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La didattica della Shoah: tre nodi concettuali

editoriale di Rita Sidoli

La linguistica afferma che le parole identificano un oggetto non linguistico – riguardante il mondo interiore o ciò che ci circonda - secondo due parametri; il primo – definito “denotazione” - raccoglie tutti i significati riconosciuti da un gruppo di parlanti come propri di quel termine; il secondo – “connotazione” – sintetizza gli aspetti affettivi, emozionali ed esperienziali che “quella” parola assume per un determinato parlante. Ad esempio, il termine “rivoluzione” ha un’area di significato condivisa da tutti gli italofoni, mentre il giudizio positivo o negativo sull’evento rivoluzionario, il fare riferimento ad esso come modello positivo di cambiamento sociale o il suo rifiuto dipendono dal profilo individuale del parlante.


Primo nodo: chi sono i Giusti?


Il termine “Giusto”, specie se indicato con la lettera maiuscola ed in riferimento al periodo storico della seconda guerra mondiale, è portatore di alcuni aspetti connotativi sui quali credo sia opportuno riflettere. Nella connotazione, al Giusto sono attribuite caratteristiche di bontà, eroismo, coraggio. In realtà, se si leggono le testimonianze di persone definite “giuste”, si osserva come esse non si riconoscessero tali caratteristiche: Perlasca o Schindler non si sono mai pensati come “buoni”; ricordo la registrazione audio di una intervista ad una contadina francese che aveva ospitato nella sua cascina, durante il Governo Vichy, una donna ebrea in fuga con due bambini; alla domanda dell’intervistatore sulle motivazioni della sua azione, la donna rispondeva chiedendo a sua volta: “Perché, lei non lo avrebbe fatto?”

Dalle testimonianze sui profili di personalità di coloro che si attivarono per la salvezza degli Ebrei emerge come i Giusti rifuggano dal considerare eccezionale il loro agire; affermano che – pur consapevoli dei rischi – non avrebbero voluto fare altrimenti. La definizione “quiet hero” eroe tranquillo o “silent hero”, eroe silenzioso, sembra ben definire tale profilo (1).
Il Giusto è colui che – di fronte a certi eventi – decide di agire con equità; non agisce per simpatia o amore, spinto da una fede politica o religiosa, anche se questi aspetti possono essere compresenti; è consapevole del rischio che affronta, è mosso dalla compassione per chi subisce la violenza, soprattutto decide di dovere assumere la responsabilità della scelta, contrastando l’ingiustizia, in coerenza con il proprio codice morale. Non è un eroe, o almeno non ama definirsi tale, anche se può esserlo agli occhi di chi lo guarda. La domanda sui percorsi di formazione di una personalità giusta è molto interessante; le ricerche sono numerose anche se resta spazio di indagine per gli studi che sappiano integrare - oltre agli apporti della psicologia, della pedagogia e della sociologia – le ultime scoperte delle neuroscienze.
Due brevi indicazioni in tal senso possono offrire i riferimenti per ulteriori approfondimenti.


  1.  Stereotipo e pregiudizio sono forme di giudizio da stigmatizzare o hanno una loro ragione neurologica? Essi rispondono a due esigenze del pensiero umano: velocità decisionale ed economia cognitiva; in altre parole, essi favoriscono l’immediatezza nelle scelte ed il risparmio delle energie mentali, attingendo al patrimonio dell’esperienza pregressa propria o altrui. In sé, queste forme semplificate di giudizio non sono necessariamente “cattive”; richiedono però la consapevolezza dei loro limiti e dei rischi che l’assenza di valutazione critica può indurre in colui che agisce. 
  2. Le ultime scoperte sui neuroni specchio e le radici neurologiche dell’empatia; scoperti come neuroni della corteccia premotoria, essi hanno evidenziato la loro capacità di attivarsi in relazione all’osservazione di movimenti altrui, anticipandone la finalità; l’indagine neurologica ha poi ipotizzato la loro funzione nella consapevolezza degli stati emotivi propri ed altrui; comunemente definita come un ambito della Teoria della Mente, tale abilità - precocissima nel bambino - ha una chiara matrice innata. Questa funzione dei neuroni specchio contribuirebbe – associata ad altre – all’attuazione dei comportamenti cooperativi, finalizzati sia all’apprendimento sia ad attività di aiuto (2). 

In conclusione: una memoria ipostatizzata della Shoah e dei Giusti è portatrice di rischi, laddove gli eventi del passato siano pensati come un unicum, non più ripetibili nell’attualità ed i Giusti considerati individui eccezionali che non pongono interrogativi alla responsabilità nell’oggi.


Secondo nodo: perché la scuola?


