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Iran, a che punto è la notte?

di Cristina Giudici

Dalla festa di protesta per le ragazze di Ekbatan alle cupe e rabbiose manifestazioni per fermare le esecuzioni in Iran, dove nel mese di maggio la macchina del terrore ha portato all’esecuzione di 214 persone. Il 2 aprile scorso le donne della diaspora iraniana ballavano con le italiane sulle note hip hop di Calm Down al Giardino dei Giusti del Montestella, durante un flashmob organizzato dall’associazione Maanà con la Fondazione Gariwo. Una festa (di protesta) ideata per solidarizzare con le cinque ragazze di Ekbatan che l’8 marzo scorso sono scese nella piazza di un quartiere periferico di Teheran, senza indossare il velo, per ballare e cantare il loro inno alla libertà.

Una danza quasi catartica - quella al Giardino dei Giusti, guidata dalla ballerina Saba Poori - che ha coinvolto la cittadinanza, attivisti e attiviste, rappresentanti delle istituzioni per attirare l’attenzione sulla ribellione scoppiata dopo l’omicidio di Mahsa (Jina, il suo nome curdo) Amini, il 16 settembre del 2022. In quella occasione il presidente di Gariwo, Gabriele Nissim, aveva lanciato un appello di speranza dicendo: "Dobbiamo diventare messaggeri della speranza. Abbracceremo con le nostre menti le ragazze di Teheran fino alla caduta del muro religioso di Berlino che le opprime, anche se tanti oggi rimangono silenti. Ci vogliamo impegnare affinché, nei tanti Giardini dei Giusti, fioriscano tante danze per la libertà e si gridi ad alta voce che a Teheran deve esser possibile un nuovo inizio di umanità per le donne".

Da allora, la resistenza iraniana della diaspora si è trovata ad affrontare una sequela macabra di condanne a morte e a organizzare proteste dove la gioia della danza è stata sostituita dal dolore, dalle lacrime, dalla rabbia incontenibile. Con attiviste e attivisti inginocchiati con il cappio al collo e le labbra serrate da un adesivo per ricordare a tutti cosa sta succedendo in Iran, dove atti di ribellione più mirati contro il regime e manifestazioni davanti al carcere di Evin stanno cercando di fermare la strage degli innocenti e le impiccagioni all’alba dei dissidenti. “Nel solo mese di maggio sono state uccise in media tre persone al giorno” ha ricordato Amnesty International, che ha lanciato e rilanciato petizioni. Come se il regime, preso di sorpresa dalla rivolta popolare, ora volesse regolare tutti i conti lasciati in sospeso con chiunque lo abbia sfidato. Un momento delicato per il popolo iraniano e per la diaspora, che nel frattempo ha esteso la propria rete in Italia, in tutta Europa, e continua a reagire con determinazione.

Sebbene sia difficile anticipare le mosse dei mullah che hanno stretto accordi diplomatici con l’Arabia Saudita e sono riusciti ad ottenere un controverso scambio di prigionieri in Belgio, dove è stato rilasciato il diplomatico iraniano Assadollah Assadi (condannato per terrorismo ) per ottenere la liberazione del cooperante belga Olivier Vandecasteele, tenuto in ostaggio in Iran. “Abbiamo contato un impiccagione ogni sei ore”, ci ha raccontato più volte la presidente di Maanà, Rayhane Tabrizi, che con la sua associazione e la diaspora iraniana non ha mai smesso di manifestare, mandare appelli, informare, intervenire in ogni dove per chiedere di fermare la macchina del boia. Secondo l’organizzazione umanitaria Iran Human Rights nel 2023 le esecuzioni sono state 314, fra cui anche quelle di sei donne. Il direttore di Iran Human Rights, Mahmood Amiry-Moghaddam, ha dichiarato: "Lo scopo dell'intensificazione delle esecuzioni arbitrarie da parte della Repubblica Islamica è quello di diffondere la paura sociale per prevenire le proteste e prolungare il suo governo”. 

