Gariwo
https://it.gariwo.net/editoriali/l-iran-un-anno-dopo-26499.html
Gariwo

L'Iran un anno dopo

di Cristina Giudici

Alla vigilia della commemorazione dell’omicidio di Mahsa Jina Amini - vissuta dalla diaspora con febbrile agitazione e in Iran anche col terrore per la nuova ondata di arresti, intimidazioni e violenze - bisognerebbe porsi diverse domande; perché è difficile fare un bilancio di una ribellione scoppiata 12 mesi fa contro il regime della Repubblica islamica. Sebbene scossa da una rivolta radicata e diventata trasversale oltre che intergenerazionale, la teocrazia sembra essere ancora molto lontana dall’eventualità di un cambio di regime. “Al punto che l’Iran ha chiesto di entrare nei Paesi delle economie emergenti dei Brics”, osserva l’attivista digitale Pegah Moshir Pour che ha portato all’ultimo festival di Sanremo un monologo sulla protesta “Donna, vita e libertà”. Anche lei, come tanti, è divisa fra il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà perché sa bene che la società non tornerà indietro né abbasserà la testa ma sa anche che il prezzo da pagare sarà ogni giorno più alto. E si chiede “perché l’Iran debba continuare a piangere i suoi morti e perché potrà presiedere il Social Forum 2023 del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. E anche perché nessuno abbia impedito a una delegazione di imprenditori iraniani di fare un incontro alla Camera di Commercio di Roma (nel maggio scorso, ndr) e all’ambasciatore iraniano di creare nei giorni scorsi un canale con gli imprenditori italiani”. Infatti all’inizio delle proteste la comunità internazionale ha mostrato una forte reazione alla violenza usata dal regime, ma la situazione è cambiata negli ultimi mesi e sembra che l’Occidente voglia tornare agli affari di sempre. 

Pegah Moshir Pour, che ha origini curde e ha partecipato a Venezia al panel “La Rivoluzione è donna” all’interno della rassegna ideata dalla parlamentare europea Alessandra Moretti “ABOUT WOMEN”, teme il caos per la commemorazione dell’omicidio di Mahsa Jina Amini, il 16 settembre, in Iran. “I familiari delle vittime sono furiosi, il regime sta cercando di fermare in modo brutale ogni protesta ma diversi dissidenti hanno già lanciato appelli per tornare in piazza. In ogni caso non dobbiamo chiederci se ci sarà un cambio di regime ma quanto tempo siamo disposti ad aspettare: la battaglia per l’emancipazione femminile è stata trasmessa da generazione in generazione, così come quella per la democrazia. Ora che tutta la società si è svegliata, non tornerà indietro”. Eppure questa data che coincide con un anno di battaglie, di sabotaggi, di resistenza quotidiana e di feroce repressione, omicidi, esecuzioni, potrebbe portare a una nuova fase della rivoluzione iraniana che si combatte anche in Occidente. “Ogni giorno abbiamo tenuto accesi i riflettori e un fuoco di speranza mentre vedevamo l’attenzione dei mass media spegnersi, nonostante le proteste non siano mai cessate”, osserva Leyla Mandrelli, una delle attiviste iraniane che ha contribuito a organizzare la manifestazione di sabato prossimo. Si chiamerà Mahsa Day e si terrà contemporaneamente a Roma e a Milano, dove arriveranno tutti gli attivisti iraniani del Nord d’Italia (a cui Gariwo ha dato la propria adesione). “La storia insegna che è importantissimo dare voce a livello internazionale alla lotta per la democrazia e la libertà dei popoli oppressi”, spiega invece Rayhane Tabrizi, presidente dell’associazione Maanà, che invita tutti a partecipare al corteo di protesta a Milano, dove interverranno diversi esponenti politici e attivisti della società civile.