Una premessa: ho insegnato per parecchi anni, dalla scuola elementare all’università ed ho amato il mio lavoro. Mi piace pensare alla scuola come luogo di educazione alla responsabilità, declinata nelle due valenze di responsabilità culturale e responsabilità morale; essa non è l’unico contesto in cui tale educazione possa concretizzarsi, ma uno dei più importanti, perché raggiunge la quasi totalità dei bambini e degli adolescenti, per molte ore al giorno, seguendoli in un percorso che si snoda nel tempo e nelle diverse fasi evolutive. In questi ultimi anni la scuola accoglie anche alunni e studenti che provengono da culture diverse da quella autoctona, ai quali gli eventi della Shoah e di altri stermini sono in genere ignoti

 
Mi piace pensare alla scuola come 

  • luogo della responsabilità longitudinale; l’insegnante offre una tradizione culturale, quale rilettura interpretativa e a posteriori di quanto le generazioni precedenti hanno sedimentato nel tempo; egli propone sé come mediatore di tale tradizione, affinché gli studenti se ne approprino, la rielaborino e la modifichino, la proiettino nel futuro del mondo dove agiranno. Gli studenti sono chiamati a condividere tale responsabilità di interpretazione e proiezione;
  • tempo della responsabilità trasversale in cui il gruppo degli allievi è reciprocamente responsabile; la classe è luogo di incontri casuali nella casistica dei rapporti individuali; la scommessa dell’insegnante è la trasformazione dell’insieme di individui in un gruppo con regole che fondino la consapevolezza dell’appartenenza, la cooperazione ed il reciproco rispetto; temi “forti” che si appellano alla ragione cognitiva ed al mondo affettivo, esigono la valutazione critica e l’esercizio del giudizio morale;
  • punto di incontro fra le generazioni e fra le culture diverse; il codice etico della responsabilità si concretizza in azioni di cura verso lo straniero, il debole, il malato, colui che nessuno protegge o di cui nessuno si prende cura.


Perché la scuola? Solo la scuola? Perché non lasciare questi temi alla mediazione delle moderne tecnologie, così più efficaci – almeno secondo alcuni – della parola umana? Sintetizzando una risposta, la centralità della scuola è confermata dal suo essere un luogo dove la prossimità fisica permette possibilità di contatto – anche minime - e di relazione comunicativa, ed i rapporti - pur frammentari - possono evolvere verso la consapevolezza di una appartenenza condivisa. Ultimo aspetto, fondamentale, perché la scuola offre un’esperienza di adulto che crede in quello che fa e la cui vita è coerente con quanto insegna. I ragazzi, i giovani necessitano di buoni maestri, oggi forse ancor più che non un tempo.


Terzo nodo: che cosa fare?


Nella pratica scolastica sembra esistere una sorta una dicotomia fra cultura intellettuale e cultura emozionale, come se l’ambito di intervento della scuola fosse circoscritto solo al primo aspetto3. La connessione fra i due mondi culturali – intellettuale ed emozionale - è importante in ogni ambito disciplinare, irrinunciabile nei casi in cui i contenuti di conoscenza abbiano un forte impatto emotivo - affettivo, richiamino negli allievi sentimenti di sofferenza e di desiderio di riparazione. L’intervento dell’insegnante è duplice: da un lato egli dichiara la propria partecipazione emotiva a quanto racconta; dall’altro la sua testimonianza diventa modello di impegno etico: gli viene chiesto di offrire una sua “visione”4 degli eventi ed una valutazione critica di quanto è avvenuto, in una dimensione finalizzata a elaborare modalità riparatrici del dolore che l’allievo incontra. Insegnante ed allievi condividono lo stesso sentimento di impotenza: ognuno è chiamato a confrontarsi, a ripensare sé ed il proprio universo etico. La classe, in questo senso, diventa luogo di ricerca e di riflessione in cui possano essere attuati percorsi che prevedano momenti di comunicazione simmetrica (con parità di ruolo) o complementare, a favore degli studenti: attività di raccolta di testimonianze e documentazioni storiche, momenti di discussione in cui sia possibile “dire” i propri dubbi e portare le proprie esperienze, occasioni di confronto e di valutazione, sui comportamenti, allora ed oggi. La riflessione e la rielaborazione linguistica offrono la possibilità di interrogarsi intorno a ciò che è accaduto, sarebbe potuto accadere, potrebbe accadere ancora oggi. 

Il percorso didattico si snoda per tappe.


