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Isis, la definizione giusta

Di Antonio Ferrari

È chiaro ed evidente che la violenza più brutale non può essere catalogata e definita correttamente soltanto sulla base del risultato di ricerche etimologiche. Tuttavia, trovo stimolante la volontà di Gabriele Nissim di offrire uno spunto per trovare la definizione giusta di questo mostruoso Stato islamico (in realtà un non Stato), che è diventato la sinistra e sgradevole ombra che in questi tempi accompagna la nostra vita.

Nissim propone il termine "integralismo islamista omicida", e mi trova sostanzialmente d'accordo, perché le tre parole si saldano quasi alla perfezione. È vero infatti che le brigate dell'autoproclamato califfo Abu Bakr al Baghdadi (poco meno di 30.000 affiliati) sono composte da fanatici integralisti. È vero che si tratta di assassini, in pratica esaltati tagliagole con un ributtante gusto voyeuristico nell'esibire le vittime della loro più feroce violenza. Semmai ho qualche modesta riserva sulla parola "islamista", perché se è provato che l'Isis perseguita e massacra tutti i cosiddetti "infedeli", siano essi cristiani, yazidi, curdi, è altrettanto vero che sono tantissimi i musulmani che sono caduti nelle grinfie mortali del califfo e della sua ciurma. Ci sono ovviamente gli sciiti, che l'Isis considera storici nemici e pericolosi concorrenti, ma ci sono anche i sunniti moderati, e in principio tutti coloro che non accettano, anzi rifiutano sdegnosamente la logica del più cruento assassinio.

Se questo è il loro comandamento, allora il termine "islamisti" è improprio. Sarebbe forse più corretta una definizione sfumata, che so, "islamoidi", richiamando un'appartenenza religiosa più artificiale, superficiale e periferica: in sostanza, un sottoprodotto religioso in odor di eresia. È vero però che un termine per definire l'Isis va trovato, per ragioni di chiarezza, e per non cadere nella trappola della paura o della rassegnata indifferenza paventata da Nissim, che analizza il rischio di nuovi muri da contrapporre alla necessità della comprensione e del dialogo.

Il vero problema è che tutti stiamo vivendo una fase di estrema confusione. Chi conosce il Medio Oriente e le sue contorte dinamiche magari avrà qualche ragione in più per trovare almeno la bozza di qualche risposta. Certo è difficile spiegare che l'Arabia Saudita ha finanziato gli albori dell'Isis, e ora lo combatte; che gli Stati Uniti da una parte trattano con l'Iran sciita sul nucleare, considerandolo un interlocutore, dall'altra sostengono la coalizione sunnita che bombarda nello Yemen gli Houthi, sciiti sostenuti da Teheran; che Israele, in odio all'Iran, e spaventata dai piani di arricchimento dell'uranio del regime degli ayatollah, ha stretto alleanze con i nemici arabi sunniti, Arabia Saudita in testa, adeguandosi al motto "il nemico del mio nemico è mio amico". Sono soltanto alcuni degli spunti che, ogni giorno, complicano la situazione e, conseguentemente, la possibilità di decifrarla.

Quindi, ben venga la ricerca della "definizione giusta", anche se esiste un'urgenza primaria. Quale? Beh, sarebbe bene che l'Unione Europea, invece di procedere in ordine sparso, trovasse la volontà di reagire collettivamente, con determinazione, nei confronti dell'Isis e del pericolo che rappresenta. Se neppure davanti a rischi mortali riusciamo a collaborare, prigionieri come siamo dei nostri egoismi nazionali, le speranze di farcela, ahimè, si assottiglieranno.

Antonio Ferrari

Analisi di Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della Sera

1 aprile 2015

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