Nel frattempo in Iran, la furia preventiva dilaga. Amnesty International ha tirato le somme così: “Le autorità iraniane hanno commesso una sequela di crimini di diritto internazionale per stroncare ogni minaccia al loro potere, ma l’impunità è stata sistematica. Non c’è stata una sola indagine per i crimini commessi durante e dopo la rivolta. Nonostante mesi di proteste contro il velo obbligatorio, le autorità non solo non hanno accolto le richieste di cambiamento, ma hanno introdotto una serie di misure che privano le donne dei loro diritti. Come il sequestro delle automobili, il divieto di accesso al lavoro, all’istruzione, alle cure mediche, ai servizi bancari e ai trasporti pubblici per tutte quelle che non indossano il velo. Si diffondono i discorsi d’odio da parte delle autorità che descrivono la lotta contro il velo come “un virus”, “una malattia sociale” o “un disordine” e che equiparano la scelta di non indossare il velo alla “depravazione sessuale”. Inoltre nei giorni scorsi le guardie penitenziarie del famigerato carcere di Evin hanno aggredito e picchiato una delle figure più emblematiche della resistenza femminile in Iran: Narges Mohammadi che aveva protestato per l’ennesimo suicidio di una giovane detenuta, sua compagna di cella, mentre una delle giornaliste che hanno divulgato la notizia dell’omicidio di Mahsa Jina Amini, Nazila Maroofian, è stata arrestata di nuovo il 30 agosto e in un audio angoscioso ha rivelato di essere stata stuprata in carcere. La lista nera della repressione preventiva per contenere ogni protesta si aggiunge a quella dei crimini perpetrati contro ogni dissenso. Cosa succederà il 16 settembre? Nessuno può prevederlo ma i luoghi più infuocati della protesta saranno sicuramente la città curda di Saqqez, dove i genitori di Mahsa Jina Amini hanno fatto sapere che andranno sulla tomba della figlia e dove l’esercito presidia già le strade e nel Beluchistan, dove vive la minoranza sunnita che per 12 mesi ha manifestato ogni venerdì. 

Cosa succederà dopo il 16 settembre? “L’anniversario delle proteste ‘Donna Vita Libertà’ è un crudo monito all’Occidente affinché vengano avviate indagini, basate sulla giurisdizione universale, sugli spietati crimini commessi dalle autorità iraniane”, ha dichiarato Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord. “È più che mai importante, affinché le vittime non siano lasciate sole nei momenti più bui, che i governi chiedano alle autorità iraniane di porre fine all’impiego illegale delle armi da fuoco contro i manifestanti e alle torture nei confronti dei detenuti e di scarcerare tutte le persone imprigionate per aver esercitato pacificamente i loro diritti umani”. Per quanto ci riguarda, bisognerà continuare a dare voce alle donne e al popolo iraniano che in questi 12 mesi ha mostrato di essere radicalmente cambiato. La rivoluzione "Donna, vita, libertà" è riuscita a radicarsi oltre che nelle scuole e nelle università, fra i lavoratori, gli ambientalisti e pensionati. Scatenata dall’omicidio di una giovane curda, uccisa per aver indossato in modo scorretto il velo, la rivolta avviata dalle giovani generazioni è riuscita a creare un ponte con le generazioni più anziane che hanno reagito in modo determinato davanti alla miopia e alla violenza del regime. Tutti con una buona ragione per continuare a ribellarsi e chiedere la fine della Repubblica Islamica. E infatti gli attivisti iraniani di Milano hanno scritto questo straziante ma inequivocabile appello: “Grida il suo nome. Il suo nome illumina il nostro percorso. Il suo nome è messaggero di libertà. Grida il suo nome. Il suo nome è portatore di vittoria, la vittoria dell’Iran. Il suo nome è la promessa del giorno in cui il vento accarezzerà di nuovo i capelli delle nostre giovani. Del giorno in cui nessun uccello sarà rinchiuso in gabbia. Grida il suo nome, sigillo della nostra libertà. Grida il suo nome perché le madri possano smettere il lutto. Grida il suo nome perché la luce possa vincere il buio della tirannia”.

Cristina Giudici

Analisi di Cristina Giudici, giornalista

15 settembre 2023

Non perderti le storie dei Giusti e della memoria del Bene

Una volta al mese riceverai una selezione a cura della redazione di Gariwo degli articoli ed iniziative più interessanti. Per iscriverti compila i campi sottostanti e clicca su iscrizione.




Grazie per aver dato la tua adesione!

Contenuti correlati

Scopri tra gli Editoriali

carica altri contenuti