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Kaludka, la donna coraggiosa che preservò la memoria di Peshev

di Gabriele Nissim

Dimitar Peshev con Kicka e Kaludka

Dimitar Peshev con Kicka e Kaludka

Kaludka Kiradzieva, la nipote di Dimitar Peshev, ci ha lasciato. Insieme a sua sorella Kicka, si prese cura per anni del vicepresidente del parlamento bulgaro, artefice del salvataggio degli ebrei ma condannato dal regime comunista come antisemita e nemico del popolo.

Dei 43 deputati, che guidati da Peshev nel 1943, alzarono la loro voce in un documento politico a favore degli ebrei, venti furono condannati a morte nel 1945 dai tribunali comunisti, sei all’ergastolo, otto a 15 anni, quattro a cinque.

Peshev per miracolo sfuggì alla pena capitale, per il coraggio dimostrato dal suo avvocato ebreo, Josif Nissim Jasharov, ma dovette subire una dura condanna: quindici anni di prigione, i lavori forzati e la requisizione di tutti i beni.

Quando l’ex vicepresidente del parlamento uscì dal carcere era considerato dal regime come un criminale politico e non poteva più svolgere alcuna funzione nella società.

Le uniche persone che gli portarono conforto furono le due nipoti, che vissero con lui nella stessa casa a Sofia in via Neofit Rilski, fino alla sua scomparsa il 21 febbraio del 1973.

Kaludka si è dimostrata una donna coraggiosa. Negli anni bui del comunismo non si preoccupò mai della sua reputazione - per essere la nipote di un cosiddetto nemico del socialismo -, ma con grande dolcezza si adoperò per rendere meno cupa la vita dello zio condannato all’emarginazione.

Quando Peshev scrisse i suoi diari, raccontando le vicende del salvataggio degli ebrei e gli anni terribili dei processi staliniani in Bulgaria, Kaludka nascose in un cassetto senza paura tutti quei documenti preziosi, in attesa che suo zio, un giorno, potesse essere riabilitato.

Allora chi veniva scoperto con dei materiali compromettenti rischiava di complicarsi la sua vita, ma Kaludka, insieme a sua sorella, non ebbe mai un momento di esitazione. Era per lei importante salvaguardare quel materiale prezioso.

Quando la incontrai a Sofia nel 1995 fui la prima persona a cui lei diede lettura di quei materiali, che poi furono la fonte più importante per la stesura del mio libro “L’uomo che fermò Hitler”.

Dopo la seduta solenne del parlamento bulgaro che, nel 1998, onorò per la prima volta la figura di Peshev e pubblicò in un edizione speciale il mio libro, Kaludka divenne in Bulgaria e nel mondo una testimone attiva per la memoria di suo zio.

Viaggiò in Italia per parlare di suo zio nel Costanzo Show, creando allora grande commozione nel pubblico televisivo; poi inaugurò con me il museo di Peshev a Kustendil, la bella città termale bulgara; si adoperò per la creazione della Fondazione Peshev in Bulgaria, che ogni anno premia i migliori giornalisti che si occupano di diritti umani; venne a Milano per piantare nel Giardino dei Giusti l’albero per suo zio; inaugurò in Israele, a Jaffa, nel quartiere in cui si stabilirono dopo la guerra migliaia di ebrei bulgari, il monumento e la fontana dedicata all’uomo che aveva reso possibile la loro sopravvivenza.

Kaludka ha avuto coraggio anche quando in Bulgaria, nel 2001, venne nominato come primo ministro Simeone, il figlio di re Boris.

Durante gli anni del suo mandato, i gruppi monarchici a lui legati hanno cercato di mettere in secondo piano il ruolo di Peshev nel salvataggio degli ebrei, alimentando il falso mito che Boris fosse il vero eroe, quando invece il re non solo fu il responsabile delle leggi razziali e della deportazione degli ebrei di Tracia e Macedonia, ma si adoperò in prima persona per allontanare Peshev dalla carica di vicepresidente del parlamento, dopo la sua iniziativa politica a sostegno degli ebrei.

Kaludka non si è mai piegata a questa manipolazione storica e non si è fatta mai incantare dai discorsi del figlio del re, che l’avrebbe voluta accanto per sostenere la grandezza di Boris III, facendo così di Peshev un’utile pedina della monarchia.

Lei ha continuato a difendere la verità sulla figura di suo zio, con la stessa dolcezza e determinazione con cui l’aveva accudito nei momenti della sua persecuzione.

Il suo sorriso mi mancherà.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

16 marzo 2015

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