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La Bulgaria e il mito dell'innocenza

editoriale di Gabriele Nissim

Dimitar Peshev, ritratto di

Dimitar Peshev, ritratto di (Ivan Minekov)

La Bulgaria è passata alla storia per il miracoloso salvataggio di tutti gli ebrei dell’interno durante la Shoah. Erano cinquanta mila. Non è successo in nessun altro Paese alleato della Germania che una deportazione programmata da un governo filo-nazista venisse revocata all’ultimo momento proprio dagli stessi uomini che avevano avallato le leggi razziali.

Eppure questa memoria continua ad essere manipolata. Durante gli anni del comunismo, il partito che aveva perseguitato e condannato a morte alcuni tra i più importanti artefici del salvataggio degli ebrei si presentò come il deus ex machina di questa operazione. Addirittura il potere cercò di candidare Todor Zhivkov, il segretario del partito, al premio Nobel per la Pace per il salvataggio degli ebrei, quando era noto che negli anni quaranta il partito aveva pochissimi membri e non aveva nessuna influenza politica per impedire la deportazione. Dopo l’89, anche a seguito della pubblicazione del mio libro su Dimiter Peshev (L’uomo che fermò Hitler, ed. Mondadori), cominciò una revisione storica e venne dato valore all’azione dei parlamentari guidati da Peshev e all’iniziativa della chiesa ortodossa dei patriarchi Stefan e Kiril, che con i loro interventi costrinsero il re bulgaro Boris III a fare marcia indietro e a non consegnare gli ebrei ai tedeschi. Poi però, quando nel 2001 fu nominato primo ministro Simeone, figlio di Boris, ebbe inizio l’ennesimo tentativo di manipolazione storica, per fare del re bulgaro il vero artefice del salvataggio degli ebrei. 

Chi aveva firmato le leggi razziali e dato il consenso all’operazione segreta che avrebbe dovuto concludersi con la deportazione degli ebrei venne così presentato come il migliore amico degli ebrei, ma era noto che, senza le pressioni ricevute, Boris avrebbe acconsentito senza troppi scrupoli allo sterminio degli ebrei. Negli stessi giorni, era il marzo del 1943, vennero infatti consegnati ai tedeschi circa 11 mila ebrei di Tracia e Macedonia, i territori che Hitler aveva riconsegnato alla sovranità bulgara.

Oggi nuovamente si è riacceso un dibattito storico. In seguito alla produzione del film della televisione macedone Terza metà, che ricorda come quegli ebrei furono deportati con l’assistenza della polizia e dell’esercito bulgaro, la stampa nazionale e i circoli politici bulgari sono letteralmente insorti e hanno parlato di un “incitamento all’odio” e di un tentativo rozzo di “falsificazione della storia della Bulgaria”.

Ricordando il salvataggio degli ebrei dei confini storici, i media scaricano le responsabilità della deportazione esclusivamente sui tedeschi e si rifiutano di aprire una riflessione autocritica sulla sorte degli ebrei macedoni. Il motivo è chiaro: si ritiene che la difesa intransigente della propria “innocenza” sia il modo migliore per preservare la propria reputazione nel mondo. Così, paradossalmente, la memoria del salvataggio degli ebrei dell’interno viene utilizzata strumentalmente per mettere a tacere nuovamente le responsabilità della corona.

Di fronte a queste nuove lacerazioni, un gruppo di intellettuali coraggiosi, che si ritrovano attorno alla rivista Obiective magazine, ha chiamato a Sofia esponenti dell’ebraismo, studiosi di tutto il mondo per discutere i nodi irrisolti della memoria bulgara in un grande convegno che si terrà all’inizio di ottobre. Difficile dire quale sarà l’esito perché l’autocritica morale è sempre un processo doloroso per tutti. Ma come ricordava Peshev, nel documento che presentò al Parlamento bulgaro nel marzo del 1943, la reputazione di una nazione si salvaguarda sempre nel non fare atti che possono essere motivo di vergogna per le generazioni future. Allora si trattava di fare di tutto per prevenire la deportazione degli ebrei, oggi di presentarsi al mondo con il coraggio della verità storica.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

3 ottobre 2012

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