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La Carta delle responsabilità di chi agisce nell'anonimato

di Gabriele Nissim

Pubblichiamo di seguito la riflessione del presidente di Gariwo Gabriele Nissim comparsa su Avvenire il 20 giugno 2017

Perché abbiamo scritto la Carta delle responsabilità e ci siamo lanciati in un’avventura che a prima vista può sembrare donchisciottesca e velleitaria e dare l’impressione che si tratta di uno sforzo inutile e che non cambierà nulla nel grigio panorama del nostro Paese?

Una risposta viene proprio dalla distanza che separa il mondo provinciale della politica italiana dai grandi problemi del nostro tempo. Shakespeare nell’Amleto parlava di un tempo “scardinato” che improvvisamente sparigliava ogni riferimento e costringeva ogni uomo virtuoso a mettersi in gioco per raddrizzare il corso degli eventi.

In un lasso di tempo molto breve, quando pregustavamo, come scrive Timothy Snyder, l’inevitabilità del progresso, come se la storia automaticamente potesse muoversi in una buona direzione, ci siamo invece ritrovati con un presidente americano incapace ed arrogante che nega i cambiamenti climatici e mina non solo l’idea di un mondo condiviso, ma la stessa alleanza con la comunità europea - che era il fulcro della politica americana dalla fine della Seconda guerra mondiale. A tutto questo si aggiunge la totale impreparazione dell’Europa nell’affrontare tanto le sfide dell’immigrazione provocata dalla grande povertà dei Paesi africani, quanto le minacce del terrorismo fondamentalista che ancora oggi non trova una resistenza adeguata nel mondo arabo e musulmano. Ecco perché - come scrive Salvatore Natoli - la gente, sentendosi spaesata e impotente, si chiude a riccio nel proprio ego e nei propri confini, o addirittura rifiuta il dialogo con l’altro come un fattore negativo di contaminazione, perché il mondo esterno viene percepito come un pericolo. La preservazione del proprio sé diventa così l’unico orizzonte perseguibile, nella totale indifferenza di quanto accade al di fuori.

In questo contesto drammatico, che ci potrebbe anche portare a nuove guerre fino a ieri inimmaginabili, diventa allora urgente riportare le persone ad affrontare senza scorciatoie e rimozioni le responsabilità che derivano dal vivere in questo tempo scardinato, come fecero quaranta anni fa a Praga Jan Patočka e Václav Havel dando vita a quella Charta ‘77, che segnò l’inizio della riscossa morale praghese e di tutta l’Europa sotto la dominazione sovietica.

Il punto di partenza è quello prima di tutto di fare i conti con le aporie del mondo presente. Tutti lo possono fare se sono capaci di uscire dalle piccole, anche se legittime rivendicazioni, per assumersi invece una responsabilità globale nei confronti del mondo. Come scrive con grande lucidità la filosofa Laura Boella, non si tratta di agire alla ricerca di visibilità, o di riconoscimenti, né tanto meno di apparire sulla scena pubblica come santi ed eroi, quanto piuttosto di pensare alle sorti del mondo, pur rimanendo nell’anonimato. È sempre la forza dell’esempio di chi sa camminare con la schiena diritta che crea emulazione nella società. Anche gesti che sembrano apparentemente inutili, se sono in sintonia con il proprio tempo, lasciano delle tracce che aprono delle strade agli altri.

Gli uomini responsabili non chiedono ai politici di cambiare il mondo al loro posto come sudditi passivi, per poi essere ogni volta delusi dai loro comportamenti, ma nel loro piccolo spazio di sovranità cercano di fare germogliare il seme del Bene.

Nella Carta che abbiamo presentato al Teatro Franco Parenti abbiamo indicato delle priorità che segnano le emergenze del nostro tempo: la prevenzione dei genocidi, il tema dei migranti e dell’accoglienza, la lotta culturale al terrorismo di matrice islamica, la costruzione dell’Europa, un nuovo galateo nella Politica, nel dibattito pubblico e sui social network che superi la logica del disprezzo, delle falsità e delle inventive che ripropongono la logica del nemico e dell’odio nei confronti degli altri, anticamera delle piccole e grandi guerre.

Non pensiamo di avere la verità in tasca, né tanto meno delle ricette miracolose, ma soltanto vogliamo indicare un orizzonte con cui volgere lo sguardo verso il mondo.

Per questo pensiamo ad una Carta delle responsabilità sempre vivente che si arricchisca di contributi e di allegati, come è accaduto nella vicenda decennale di Charta ’77, quando uomini di diversa estrazione si misero assieme riconoscendo che ognuno non poteva fare a meno degli altri perché ogni essere umano è portatore di una fragilità, di una fallibilità, di una verità parziale, di una differenza che però di volta in volta si può ricomporre nel dialogo e nell’esperienza comune.

La Carta non vuole essere soltanto una dichiarazione di intenti, o di più o meno lucide analisi, ma vuole diventare uno specchio per rendere visibili dei comportamenti esemplari che cercheremo di fare conoscere nei Giardini dei Giusti in Italia e in Europa, nelle scuole e in ogni ambito di educazione.

Il compito della Carta è quello di creare un movimento di emulazione attorno a quanti operano per l’integrazione, per l’accoglienza, contro la politica dell’odio, contro il terrorismo - come Alganesh Fessaha, Hamadi ben Abdesslem, il francese Antoine Leiris o Etienne Cardiles,il compagno del poliziotto assassinato a Parigi dai fanatici dell’Isis.

Quanti più protagonisti del bene del nostro tempo agiranno sulla scena pubblica, anche nell’anonimato, tanto più la Carta diventerà vivente.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

21 giugno 2017

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