  • Conoscenza degli eventi mediante documenti, incontri, video, ... L’evoluzione cognitiva favorisce la capacità di organizzare le informazioni mediante le categorie di spazio e tempo, di riconoscere le connessioni di tipo causale ed ipotetico, di rappresentarsi gli eventi assumendo il punto di vista dell’altro; ma un sapere esclusivamente cognitivo rischia di auto-confinarsi nel dissenso interiore, nel rifiuto mentale, atteggiamenti importanti ma solo un primo stadio nella messa in atto di una personalità che persegua la giustizia;
  • Socializzazione mediante la discussione; assume rilevanza il confronto con il gruppo dei pari, poiché l’ambiente scolastico, con le sue caratteristiche di clima relazionale orientato alle scelte valoriali, costituisce lo sfondo per la maturazione sociale (5); risulta significativa, a tale scopo, la discussione di eventi storici o di casi individuali, rispetto ai quali sia richiesta - ai componenti i sottogruppi in cui sia stata divisa la classe – la valutazione critica dei diversi comportamenti, le implicanze etiche e sociali, le ricadute sugli individui;
  • Area dinamico-affettiva: il bisogno di sicurezza affettiva e sociale, proprio dei periodi preadolescenziale ed adolescenziale, permette i processi di identificazione e di proiezione con i coetanei ebrei, vittime degli eventi storici, ed offre lo spunto per la maturazione di una coscienza civile, riguardante l’attualità;
  • Area dell’educazione etica nell’attenzione all’evoluzione del concetto di norma morale; da uno stadio in cui la prescrizione dipende dall’esterno ed “un’azione è buona e giusta quando soddisfa strumentalmente i bisogni personali e occasionalmente quelli degli altri”(6) ad una visione etica in cui “le operazioni di giustizia implicano un ampliamento della logica dello scambio reciproco [...], poiché fanno riferimento a un ordine etico sopraordinato agli interessi individuali (7). Questo processo evolutivo coinvolge lo sviluppo morale: da una visione utilitaristica – orientata al bene soggettivo o alla protezione sociale della maggioranza degli individui – la coscienza morale matura la consapevolezza dei valori universali di libertà, uguaglianza, equità e reciprocità che connotano l’ideale etico.


Ma vi è un altro aspetto che credo sia opportuno sottolineare: i Giusti furono troppo pochi allora, ... ed ora .... 
Interrogarsi sulla formazione di una personalità “giusta” è compito educativo, quindi compito delle agenzie educative, fra le quali la scuola. Rileggendo storie di Giusti sembrano esserci segnali ricorrenti: una personalità individuale caratterizzata da autostima, fiducia nelle proprie capacità di azione, un clima famigliare caldo e propositivo, buone relazioni con l’ambiente, autonomia di pensiero, una scuola capace di sollecitare il pensiero critico, esperienze precoci di impegno sociale, temperamento positivo.
Temo che tutto questo non basti: le qualità individuali dipendono spesso da fattori poco controllabili. Un impegno ineludibile è la maturazione di una società in cui i diritti umani di tutti siano tutelati da strutture sociali, politiche e giuridiche che siano giuste, in cui nessuno sia cittadino di seconda classe.
I Giusti sono un pegno di speranza, confermano la possibilità di non cooperare con un sistema iniquo, la possibilità del rifiuto, essi sono – in un certo senso – una garanzia per la nostra umanità.
Per tornare alla riflessione introduttiva: in un approccio educativo, la riflessione sui Giusti sintetizza aspetti denotativi e connotativi; la denotazione, per l’adesione ad un modello di eticità che ha indirizzato la loro scelta ed orientato l’azione, la connotazione per il loro essere garanzia di speranza, la loro capacità di illuminare il nostro cammino affinché anche noi, qui ed ora, possiamo essere - almeno un poco - “giusti”(8).




Note


  1. D. Stein, Quiet Heroes: True Stories of the Rescue of Jews by Christians in Holland, Lester and Orpen Dennys Limited, Toronto 1988; E. Silver, The Book of the Just: The silent Hero who Saved Jews from Hitler, Weidenfeld and Nikolson, London 1992
  2. M.I. Stamenov, V. Gallese (Eds.), (2002), Mirrors Neurons and the Evolution of Brain and Language, John Benjamins Publishing Company, Amsterdam, Philadelphia; G. Rizzolatti, C. Sinigaglia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, R. Cortina, Milano 2006; J.A. Pineda (Ed.), (2009), Mirror Neuron System. The Role of Mirroring in Social Cognition, Humana Press Springer, N.Y.; in questo ultimo volume cfr. il cap.: Hierarchically Organized Mirroring Processes in Social Cognition: the Functional Neuroanatomy of Empathy, pp. 135-160.
  3. Richardson, La scuola e il suo ambiente, Armando, Roma, 1973. 
  4. Bennis e Nanus usano il termine “vision” per indicare la proposta interpretativa offerta dall’insegnante, il suo modo di giudicare quel dato evento, storico o di vita quotidiana, presentato in classe; cfr. W. Bennis, B. Nanus, Leader. Anatomia della leadership, F. Angeli, Milano 1990 
  5. Cfr. R. Viganò, Psicologia ed educazione in L. Kohlberg, Vita e Pensiero, Milano,1991, pp. 376-378.
  6. Ibi, p. 208. Per un’analisi della teoria dello sviluppo morale in Kohlberg e per una descrizione degli indicatori che sottendono il giudizio morale in ciascuno dei sei stadi da lui identificati si vedano, nel testo citato, le pp. 181-267. Sulla natura specifica dell’ultimo stadio, il settimo, cfr. pp. 220-221. 
  7. Ibi, p. 209.
  8. Intervento al convegno Il coraggio di opporsi. I Giusti e la Shoah tenutosi all'Università Cattolica il 29 novembre 2010

Analisi di Rita Sidoli, Commissione educazione Gariwo

15 dicembre 2010

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