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L'eredità morale della bambina che andò contro Stalin

Gabriele Nissim in memoria di Luciana De Marchi (1924-2022)

Pubblicato originariamente su Il Foglio - inserto il 21 marzo 2022

Ironia di una storia che sembra non finire mai. Mentre a Mosca è stata messa fuori legge Memorial, l’organizzazione che ha cercato di raccontare ai russi la storia delle vittime del gulag e migliaia di ragazzi sono arrestati perché protestano contro la guerra, è morta la bambina contro Stalin, la Luciana De Marchi protagonista di una vicenda umana straordinaria negli anni della Russia di Stalin.

Ho raccontato la sua vicenda, in un libro pubblicato nel 2007, ma devo anche dire che Luciana mi ha costretto ad entrare nella sua vita. Voleva che diventassi parte della sua battaglia che aveva cominciato da ragazzina in Unione sovietica, quando nel 1937 suo padre, un documentarista, era stato arrestato e lei, a differenza di tanti altri colpiti in famiglia dalle purghe staliniane, non volle mai dimenticarlo.

Era costume che i figli dei cosiddetti nemici del popolo rinnegassero i loro genitori, seguendo l’esempio di Pavlik Morozov, diventato un eroe sovietico per avere denunciato nel 1932 il padre che durante la collettivizzazione forzata per sopravvivere non aveva voluto consegnare il grano alle autorità statali.

Quando però Luciana fu sottoposta a un esame per entrare nella gioventù comunista si rifiutò orgogliosamente di prendere le distanze dal padre e perentoriamente dichiarò ai suoi interlocutori che l’avevano provocata: “Io posso credere soltanto a mio padre. Fatelo uscire di prigione ed egli potrà raccontare a tutti la verità. Mio padre è comunista e io sono qui perché voglio diventare comunista come lui”.

“Credi forse che il partito possa sbagliare?”.

“Sì, c’è stato uno sbaglio, perché mio padre è buono”.

Per tutta la vita Luciana è andata alla ricerca della verità sulla scomparsa del padre, per poi finalmente scoprire che lui, un comunista italiano, amico di Gramsci, andato esule a Mosca, era stato arrestato e fucilato a seguito di una delazione di alcuni esponenti del partito italiano diretto da Togliatti. Quando ancora si trovava in Italia, infatti, il padre era stato accusato falsamente di aver fatto i nomi dei suoi compagni di lotta politica alla polizia. Questa accusa rappresentava il peccato originale della sua vita, da cui non poteva mai riscattarsi. Così quando Stalin cominciò le purghe e le fucilazioni di massa il suo nome era tra coloro che dovevano essere eliminati. Un ebreo nel nazismo era colpevole per essere nato, nella Russia di Stalin invece lo stigma nasceva dal verdetto del partito e un essere umano non poteva più liberarsene.

Luciana per lunghi anni riuscì mantenere in vita la memoria di suo padre nei suoi rapporti personali e finalmente al tempo di Gorbaciov potè parlare ad alta voce e trasformare la sua resistenza personale in una storia pubblica. Così, quando ho scritto il libro sulla sua vita, mi ha trascinato a diventare il messaggero della riabilitazione di suo padre. Insieme a Piero Fassino e a Emanuele Fiano siamo così andati a ricordarlo a San Pietroburgo nel cimitero di Levashovo, dove ancora oggi sono sepolti nelle fosse comune migliaia di vittime dello stalinismo. È stato un grande gesto morale da parte dell’allora segretario del partito nato dopo la fine del Partito comunista. Anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si era voluto assumere la responsabilità morale di quel passato tragico ricevendola con me al Quirinale.

Oggi la memoria della battaglia personale di Luciana assume un significato particolare per quanto sta di nuovo accadendo nel paese che le aveva tolto il padre.

Chi lotta oggi contro le menzogne di Putin e si batte contro la guerra e per i diritti umani ha raccolto la sua eredità in quella staffetta del bene che avrà fine soltanto quando la democrazia in Russia diventerà finalmente un fatto normale.

Per questo mi auguro che Luciana possa essere ricordata in qualche giardino come una giusta per la memoria del terrore staliniano alla stregua dei sopravvissuti della Shoah che non hanno mai voluto tacere. E’ questo il mio impegno per lei, ora che ci ha lasciato.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

21 marzo 2022

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