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L'utopia di Liliana Segre e la missione di Gariwo

di Gabriele Nissim

Liliana Segre, la superstite di Auschwitz che in questi anni con la sua determinazione ha dato il suo segno personale al Memoriale della Shoah di Milano con la scritta INDIFFERENZA, e oggi, come se fosse una ragazzina, è in prima fila nella campagna contro l’odio nei social e nel dibattito politico, in un bellissimo incontro mi ha confessato che avrebbe voluto intitolare la commissione contro l’odio che presiede al Senato con il nome di “utopia”.

Perché utopia, una parola che apparentemente sembra c’entrare poco con il lavoro di monitoraggio della commissione sulle degenerazioni del linguaggio?

La sua osservazione in realtà è molto profonda e viene da chi ha visto il male estremo e si rende conto che, nonostante tutti gli sforzi, anche la stessa memoria della Shoah non è l’antidoto per imprimere all’umanità una direzione diversa.

Mi ha persino espresso la preoccupazione che nel corso degli anni, con la scomparsa di tutti testimoni, anche la tragedia della Shoah potrebbe venire sminuita e messa in secondo piano, come del resto è accaduto per il genocidio degli armeni.

Una resa allora, come se dovessimo aspettarci il peggio per il nostro futuro?

Assolutamente no. Liliana, quando usa il termine utopia, vorrebbe richiamarci a un fine che dovrebbe guidare le nostre azioni. In ogni epoca, senza mai una sosta e una sicurezza certa, gli esseri umani sono sempre richiamati a ricominciare da capo e a scegliere in quale direzione andare. Non c’è una soluzione magica e ognuno nella sua vita è chiamato ad agire con il suo coraggio e la sua testa nello spazio che gli compete. Ma è la tensione ideale verso qualcosa che non sarà mai raggiunto definitivamente che ci dà la forza per agire.

Un mondo senza odio non esisterà mai su questa terra, per le caratteristiche degli esseri umani, chiamati costantemente a scegliere tra la bontà di cui parla Vasilij Semënovič Grossman in Vita e Destino e la prevaricazione del prossimo che nasce dalla ricerca del potere sull’altro. Si odia perché si vuole dominare e, per questo, con le parole si disumanizzano gli altri.

Proprio per questo motivo dobbiamo sempre immaginare un mondo dove prevalga la pluralità umana e il rispetto dell’altro. Senza utopia non si può vivere nella nostra quotidianità, anche se l’utopia non si realizzerà mai su questa terra, se non nei nostri sogni. È l’utopia che ci aiuta ad affrontare ogni volta nuove difficoltà. Non è quindi fantasia, ma è una modalità di vita. Chi ama la bellezza degli esseri umani e vuole preservare la sostenibilità del nostro pianeta troverà sempre dentro di sé delle energie insperate per affrontare compiti che qualche volta sembrano impossibili da raggiungere.

Con lo stesso spirito di Liliana Segre abbiamo precisato meglio i compiti di Gariwo sul territorio e a livello internazionale che discuteremo assieme nel prossimo network internazionale di novembre.

Con i Giardini dei Giusti e il nostro lavoro di educazione vogliamo rendere più concreto il grande sogno di Raphael Lemkin, che dopo la Seconda guerra mondiale con la sua incredibile battaglia personale per l’approvazione della Convenzione delle Nazioni Unite del 1948 volle che si affermasse un nuovo comandamento per l’umanità: non commettere più genocidi.

Era questa la sua grande utopia. Dopo la Shoah indirizzare il mondo, con una legge internazionale, a mobilitarsi per la prevenzione dei genocidi.

Lemkin aveva individuato tre possibilità di azione per impedire nel futuro dell’umanità nuove atrocità di massa:

  • L’individuazione delle forme di odio che preparano i genocidi.
  • La protezione internazionale delle popolazioni minacciate.
  • La messa in opera di tribunali internazionali che puniscano i colpevoli come forma di dissuasione.

Con la creazione dei Giardini dei Giusti nelle più importanti capitali del mondo e l’approvazione della Legge sui Giusti come prosecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite, ci proponiamo di aggiungere un nuovo capitolo alle grandi intuizioni di Raphael Lemkin, che per primo comprese che la più importante forma di memoria attiva fosse la prevenzione.

Raccontando e raccogliendo le storie dei Giusti, ci proponiamo di educare le società e i cittadini alla responsabilità personale, poiché è sempre a partire dalle scelte degli individui che non solo nasce la prima la scintilla che può porre argine al male, ma si creano le condizioni indispensabili per l’attuazione della legge internazionale progettata dal grande giurista polacco.

Quindi i Giardini dei Giusti possono diventare il luogo privilegiato dentro la polis, dove attraverso il racconto degli esempi morali più alti si educa costantemente la società alla prevenzione del male estremo.

In questo modo il comandamento morale della Convenzione - non commettere genocidi - trova una sorta di tempio laico dove i cittadini in ogni città possono riflettere e immaginare il contributo personale che possono dare per la salvezza delle persone minacciate in ogni parte del mondo.

Così attraverso i Giardini l’utopia di Liliana Segre, impegnata contro l’odio, e quella di Lemkin, contro le atrocità di massa, si radicano nel territorio con un percorso di autoeducazione che non avrà mai fine.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

5 ottobre 2021

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