Le attiviste di Maanà hanno ora allargato il proprio raggio di azione e alzato il sipario anche sulla violenza predatoria del regime che in Iran ha compromesso l’ecosistema, partecipando al KlimatFest, mentre Delshad Marsous, fashion designer e suo marito Tehar Nikkhah Abyaneh, visual artist, stanno organizzando una mostra internazionale di artisti iraniani. Insieme all’Unione attivisti iraniani e tanti altri dissidenti monitorano ogni passo del regime, organizzano proteste anche per far sapere ai ribelli in Iran che non sono soli. Divulgano ogni informazione sulla ribellione, i sabotaggi contro i mullah, la resistenza dei beluci, la minoranza sunnita che da oltre 8 mesi ogni venerdì scende in piazza il giorno della preghiera nella città di Zahedan dove il 2 giugno scorso i manifestanti hanno gridato “Da Zahedan a Teheran, darò la mia vita per l’Iran” mentre nelle università di Teheran si protesta pacificamente contro le espulsioni degli studenti e i licenziamenti dei docenti. La diaspora non si ferma, non può né vuole fermarsi perché ora anche le giornaliste Elaheh Mohammadi e Niloofar Hamedi, in carcere da otto mesi, rischiano l’ergastolo e la pena di morte per aver svelato al mondo intero l’assassinio di Mahsa - Jina Amini. Niloofar Hamedi è stata la prima a dare la notizia della brutale uccisione di Mahsa, Elahe Mohammadi ha seguito la cerimonia della sua sepoltura. Dopo otto mesi di detenzione, è iniziato il processo arbitrario e sommario nella sezione 15 del Tribunale di Teheran, presieduto dal giudice Abolghassem Salavati, tristemente noto per le sue condanne a morte degli oppositori.

Le attiviste e gli attivisti di Maanà ora stanno pensando anche come fare ad aiutare numerosi studenti fuggiti in Turchia dove stanno curando i corpi feriti dall’atroce repressione delle rivolte e riuscire a farli venire in Italia. “Giuro sul sangue dei nostri compagni, resisteremo fino alla vittoria”, hanno urlato alla ultima manifestazione nei giorni scorsi per far conoscere gli slogan di chi, davanti alle carceri, cerca di fermare le esecuzioni. Una promessa che risuona in Iran ed è anche la loro promessa. E verrà mantenuta nonostante l’Occidente resti silente e abbia persino nominato Ali Bahreini, ambasciatore della Repubblica islamica, a presiedere il Social Forum 2023 del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (una petizione dell’organizzazione UN Watch che monitora le politiche dell’Onu ha raccolto 89mila firme per evitare che accada). La rivolta e diaspora non si fermano, anche se tutti sanno bene che la ribellione iraniana non potrà essere un pranzo di gala.

Vi invitiamo a partecipare a fianco della comunità iraniana alla manifestazione "Global Rally: Europe! Stop relationship with Islamic Republic" a sostegno della rivoluzione del popolo iraniano. La manifestazione si terrà domenica 11 giugno alle ore 11.00 in via Monte Rosa 88, di fronte alla sede del Consolato Generale della Repubblica Islamica dell'Iran di Milano, organizzata dalla Associazione della diaspora iraniana Maanà
"Per l'Iran e gli iraniani la cui voce di libertà non si è mai fermata; Per le vite delle madri che si sono dedicate alla rivendicazione dei loro figli; per il coraggio dei carcerati che non hanno smesso di combattere; Per i bambini che non sono mai tornati a casa; e per un futuro che non sia dei codardi, assieme alle altre città in Europa ci ritroveremo davanti al Consolato della Repubblica Islamica a Milano, stringeremo i pugni e grideremo la loro voce, e mostreremo al mondo che non smetteremo di combattere fino al giorno in cui abbracceremo il nostro Iran libero. Siate con noi per ampliare la nostra voce numerosi, determinati e uniti. Ringraziamo On. Quartapelle per averci sostenuto in questa battaglia".

Cristina Giudici

Analisi di Cristina Giudici, giornalista

6 giugno 2023

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Una danza al Giardino di Milano insieme alla comunità iraniana

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