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István Bibó, genio etico dalla parte degli indifesi

le parole di István Bibó e Julia Vasarhelyi

Istvan Bibo e Julia Vasarhelyi al Giardino di Milano

Istvan Bibo e Julia Vasarhelyi al Giardino di Milano

Pubblichiamo di seguito l'intervento di István Bibó, figlio del Giusto, e Julia Vasarhely, figlia dell'amico e compagno di prigionia di Bibo Miklós Vasarhelyi, in occasione della cerimonia al Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano

Gentili Signore e Signori, Ragazze e Ragazzi), Ospiti d'onore,

Sono profondamente onorato di trovarmi di fronte a voi e desidero ringraziarvi infinitamente per l'invito anche a nome di mia sorella, che purtroppo non può essere con noi poiché suo marito è mancato due giorni fa.

Nostro padre, che l'Assemblea dell'Associazione per il Giardino dei Giusti di Milano ha ritenuto degno di includere nel Giardino dei Giusti, è spesso chiamato ingenuo, perché credeva che mantenere i principi e la morale non fosse solo auspicabile, ma a lungo termine anche indispensabile per una vera politica. In altre parole, pensava che l'onestà politica, il gusto e la moralità fossero concetti esistenti e necessari, e da questo trasse tutte le conseguenze per la propria vita.

Mio padre era considerato ingenuo anche per esser stato sempre dalla parte di individui, gruppi sociali o etnici che non hanno avuto alcuna possibilità o sono stati perseguitati. Questo suo impegno era sempre indipendente dalla società, dalla vita pubblica, dal governo, dal regime del momento, dai partiti politici, dai gruppi di opinione. Ma chi erano quelli senza possibilità e i perseguitati?

Erano lavoratori agricoli e contadini senza terra che vivevano in condizioni di profonda povertà negli anni '30 (più della metà della popolazione dell'Ungheria all’epoca); erano ebrei nel 1944, al cui salvataggio mio padre ha partecipato personalmente; erano tedeschi (Svevi) deportati dall'Ungheria e ungheresi crudelmente dichiarati altrettanto deportabili dal governo cecoslovacco nel 1945-46; era una vittima giudicata criminale di guerra in procedimenti segnati da vizi investigativi nel 1948; erano detenuti in carcere, condannati dal regime stalinista ungherese che non avevano alcuna speranza di riabilitazione nemmeno nel periodo del relativo disgelo del 1954; erano detenuti in carcere per aver partecipato alla rivolta del 1956 che furono esclusi dall'amnistia del 1963 (circa 3-400 persone).

Mio padre era ed è considerato ingenuo da molti anche perché, per l'assunzione di incarichi personali negli affari familiari, professionali o nazionali, l’intensità e la determinazione del suo impegno erano indipendenti delle prospettive di un esito positivo.

Questo era il motivo per cui scrisse e pubblicò nel 1948, negli ultimi istanti prima della presa del potere comunista, il suo studio "La questione ebraica in Ungheria dopo 1944”. Questo era anche il motivo per cui, come ministro del governo rivoluzionario di Imre Nagy, fu l’unico a rimanere nel Parlamento assediato dalle truppe sovietiche, il 4 novembre 1956; per questo è rimasto in Ungheria, anche se avrebbe potuto emigrare nel 1956-1957; questo era il motivo per cui aveva chiesto, senza riguardo per il suo destino personale, che il suo Memorandum sul significato storico della rivolta del 1956, scritto in febbraio e marzo 1957, fosse pubblicato sulla stampa di un Paese neutrale.

E infine questo era il motivo per cui, dopo la sua liberazione nel 1963, si è distanziato, non in modo dimostrativo, ma chiaro e fermo, dal regime di Kádár, a cui a quel punto era stato concesso un certo grado di legittimità dalle nazioni occidentali.

Oggi, in Ungheria, quelli che, soprattutto dal governo, tacciono su di lui, ma sono comunque costretti a dire qualcosa su di lui, dicono che era ingenuo. Io non considero questo un’accusa; secondo me è un disprezzo meschino e presuntuoso, che non vale la pena di discutere, perché tale discussione sarebbe senza speranza.

Sono estremamente felice che, sulla base dei valori europei, abbiate deciso di includere mio padre nel Giardino dei Giusti di Milano. Grazie mille anche a nome di mia sorella, e di tutta la mia famiglia.
István Bibó


Ho conosciuto István Bibó, o zio Pisti, come l’abbiamo chiamato in famiglia, quando avevo 13 anni. Lui era appena uscito dal carcere, e quando è venuto per la prima volta a casa nostra, miei genitori hanno parlato di lui con tale affetto e rispetto, che non vedevo l’ora d’incontrarlo. Già la prima impressione fu molto positiva: un uomo alto, magro, con grandi occhiali, dolce, timido, molto discreto, con un sorriso affascinante. La sua personalità irradiava saggezza e serenità. La sua pazienza, l’infinita tolleranza e la curiosità con cui ascoltava l’argomentazione del suo interlocutore mi hanno sempre molto impressionata. Anche perché il suo comportamento e il suo stile erano molto simili a quelli di mio padre, che adoravo. Poi, pian piano, ho scoperto che quest’uomo non era soltanto un grande teorico, un eccellente studioso di una straordinaria erudizione, ma anche un uomo molto coraggioso, un modello esemplare di resistenza ad ogni tipo di oppressione, di dittatura e di ingiustizia. In breve, una figura morale di riferimento per cui pensare ed agire in nome dei valori umani universali erano impegni complementari, inseparabili.

Quando mio padre morì, nel 2001, non a caso mi venne l’idea di seppellirlo nel cimitero di vecchia Buda, accanto al suo caro amico István Bibó. Però c’era una difficoltà: la tomba di Bibó era in un angolo isolato, quella parte del cimitero non era – e non e ancora – parcellizzata, e quindi ci voleva un permesso speciale. Riuscimmo ad ottenerlo, ed oggiriposano lì mia mamma e due altri amici di famiglia, compagni di idee e di carcere di mio padre: lo storico György Litván ed Árpád Göncz, il più popolare e amato Presidente della Repubblica d’Ungheria. Che bella compagnia!

Vado spesso al cimitero, mi siedo sulla piccola panchina davanti alle loro tombe, e mi chiedo cosa direbbero loro, che hanno dedicato la loro vita alla lotta contro le dittature, contro le ingiustizie, se vedessero il nostro Paese, dove l’attuale regime autocratico di Orbán distrugge sistematicamente, una dopo l’altra, tutte le istituzioni della democrazia in nome di una democrazia illiberale, incita all’odio contro i rifugiati, gli stranieri, le minoranze, contro chiunque la pensi in modo diverso da loro. Cosa consiglierebbero a noi democratici, europeisti, difensori dei diritti umani, delle libertà, per combattere i nuovi nazionalismi, l’intolleranza, la cultura dell’odio, le ingiustizie sociali, la distruzione del nostro pianeta? Peccato che non possano rispondermi e aiutarmi con la loro saggezza, ma la prossima volta, tornando da questa cerimonia, potrò finalmente “raccontare” loro qualcosa di molto bello: da oggi anche a zio Pisti, il più grande democratico ungherese del Novecento, il nostro genio etico, è dedicato un albero nella foresta dei migliori donne ed uomini dell’umanità.

Grazie per avermi ascoltato.
Julia Vasarhelyi

Istvan Bibo e Julia Vasarhelyi

Analisi di

18 marzo 2019

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