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L'emozione Europa

di Ferruccio De Bortoli

Ferruccio de Bortoli al Teatro Franco Parenti

Ferruccio de Bortoli al Teatro Franco Parenti

Riportiamo di seguito l'intervento di Ferruccio de Bortoli, giornalista, al terzo incontro del ciclo "La crisi dell'Europa e i Giusti del nostro tempo", organizzato da Gariwo in collaborazione con il Teatro Franco Parenti

Quando parliamo di Europa dobbiamo essere realisti e pragmatici: non dobbiamo dimenticarci le ragioni che hanno portato alla nascita di questo progetto politico ed economico. Nei giorni scorsi abbiamo assistito a una apparente distensione tra i 27 Paesi d’Europa a Roma. Sono state immagini decisamente belle; sorrisi, abbracci amicali, persino la Premier Polacca nel momento della firma, con un gesto delle mani, ha voluto dire ”mi avete convinto, firmo anche io” - o almeno noi l’abbiamo interpretato così. 

Sono passati pochi giorni e abbiamo subito visto l’atteggiamento dell’Ungheria di Orban, il quale ancora si oppone a una equa ridistribuzione dei migranti in Europa, benché il numero di costoro sia esiguo paragonato ai numeri che si trova a gestire il nostro Paese. Certo, bisogna ammetterlo, nel 1957 lo spirito era diverso. I sei Paesi protagonisti di quello storico anno si erano fatti da poco la guerra e firmavano il trattato pietra miliare della storia europea, circondati ancora da macerie. Le ferite della recente guerra erano visibili perfino nei corpi delle persone. Per fortuna, oggi, quelle ferite non sono più visibili, ma il loro ricordo ci ammonisce ricordandoci che la pace non è uno stato naturale della storia, e che la democrazia è apprezzata solo quando manca. In questi sessanta anni di relativa pace, abbiamo accettato come incontrovertibile dato di fatto che esista la democrazia e che questa possa essere sempre fruibile. La storia però, può sempre ripetersi. Io penso che l’azione di questi sei Paesi sia stata un grande gesto per il futuro, e credo che una delle immagini identitarie di questa Europa sia la stretta di mano tra Mitterrand e Kohl davanti al monumento ai caduti di Verdun. Il secolo scorso è stato pieno di lutti, massacri e continuo dolore, ed è nostro dovere morale raccontare la storia e mettere in guardia le nuove generazioni. 

Dobbiamo costantemente chiederci perché riemergono i fantasmi del passato, i quali, purtroppo, aleggiano ora sull’Europa dell’Est. Appare ai più un controsenso che siano proprio questi Paesi, i quali devono tanto all’Europa in termini di benessere e apertura economica, i protagonisti di un revival nazionalista e anti-europeo. Il cosiddetto “allargamento a Est”, fu una policy scelta dall’Unione Europea per evitare che questi Paesi potessero ricadere nell’incubo totalitario - incubo che paradossalmente oggi qualcuno rivede come un sogno da realizzare. L’allargamento a Est è servito per salvaguardare quelle istanze nazionali che oggi si ribellano all’Europa. Direi che la migliore definizione d’Europa è quella che la identifica come una “unione di minoranze”, nella quale ogni entità trova rappresentanza e accettazione. Abbiamo avuto fino ad oggi il più lungo periodo di pace della storia europea di sempre.

Ci troviamo ora davanti a un passaggio delicato. Questo è un anno di elezioni, in Francia, Germania, le quali ci tengono col fiato sospeso dato l’incerto e imprevedibile risultato. Questo potrebbe essere anche l’anno della rinascita europea, forte di una leadership congiunta franco-tedesca sostenuta da un voto popolare. Lasciatemi aggiungere che noi europeisti conviti non possiamo commettere una serie di errori. In primis continuare a pensare a quella Europa ”vintage”, nata dal meccanismo storico e che si sarebbe evoluta col tempo in una unione politica e territoriale sempre più ampia. Quella idea di Europa non esiste più purtroppo. Bisogna guardare la realtà e tornare a dialogare con il demos europeo: assistiamo infatti, giorno dopo giorno, a manifestazioni popolari che dichiarano quanto sono scontente di questa Europa. La globalizzazione ha portato all’esclusione della classe media, la quale si sente lontana dai principali processi decisionali e vota dei simboli - dei quali probabilmente non condivide le idee, ma che difendono la propria condizione. È la prima volta nella storia europea che i padri pensano che ai loro figli spetterà un futuro peggiore di quello che si auguravano. Tutte queste premesse non fanno altro che alimentare il flusso ideologico di quei movimenti e partiti più populisti o reazionari.

È sbagliato ammettere che chi è europeista si trova dalla parte giusta della storia, mentre chi non lo è sta dal lato sbagliato. Infatti un altro grande errore nella costruzione ideologica dell’Europa lo hanno commesso gli stessi padri fondatori, i quali credevano nella loro visione verticistica, che tutto cioè potesse scivolare verso il basso e la tanto agognata unione politica sarebbe nata di conseguenza. Gran parte della costruzione comunitaria fatta finora è stata fatta anche forzando criteri democratici, imponendo un disegno, seppur nobile, dall’alto, bypassando il processo di decisione democratica. L’elite europea non è stata in grado di dimostrare alle masse la bontà del progetto imposto dall’alto; l’errore è stato mettere ai margini della storia coloro che avevano dei dubbi, anche nella costituzione della moneta unica. Bisogna guardare i problemi e abbandonare la visione romantica dell’Europa, ricordandoci che l’Unione è nata attraverso cooperazioni rafforzate, cioè da velocità diverse, e l’unanimità totale tra ventisette Paesi sarà difficile da raggiungere.

La Gran Bretagna ha deciso di uscire da questa Unione, anche se in realtà la stessa era presente per non esserci; come un'infiltrata che difendeva i propri interessi. Questa manifestazione di uscita è da leggere come manifestazione di chiarezza.

L’alternativa a questa Unione cosa è? Autarchia? Isolazionismo? Il protezionismo nel breve periodo può essere efficace, Trump lo dimostrerà, ma nel medio periodo tutti perderanno. La soluzione è l’uscita dall’Unione? O la stravagante idea della doppia moneta o moneta fiscale?
Se vogliamo costruire l’Europa stando dalla parte della difesa dei suoi valori, non possiamo pensare di abbandonare tutti gli sforzi compiuti finora. Ribadisco che non possiamo più permetterci una visione romantica dell’Europa, quella del Manifesto di Ventotene, ma l’Unione va ripensata e ricostruita, ritornando a emozionare le masse, parlando di valori e non di interessi.

Ferruccio De Bortoli

Analisi di Ferruccio De Bortoli, giornalista, presidente Fondazione Corriere della Sera

30 marzo 2017

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