove idee. E soprattutto saldo nel tenere fede ai suoi impegni, capace di mantenere la serenità di fronte alle critiche, e a portare avanti senza incertezze i progetti in cui credeva. Senza protagonismo, ma anzi lasciando spazio agli altri, valorizzando chi stava accanto a lui, come sanno fare solo le persone che hanno consapevolezza del proprio valore e non hanno bisogno di conferme esterne e di adulazioni.

Ho avuto il privilegio di lavorare con Renzo ad alcuni progetti che sono stati fondamentali nel mio percorso umano a lavorativo - e gliene sarò sempre grata. Grata della fiducia che mi ha dato, delle possibilità che mi ha aperto. Aveva una visione di ampio respiro, sapeva cogliere una idea e trasformarla con la sua capacità di visione. Fu così con il primo concerto per il Giorno della Memoria, I Violini della Speranza. Gli avevo parlato di Amnon Weinstein, il liutaio israeliano che ridà voce ai violini della Shoah. Pensavo a un concerto per la nostra comunità, fu sua l’idea di farne l’evento istituzionale per il 27 gennaio, fu lui che lo propose alla Presidenza del Consiglio, che aiutò me e Marilena Francese a trovare i finanziamenti, e ci difese senza esitazioni, anche quando qualcuno arrivò a chiedere sui social le sue dimissioni da presidente dell’UCEI per averci affidato l’incarico, ritenendo che il nostro desiderio di allargare i confini della memoria della Shoah non fosse condivisibile.

Renzo era (ma come è difficile parlarne al passato!) una persona che la fiducia, quando te la concedeva, te la concedeva incondizionatamente. Non si intromise mai nel nostro lavoro, e non cercò mai di strumentalizzarne il successo per darsi lustro. Non volle nemmeno salire sul palcoscenico a porgere i saluti istituzionali la sera del primo concerto. E dovetti insistere perché fosse a lui, l’anno successivo, a leggere i saluti del Presidente della Repubblica, che all’ultimo momento non era potuto venire. Schivo di onori e di protagonismi, cercò fino all’ultimo di tirarsi indietro.

Ho tanti ricordi di Renzo che si affollano nella mia mente, sconvolta dalla sua perdita. Cene in famiglia, con sua moglie, i figli, le nuore, i nipoti. Una famiglia meravigliosa, calda, accogliente, intelligente, generosa, come lui e come Ilana, la mia “sorella” rumena… Le feste ebraiche, quando mi invitava a casa perché sapeva che a Roma non ho famiglia. Gli incontri per parlare del mio lavoro di divulgazione delle neuroscienze, di cui era curioso e l’affetto con cui partecipava ai miei eventi, anche quando era stanco e preoccupato. Ma voleva esserci, come un vero amico. La fatica di vivere sotto scorta, e il rispetto e l’attenzione che dimostrava per i ragazzi che lo proteggevano, preoccupato di non fargli far tardi, perché in loro vedeva prima di tutto le persone.

Ma il ricordo che più mi attanaglia, è il suo sguardo l’ultima volta che ci siamo visti, dopo l’ictus che lo aveva paralizzato e privato della capacità di parlare. Nonostante la disgrazia, Renzo a era riuscito a mantenere una apparente (e forse anche reale) serenità, grazie alle cure, alle attenzioni, all’amore di cui era circondato. Non parlava ma riusciva a sorridere, a farti sentire che c’era comunque, lì con te. E quel suo sguardo azzurro, limpido, carico di sentimento e di affetto è il ricordo di lui che non mi lascerà mai. Il ricordo di un uomo Giusto.

Viviana Kasam

Analisi di Viviana Kasam, giornalista e presidente Brain Circle Italia

11 novembre 2020

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