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L'ironia di Václav Havel

editoriale di Gabriele Nissim

A Praga nell’aprile del 1986 Václav Havel e io ci siamo fatti beffe delle maglie della censura comunista per una settimana.
Ero andato in Cecoslovacchia per realizzare un documentario clandestino sul decennale dell’attività di Charta 77.
A differenza degli altri giornalisti televisivi che varcavano la frontiera con grandi apparecchiature e con permessi diplomatici, ero arrivato a Praga come un semplice turista, con una piccolo gioiello della tecnologia. Era la prima telecamera della Sony, l’Handycam, che si poteva tenere nel palmo di una mano e aveva le sembianze di un piccolo registratore a cassetta.
Con questo stratagemma riuscii a entrare nel sua casa sulla Moldava senza che gli agenti di polizia che la presidiavano mi fermassero identificandomi come un giornalista televisivo pericoloso per il regime.
Quando cominciai a intervistarlo si mise a ridere, dicendomi che gli ottusi dirigenti del partito non potevano nemmeno immaginarsi che quella piccola macchinetta che tenevo in mano fosse persino stata inventata.
Così ci venne un’idea: avrei potuto filmare le attività di resistenza dei giovani - che definiva “i ragazzi dell’antipolitica”- senza creare eccessivi sospetti. E poi, se la situazione fosse diventata troppo pericolosa, avrei lasciato quella macchinetta ai suoi amici perché filmassero per conto mio.
Chiesi ad Havel che cosa mi dovevo aspettare ed egli rise di nuovo e mi disse che al limite mi avrebbero fermato ma io ero molto fortunato dato che ero un occidentale. Ma poi per rassicurarmi spiegò che quello che avrei visto non era per nulla sovversivo e che difficilmente la polizia avrebbe potuto mettermi i bastoni tra le ruote perché avrei assistito a comportamenti di vita normale. Non capii subito il significato delle sue parole, ma più tardi compresi che questo era il segreto della resistenza morale che si faceva strada a Praga.
Havel insieme al filosofo Jan Patočka, morto per un attacco di cuore dopo un durissimo interrogatorio, aveva elaborato alla guida di Charta 77 una strategia di opposizione al regime comunista molto originale.
Non si trattava di organizzare per le strade manifestazioni di protesta che inevitabilmente sarebbero state soffocate dal regime, ma di dare vita ad una società parallela basata su nuovi comportamenti morali che mettessero in discussione la menzogna del potere totalitario.
Havel chiedeva ai suoi cittadini di creare nuove forme di aggregazione sociale dal basso in cui le persone si abituassero a dire la verità e proponessero delle soluzioni a tutti i problemi del Paese.
C’era in tutto questo uno stratagemma politico, ma anche un’intuizione di grande spessore sulle forme della politica.
I dissidenti per non cadere vittime di una repressione generalizzata non dovevano chiedere a gran voce il rovesciamento del sistema, ma venivano invitati a mostrarsi come delle persone normali che in modo non violento si assumevano una responsabilità personale nella loro vita quotidiana.


“Non dite che siete contro il potere, spiegava Havel, ma con il vostro comportamento suggerite alla società che c’è la possibilità di agire diversamente”.
Ebbi cosi modo di vedere nel corso delle mie riprese le nuove forme di organizzazione: dai i giovani che si ritrovavano con le chitarre sul Ponte Carlo per sperimentare strumenti inediti di dialogo e di solidarietà, ai professori che organizzavano le università volanti negli appartamenti, agli economisti che discutevano sulla situazione del Paese sulle panchine dei parchi, lontano dai microfoni nascosti. 
Allora non percepii subito la portata dirompente di questa impostazione, ma fu proprio questa strategia che creò le premesse per la Rivoluzione di velluto del 1989.
Il mio lavoro andò avanti senza intoppi e io raggiante senza più la paura di essere arrestato  girai una decina di cassette che difficilmente un reporter avrebbe potuto raccogliere.
Quando stavo per lasciare il Paese fui fermato alla frontiera con l’Austria dai doganieri che mi perquisirono l’automobile e mi costrinsero a spogliarmi, alla ricerca di documenti compromettenti.
Ma, come aveva intuito Havel, quando trovarono le mie cassette pensarono che contenessero dei brani musicali e mi lasciarono andare perché non conoscevano le nuove tecnologie.
Aveva vinto l’intelligenza contro la stupidità, come proclamava Charta 77.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

19 dicembre 2011

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